I giovani galleristi Caretto & Occhinegro aprono uno spazio all'Antonello Colonna Resort


Reportage da Labico, dove i due giovani galleristi Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro hanno aperto una nuova sede espositiva presso l'Antonello Colonna Resort. La prima mostra s'intitola “Apeiron”. E l'esperienza è inedita e molto interessante. Ecco perché.

“Da tempo”, dichiarano Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, “volevamo fermarci a riflettere sui contenuti e sulla potenza espressiva che gli Antichi Maestri posseggono in maniera atemporale, in modalità che sfuggono alle categorizzazioni cronologiche o storico-artistiche”. I due giovanissimi titolari della galleria Caretto&Occhinegro di Torino introducono così il nuovo capitolo della loro storia, che li vede adesso unire le forze con lo chef stellato Antonello Colonna per l’apertura di un nuovo spazio espositivo nell’Antonello Colonna Resort & Spa di Labico, sui colli romani: tra le architetture minimaliste progettate dallo studio Aniello/Tasca, arredate in stile industrial per accogliere gli ospiti in un soave brano di campagna laziale, prende forma un’esperienza insolita, inattesa e anticonvenzionale.

Una nuova sede di Caretto&Occhinegro a tre quarti d’ora da Roma, si potrebbe riassumere con una dozzina di parole, ma si farebbe un torto al progetto se ci si limitasse a una descrizione del genere: troppo riduttiva. Il grande salone che, una volta l’anno, accoglierà una selezione di opere di Caretto&Occhinegro (e che ha inaugurato lunedì 13 dicembre, alla presenza del ministro della cultura Dario Franceschini, con la prima mostra, Ápeiron, in programma fino all’8 gennaio 2022), va infatti oltre ciò che il pubblico per tradizione s’aspetta. Anche perché Caretto&Occhinegro hanno dato più volte prova di voler superare qualsiasi convenzione e qualsiasi tradizione: giovanissimi (entrambi sotto i quarant’anni) in un settore dove affermarsi in giovane età è impresa ai limiti dell’impossibile, molto appassionati del loro lavoro, sempre alla ricerca di modalità nuove per comunicare ciò che sta dietro il loro lavoro di antiquari, hanno scoperto l’Antonello Colonna Resort durante una vacanza e lo hanno immediatamente identificato come un luogo adatto a dare avvio a un progetto nuovo e totalizzante. E la loro proposta è stata ben accolta da Antonello Colonna, che non ci ha celato il suo entusiasmo.

Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa. Foto Finestre sull’Arte
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa. Foto Finestre sull’Arte
Antonello Colonna Resort & Spa
Antonello Colonna Resort & Spa. Foto Finestre sull’Arte

Il progetto. Caretto&Occhinegro da Antonello Colonna Resort & Spa

“Non abbiamo mai avuto bisogno di spazi espositivi intesi in maniera tradizionale, all’insegna della convinzione che lo spazio debba esser per voi e che a noi non occorra”, ci spiegano Caretto e Occhinegro. “Ebbene, ora possiamo portare questo concetto ad un livello più profondo, adatto a chi, in un qualche modo, ha scelto un punto di incontro con noi, un comune sentire, simboleggiato dall’arte che amiamo e da ciò che questa rappresenta, ora più che mai”. Così, Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, col “patrocinio” (questo il termine che usano) di Antonello Colonna, che fin dall’apertura nel 2012 del suo resort, da amante dell’arte, ha sempre accolto mostre (per lo più di fotografia, e comunque sempre sul contemporaneo: per l’arte antica è la prima volta), presentano l’esordio di quello che vuol essere “un lavoro di sottrazione che permetterà ai dipinti di parlare liberamente, all’ambiente di esprimere la sua potenza visiva, ai protagonisti di ragionare senza filtri”. L’obiettivo: “di fronte ai cambiamenti epocali in atto, ora non più eludibili, un percorso a ritroso è necessario per capire cosa sia in grado di sopravvivere al tribunale della Storia anche nella cultura contemporanea, in mezzo a quel ’brusio del mondo’ che oggi pare aver raggiunto il punto di non ritorno”.

Molti elementi inducono a pensare che non si tratta semplicemente dell’apertura d’una sede “altra”. C’è, intanto, il luogo: avvolto dal silenzio, lontano dalla città (ma non troppo), completamente avulso dalla frenesia che muove abitualmente il cosiddetto “mondo dell’arte”, caratterizzato da ampi spazî aperti (anche da intendersi nel senso tecnico di open space che marcano gl’interni), e forte della sua capacità d’aprirsi senza intoppi a inusuali dimensioni contemplative. Grandi vetrate aperte sui prati e sul bosco di castagni che si trova subito davanti al resort. Tre cagnolini a dare il benvenuto agli ospiti che conferiscono all’atmosfera una nota di domestica familiarità. Un tratto della via Labicana a un centinaio di metri: pietre che stanno lì da più di duemila anni. Sullo sfondo, in lontananza, le architetture rinascimentali di Palestrina. “Sentivamo di essere dentro il nostro luogo di convergenza”, spiegano Caretto e Occhinegro, “destinazione di una fuga da qualcosa che ci aveva raggiunto proprio lì”.

