La guerra ha reso più forte l'arte ucraina? Report da un viaggio a Kiev


Quale funzione ha avuto l’arte ucraina durante la guerra? La risposta, a due anni esatti dall’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, dal resoconto di un viaggio a Kiev.

Tornando in treno da Kiev a Przemyśl e poi a Cracovia, in un viaggio di più di quindici ore durante la notte, continuo a guardare il sito Air Raid Alert Map che mostra in tempo reale le regioni sotto rischio di attacco. Sembra quasi che il colore rosso di allerta segua il percorso del treno. È un timore stupido, perché le probabilità che una bomba colpisca un treno che viaggia in mezzo alla foresta sono più basse che quelle di essere colpiti da un fulmine. Ma il fatto di vedere il rischio rappresentato in una mappa continua a produrre in me un certo grado di agitazione.

La situazione che ho trovato Kiev è per certi versi paradossale. Gli allarmi sono quotidiani e talvolta anche sulla capitale piovono ancora missili. Qualcuno pure muore o resta ferito di tanto in tanto, ma la gente sembra non farci più caso. Quando l’allarme antimissile suonava, nella settimana che vi ho trascorso, ero praticamente l’unico a precipitarmi nei bunker (che di solito sono le stazioni della metropolitana), insieme alle scolaresche, per le quali chiaramente il rispetto delle regole è una formalità ineludibile. Così, a parte il fatto che le stazioni della metropolitana si riempiono a tratti di bambini chiassosi, per il resto fino a mezzanotte, quando comincia il coprifuoco, Kiev è una città in cui la vita scorre normale, per certi aspetti persino molto vivace. Non solo ci sono mostre, opening, incontri culturali e presentazioni (le ragioni per cui ho compiuto questo viaggio), ma anche i pub e i ristoranti sono pieni. Le strade sono trafficate, nelle ore di punta intasate. C’è anche una certa quantità di stranieri – non so se chiamarli turisti – che affollano perlomeno i luoghi più tipici. Anche i relitti di guerra sono ormai dei trofei per visitatori. Nel centro della città, insieme a un gruppo di carri armati russi e qualche pezzo di missile, si trova anche un’anziana signora che vende bandierine ucraine. È il segno di come la guerra stia già svoltando in celebrazione storica. Soprattutto le pubblicità sui cartelloni e sui poster sono sconvolgenti: annunciano momenti felici, mostrano case lussuose e donne bellissime. Mi ha stupito non poco trovare Forbes nella hall dell’hotel offerto agli ospiti per la lettura. È probabilmente un sistema difensivo del cervello umano: dopo un trauma, la nostra mente tende ad assuefarsi, a riprendere la regolarità della vita.

Il viaggio è stato organizzato da Asortymentna Kimnata, Proto Produciia e altre organizzazioni che cercano così di tenere alto l’interesse occidentale per l’Ucraina. Io sono andato, sfidando il destino, insieme a un gruppetto sparuto di curatori e giornalisti europei per verificare una teoria: la guerra, in Ucraina, ha dato forza all’arte? Conosco abbastanza bene la situazione artistica di quel paese, avendo realizzato molti scambi quando ero a Varsavia a dirigere il Centro per l’Arte Contemporanea Zamek Ujazdowski. Sono amico di molti artisti, e appena è scoppiata la guerra mi sono preoccupato per loro. Ho scritto ad alcuni, ho seguito le loro comunicazioni sui social. E devo dire che l’impressione che ho avuto è che nei primi mesi dell’invasione ci sia stato un aumento di intensità del loro lavoro. C’è un esempio che credo renda abbastanza palese ciò che sto dicendo. Lesia Khomenko è un’artista che di solito dipinge grandi figure monumentali con uno stile che ricorda le pitture e le sculture sovietiche, quelle celebrative degli operai e dei contadini, come il monumentale L’operaio e la kolchoziana di Vera Mukhina, degli anni Trenta, finito poi anche nel logo della Mostifilm e in centinaia di francobolli. Naturalmente, nel lavoro della Khomenko, queste figure acquistano un carattere ironico. Ma, ammettiamolo, a noi che siamo lontani da quella cultura, che non abbiamo vissuto l’epoca del realismo socialista, questi lavori comunicano poco. Dallo scoppio della guerra Lesia Khomenko ha continuato a dipingere delle figure massicce, gigantesche. Solo che quelle immagini sono ora divenute ripetutamente, ossessivamente, il ritratto del marito in guerra, in divisa militare, con volto e simboli cancellati, in quanto non è possibile trasmettere immagini del fronte. L’artista postava quasi quotidianamente le figure monumentali del marito sui social, e in esse si poteva riconoscere un sentimento, un’intensità, che nei lavori precedenti non si intravvedeva. La pratica artistica finiva per coincidere con la sua vicenda personale, trovava una ragione profonda, reale, che rifletteva del resto quella di tante mogli ucraine emigrate all’estero mentre i mariti erano costretti ad andare a combattere.

