Philadelphia Museum of Art, disputa tra museo ed ex direttrice. Accuse di appropriazione indebita


Battaglia legale al Philadelphia Museum of Art tra l’istituto e l’ex direttrice Sasha Suda, licenziata poche settimane fa con voto unanime dal consiglio. Il museo la accusa di appropriazione indebita, lei rigetta la tesi dell’istituto e parla di pretesto.

Clima teso a Filadelfia, Stati Uniti, dove si è scoperto per quale motivo il Philadelphia Art Museum ha licenziato alcune settimane fa l’allora direttrice e ad del museo Alexandra “Sasha” Suda. Poco dopo il licenziamento, Suda, come rivelato dal New York Times, aveva fatto causa al museo accusando l’istituto di licenziamento ingiusto e trattamento iniquo, e sul Philadelphia Inquirer erano trapelate le prime indiscrezioni circa un’indagine sul comportamento della ex direttrice, indagine definita “seria” dal quotidiano, dal momento che un consiglio di amministrazione di tale importanza non finirebbe per licenziare il suo membro più importante se di mezzo non ci fosse una questione molto rilevante. La disputa tra l’ex direttrice e l’istituto stessa, come rivelato dalla stampa americana in queste ore, è entrata in una fase cruciale con il deposito di una mozione da parte del museo che nega le accuse di licenziamento ingiusto e sostiene che la Suda sia stata rimossa per gravi violazioni contrattuali. Il museo sostiene infatti che la destituzione della ex direttrice, licenziata con voto unanime del cda, non è stata priva di fondamento, ma è avvenuta per giusta causa in seguito a una “indagine approfondita”. Il museo accusa l’ex CEO di essersi appropriata indebitamente di fondi del museo e di aver mentito ripetutamente per coprire quello che viene definito nella mozione come un “furto”.

Al centro delle accuse del museo vi è la retribuzione di Suda, che ammontava a 720mila dollari l’anno. Sebbene la ex direttrice avesse ripetutamente richiesto aumenti salariali all’istituto, queste richieste sarebbero state negate. Nonostante i dinieghi e sapendo che la modifica della sua compensazione era di “esclusiva e assoluta discrezione” del consiglio, la Suda, secondo l’accusa del cda, si sarebbe auto-concessa tre aumenti salariali non autorizzati: due nel 2024 e un terzo nel luglio 2025. Il museo sostiene che la Suda non abbia mai informato il consiglio di questi incrementi.

Tuttavia, Sasha Suda, che era nel terzo anno di un contratto quinquennale, ha già rigettato le accuse, sostenendo che il suo licenziamento sia dovuto all’opposizione di una parte del cda alla sua opera di modernizzazione del museo (che ha prodotto una discussa campagna di rebranding), oltre che per divergenze sulla nomina di alcuni membri del cda.

Il Philadelphia Art Museum dopo il rebranding. Foto: Rob Cusick / Philadelphia Art Museum
Il Philadelphia Art Museum dopo il rebranding. Foto: Rob Cusick / Philadelphia Art Museum

L’avvocato di Suda, Luke Nikas, ha respinto le accuse del museo, etichettandole come “false”: in una mail inviata alla rivista ArtNEWS ha detto che si tratta delle “stesse accuse riciclate dall’indagine infondata che il museo ha costruito come pretesto per il licenziamento ingiusto di Suda. La mozione, così come la sua falsa narrazione, si adatta alla consolidata strategia del Philadelphia Museum di cercare di nascondere la propria condotta scorretta e i maltrattamenti del personale. Ci aspettavamo che il Museo avrebbe preferito nascondere i sordidi dettagli sul trattamento illegittimo di Sasha Suda in un arbitrato confidenziale. Se il Museo non avesse nulla da nascondere, non avrebbe avuto timore di adire le vie legali presso il tribunale statale dove abbiamo depositato il caso”. Una fonte vicina a Suda aveva precedentemente riportato che l’aumento di 39.000 dollari ricevuto dalla Suda in un arco di due anni era stato autorizzato. La denuncia della Suda menzionava che l’indagine aveva esaminato le spese che erano già state approvate dal capo dell’audit, le iscrizioni a club sponsorizzate dal consiglio e i costi di viaggio sostenuti per eventi a cui aveva partecipato nell’interesse del museo.

La battaglia non riguarda solo le ragioni del licenziamento, ma anche la sede del procedimento legale. Suda, che ha depositato la causa in un tribunale statale della Pennsylvania, sta richiedendo due anni di indennità di fine rapporto, danni aggiuntivi e un processo con giuria. Il museo, tuttavia, ha presentato una mozione per forzare la risoluzione della controversia tramite arbitrato privato e confidenziale. Il museo cita una clausola nel contratto di lavoro della Suda che richiede che tutte le rivendicazioni siano risolte per arbitrato, negando l’applicabilità dell’eccezione di “ingiunzione” invocata da Suda per poter procedere in tribunale statale.

A seguito della rimozione di Suda, Daniel Weiss è stato nominato nuovo CEO del Philadelphia Art Museum, con efficacia dal 1° dicembre.


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