C’è lo spazio: il progetto trova accoglienza in un grande salone dalle pareti dipinte con tonalità vicine a quelle dell’ardesia, e il grigio, com’è noto, è uno dei colori più adatti per la visione delle opere d’arte. Le lame di luce che di giorno entrano dalle vetrate confortano la visione d’insieme e aiutano a percepire la mostra come una grande installazione più che come una sequenza di dipinti. Di notte, l’impianto d’illuminazione esalta le tonalità dei dipinti e porta il pubblico a ragionare sui dettagli, sui significati delle opere, sugli accostamenti proposti da Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, curatori della mostra e del raffinato catalogo che l’accompagna, altro oggetto inconsueto, poiché racconto dettagliato di scelte personali e trame di significati più che strumento di lavoro quale è abitualmente il catalogo della mostra d’una galleria. C’è la natura stessa del progetto, legato soprattutto alle idee e alle visioni dei due galleristi (partendo, come si direbbe in inglese, from the very start, dato che l’intuizione nasce da un soggiorno di piacere), e dunque in grado di trasmettere a chi visiterà l’Antonello Colonna Resort & Spa qualcosa in più rispetto a ciò che una mostra comunica di solito: le scelte, i gusti, le preferenze che informano e animano non soltanto il lavoro ma anche la passione (termine, quest’ultimo, di cui si fa grande abuso, ma che in questo caso è speso a ragion veduta e ben descrive le scaturigini del progetto) dei due antiquarî. Punto di partenza, tre domande: che cos’è un’opera d’arte? Chi compra opere d’arte? E chi è che compra le opere d’arte proposte da Caretto&Occhinegro? Le risposte che i due galleristi provano a dare sono quelle che il visitatore può trovare nel grande salone di Labico.

Mostra Apeiron
Mostra Apeiron. Foto Cesaroni & Trimani
Mostra Apeiron
Mostra Apeiron. Foto Cesaroni & Trimani
Mostra Apeiron
Mostra Apeiron. Foto Finestre sull’Arte
Mostra Apeiron
Mostra Apeiron. Foto Finestre sull’Arte

La prima mostra: Ápeiron

Questo, dunque, il progetto, che presenterà ogni anno una selezione diversa. Ápeiron è la prima. Il titolo è mutuato da Anassimandro, il grande presocratico che formulò il concetto: “principio degli esseri”, secondo il filosofo, “è l’ápeiron, da dove infatti gli esseri hanno l’origine, lì hanno anche la distruzione secondo necessità, poiché essi pagano l’uno all’altro la pena e l’espiazione dell’ingiustizia secondo l’ordine del tempo”. Ápeiron, che si può tradurre in “infinito” (ma non è che una delle possibili traduzioni del termine), è il principio che regola l’universo. Infinito, ma anche illimitato e indefinito. Elaborando il concetto di Ápeiron, Anassimandro intendeva spiegare le origini dell’universo. Allo stesso modo, Caretto e Occhinegro hanno cercato di spingersi, intanto, alle origini dell’amore per l’arte, anch’esso infinito, come certe opere d’arte che lo sostengono. I quattro capolavori scelti per la mostra del resort (un San Michele del Maestro di San Nicolás, una Adorazione dei magi del Maestro del 1518, il Paradiso terrestre di Herri met de Bles e il Ritratto di architetto di Jacopo de’ Barbari, tutte già oggetto di studî approfonditi) sono opere che rovesciano il celebre adagio per cui tutta l’arte è arte contemporanea. Massima che regge sotto un profilo biologico, per così dire (ogni opera è contemporanea rispetto al periodo in cui è nata), ma non sotto quello ontologico, dacché solo a poche opere è dato di rimanere sempre contemporanee. Il primo criterio di selezione è stato dunque questo, par d’intuire leggendo tra le righe nel catalogo: opere che, sebbene immaginate per parlare agli esseri umani del Cinquecento, sono ancora in grado di parlare alle donne e agli uomini del terzo millennio, a prescindere dai nomi dei loro autori (e lo dimostra il fatto che due delle opere esposte sono di fatto anonime). Ecco dunque una prima e necessariamente parziale risposta che si potrebbe dare alle domande di partenza: un’opera d’arte, per un collezionista, è un oggetto che lo tocca, magari inconsapevolmente e inconsciamente, ma è difficile che s’acquisti un’opera senza che questa faccia risuonare qualcosa nel sentito del suo compratore.

E poi, ovviamente, c’è il racconto, una sorta di storia dell’umanità ch’è vista attraverso il punto di vista di artisti legati all’Europa del nord di fine Quattrocento, com’è naturale che sia per una galleria che tratta da sempre opere di fiamminghi (anche se in realtà solo due artisti in mostra sono fiamminghi). Il percorso immaginato dai due galleristi-curatori investe una sorprendente molteplicità di temi, e s’apre con la lotta tra il bene e il male che vede il suo massimo alfiere nel San Michele del Maestro di San Nicolás. San Michele, com’è ben noto, è il comandante delle armate celesti che sconfiggono gli angeli ribelli guidati da Lucifero e li cacciano nelle tenebre della voragine infernale. L’autore, la cui namepiece è la pala d’altare col Giudizio universale conservata nella chiesa di San Nicola a Burgos, è uno spagnolo di formazione fiamminga che opera nell’epoca delle battute finali della Reconquista, e all’epoca, spiegano Caretto e Occhinegro in catalogo, “marcare la differenza tra bene e male è un atto religioso e quindi anche politico, e più che dare spazio all’Angelo Caduto (o cadente), è la trascendenza divina, l’ineluttabilità di un potere superiore che si vuole sottolineare”. Le Fiandre e la Spagna si trovarono a essere strettamente legate, dato che le ricche terre del nord sostennero finanziariamente la Spagna dei re cattolici, con la conseguenza che anche gli scambi culturali e artistici erano fecondi: il Maestro di San Nicolás è uno dei più eloquenti prodotti di quella stagione.

L’atto secondo, muovendosi in diagonale, è il Paradiso terrestre di Herri met de Bles, artista cinquecentesco che inserisce il suo Adamo e la sua Eva in una rigogliosa foresta colma d’animali (si riconoscono elefanti, capre, volatili d’ogni specie, financo un unicorno) dove però s’agitano anche presenze inquietanti, a cominciare dagli squali mostruosi che popolano le acque sulla sinistra e dagli animali che lottano tra loro. Scene che, animate da un estro visionario simile a quello di Jheronimus Bosch che Herri met de Bles aveva ben presente, prefigurano la caduta e la cacciata. Non è solo la continuazione “cronologica”, per così dire, delle storie raccontate nei libri sacri del cristianesimo, ma è anche un altro capitolo della lotta con cui la mostra s’è aperta, e qui, si legge ancora in catalogo, “la Natura gioca un ruolo tutt’altro che super partes e nel quale una sparuta umanità rimane schiacciata, affannandosi in maniera impotente e disordinata in un microcosmo insettoide di battaglie personali, all’oscuro del disegno complessivo, in ogni caso ordito contro di Lei, fin dall’origine dei tempi”.

S’innesta qui il terzo atto, quello della redenzione: l’Adorazione dei Magi del Maestro del 1518, artista che parte della critica, con consensi però non unanimi, ha proposto d’identificare in Jan van Dornicke, pittore originario di Tournai e attivo nelle Fiandre d’inizio Cinquecento. La storia può però prendere un altro canale, può sviare dalla storia religiosa per entrare in quella dell’essere umano: la leggenda narra infatti di tre sovrani ch’ebbero i segni premonitori della nascita del re dei Giudei e si recarono dunque in viaggio col seguito delle loro coloratissime corti per riverirlo come si conviene per un monarca nato sotto l’auspicio degli astri. Grande sarebbe stata la loro sorpresa nel vedere che quel re era figlio di due genitori poveri, nato in una capanna scaldata da un bue e da un asino. “La storia”, si legge ancora in catalogo, “ebbe un impatto difficilmente eguagliabile nell’immaginario della civiltà occidentale che alla fine dell’Impero Romano passò dall’essere fatta di soldati, politici e filosofi, a vassalli, sacerdoti, viaggiatori, sognatori di ogni tipo. Attraverso un unico episodio, era così possibile avere tante forme quante la mente umana è in grado di concepirne”. Infine, si passa alla parete di fronte dove s’ammira L’architetto di Jacopo de’ Barbari, il più nordico dei veneziani del Quattrocento dato che fu a lungo attivo in Germania (dov’era noto come “Jacob Walch”), che col suo ritratto, il cui soggetto è stato di recente identificato in Hans Behaim il Vecchio, l’architetto che cambiò il volto della Norimberga del XV secolo, introduce l’atto finale, quello della storia dell’essere umano diventato demiurgo e faber suae fortunae.

Non è questo tuttavia l’unico percorso possibile tra le opere. Entrando nel salone si può anche girare in senso inverso e leggere, per esempio, due storie parallele: quella del riscatto dell’umanità dopo la caduta, rappresentato dall’asse Jacopo de’ Barbari-Herri met de Bles, che si fronteggiano sulle due pareti opposte, e quella del sacrificio di Cristo che l’ha reso possibile e del santo che l’aveva annunciato a Costantino (questo ruolo di san Michele sarebbe stato, nel giro di pochi anni, ulteriormente sottolineato in epoca tridentina). Ma le prime due opere stanno in rapporto tra loro anche per via del loro forte anticlassicismo: formale quello di Herri met de Bles, che come detto si rifà scopertamente a Bosch, concettuale quello di Jacopo de’ Barbari, che si rivolge ai pochi iniziati all’ermetismo alchemico con alcuni simboli (come i colori dell’abbigliamento di Hans Behaim, il bruno del mantello, il bianco della camicia e il rosso della veste, ovvero i colori delle fasi alchemiche secondo i testi iniziatici, che alludono rispettivamente alla distruzione della materia, alla concezione della rinascita della materia disintegrata mediante l’atto creativo, e all’atto concreto in sé: il tutto sottolineato dalle magnifiche stringhe della camicia, bianche e nere a significare i poli opposti dell’esistenza). E, per continuare a star fuori dal terreno delle letture religiose, con le altre due si può invece indugiare, per esempio, sulle aspettative dei committenti nelle Fiandre del Rinascimento: profusione d’ori, di pigmenti pregiati, decori unici e preziosi che nel dipinto del Maestro del 1518 e di quello del Maestro di San Nicolás toccano vette inusitate. Ma si potrebbe anche portare il discorso sul piano storico e parlare delle tensioni dell’Europa prima della riforma. Le possibilità sono molte. Come ogni antiquario sa, le scelte che ci portano ad apprezzare (e a comperare) un’opera d’arte sono del tutto personali. E allora anche il percorso non vuol essere obbligato: ci sono degli spunti che suggeriscono chiavi di lettura, ma ogni visitatore potrà formarsi il proprio itinerario, secondo la propria sensibilità e le proprie esperienze, secondo le visioni che più gli sono congeniali.

Maestro di San Nicolás, San Michele (1480 circa; olio su tavola, 61 x 42 cm)
Maestro di San Nicolás, San Michele (1480 circa; olio su tavola, 61 x 42 cm)
Herri met de Bles II, Paradiso Terrestre (1540 circa; olio su tavola, 25 x 20 cm)
Herri met de Bles II, Paradiso Terrestre (1540 circa; olio su tavola, 25 x 20 cm)
Maestro del 1518, Adorazione dei Magi (1515 circa; olio su tavola, 56 x 70 cm)
Maestro del 1518, Adorazione dei Magi (1515 circa; olio su tavola, 56 x 70 cm)
Jacopo de' Barbari, L'Architetto (Ritratto di Hans Behaim) (1503-1505 circa; olio su tavola, 63 x 56 cm)
Jacopo de’ Barbari, L’Architetto (Ritratto di Hans Behaim) (1503-1505 circa; olio su tavola, 63 x 56 cm)

Un’esperienza che apre una nuova strada

Il progetto, concludono Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro, “è il primo di una serie che costituirà la nostra presenza fissa, ad ogni stagione”, presso l’Antonello Colonna Resort & Spa. Al momento non si sa quali saranno le prossime opere che troveranno temporanea accoglienza in quella ch’è già diventata de facto una seconda sede della galleria torinese. Quello che si sa e che si può dire, è che la galleria e il resort continueranno a lavorare sulla base di uno dei principî cardine di Caretto&Occhinegro: scoprire per valorizzare (un impegno cui i due antiquari non si sono mai sottratti: chi frequenta le fiere d’arte lo sa bene, dal momento che le loro selezioni sono sempre tra le più ammirate e tra quelle di maggior qualità), tenendo presente che il centro d’ogni azione di questo tipo sono i clienti, i collezionisti, il pubblico.

Novità, prospettive inedite, strade e unioni mai tentate. A Massimiliano Caretto e Francesco Occhinegro il merito d’aver elaborato la proposta, ad Antonello Colonna quello di averne intuito il potenziale e di continuare ad adoperarsi per investire nell’arte e per sostenerla, accogliendola in uno spazio dove le barriere cadono, i confini diventano labili, e dove si ha la sensazione che la continuità tra l’arte e ciò che sta al di fuori scorra senza forzature, in maniera del tutto spontanea. Passata una sola settimana dall’apertura è ancora presto per dire dove condurrà la strada tracciata da Caretto, Occhinegro e Colonna (perché così è: ogni esperienza nuova è come l’apertura d’un nuovo sentiero), e se ci saranno altri che seguiranno l’esempio, ma si può già dire, con sicurezza, che si tratta d’un’operazione che fa entrare l’arte antica in una dimensione nuova e diversa. Da seguire.


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