Lesia Khomenko, Max in the Army, 2022
Lesia Khomenko, Max in the Army, 2022
Carri armati russi nel centro di Kiev
Carri armati russi nel centro di Kiev

La stessa cosa vale, in modo diverso, per altri artisti. Alevtina Kakhidze è un’artista ironica e vulcanica, che realizza performance, installazioni e disegni. Vive nella campagna nei dintorni di Kiev, e all’inizio della guerra si è trovata quasi circondata dai carri armati russi, quelli che hanno compiuto le stragi di Bucha e di Irpin. Sentiva i colpi di artiglieria, le bombe intorno a sé, ed era rischioso allontanarsi dal villaggio. Anche lei ogni giorno postava disegni, immagini ironiche che fanno trasparire il dramma, con uomini armati ed esplosioni, movimenti di truppe, accenni alla situazione politica, all’appoggio straniero che però lascia combattere e morire solo gli ucraini. Pure invitata ad andarsene, a recarsi all’estero in una residenza artistica, ha deciso di restare. È il suo modo di contribuire alla guerra, con la presenza e con la quotidiana comunicazione artistica sui social. C’è poi Nikita Kadan, capo carismatico del gruppo REP e mente teorica di tutta questa generazione di artisti ucraini oggi giunti alla maturità. È un artista molto concettuale, a volte direi quasi concettoso, con i suoi riferimenti a particolari della storia ucraina e russa. All’arrivo della guerra decide di chiudersi nel seminterrato di una galleria, una sorta di bunker, e realizza una serie di disegni a carboncino: sono ombre sulla terra: le impronte, o forse le buche, dei soldati morti. Lascia per un po’ le elucubrazioni dotte su monumenti e storia, e si confronta, poeticamente, con la realtà. E così anche Zhanna Kadyrova, forse la più famosa artista di questa generazione, che ha partecipato a biennali e mostre internazionali e che in Italia lavora con la Galleria Continua. Durante i primi mesi di guerra si ritira in campagna, in una casa senza acqua, dove il cellulare non ha campo. Lì nei dintorni, in riva al fiume, scopre delle pietre rotondeggianti, che somigliano molto alle pagnotte di pane ucraino. Le affetta e le pone su delle tavole apparecchiate. Palianytsia, è il nome del tipo di pane e anche il titolo del lavoro. Rimanda alla condivisione del cibo e alla comunità. Tanto che di questi lavori produce edizioni che vende, il cui ricavato va agli artisti chiamati in guerra e a quelli in difficoltà. Ma c’è un significato in più in Palianytsia. Soltanto chi è ucraino può pronunciare la parola correttamente. I russi che ci provano vengono subito riconosciuti. È una parola rivelatrice, segna una divisione netta tra due popoli che forse prima non c’era ma che da ora è definita per sempre.

Ecco, cosa è successo con la guerra. L’arte e gli artisti, che di solito non hanno una funzione chiaramente riconosciuta nella società contemporanea, hanno ritrovato una ragione sociale e civile: quella di definire l’identità ucraina. Nei primi momenti dopo l’invasione, sarebbe potuto accadere di tutto. Il fine di Putin – è noto – era di cacciare Zelensky e far subentrare un governo fantoccio, confidando nell’appoggio di molti. Ma l’aggressione efferata ha ottenuto la reazione opposta, che anche gli ucraini russofoni hanno ritenuto l’attacco sconsiderato e hanno visto nella Russia un nemico. In questo frangente, in questa situazione così drammatica, anche dal punto di vista politico e culturale oltre che sul campo, gli artisti hanno avuto l’importante funzione di contribuire alla definizione della propria nazione. Sembra strano, ma proprio in risposta ad un trauma l’arte riscopre il suo valore per la società. Che poi, se ci pensiamo, è sempre stato quello di costruire un milieu di conoscenze culturali comuni.

Disegni di Alevtina Kakhidze
Disegni di Alevtina Kakhidze
Disegni di Alevtina Kakhidze
Disegni di Alevtina Kakhidze

Il viaggio in Ucraina è stato ricco di tante visite e incontri. Chiusa temporaneamente la Fondazione Pinchuk, c’è però il Mystetskyi Arsenal, che con i suoi 45.000 metri quadri è lo spazio d’arte più grande d’Europa. Durante il Covid era servito anche ad artisti e gruppi per realizzare nuovi lavori, come quello di Opera Aperta, dei compositori musicali che sperimentano la reinvenzione di un’opera lirica contemporanea. Ora all’Arsenale è in corso una mostra, fino a fine marzo, Coexisting with Darkness, che fa riferimento al periodo in cui i bombardamenti russi erano indirizzati alle infrastrutture energetiche e gran parte delle città doveva convivere con lunghi periodi di buio e di freddo. Deformazione mentale, da direttore di museo, quando visito uno spazio espositivo sono di solito interessato a capire quanti visitatori lo frequentano giornalmente. Qui, non c’è stato bisogno di chiedere, perché nel breve tempo della mia permanenza potevo constatare con i miei occhi le decine di persone che si avvicendavano, tra le quali molte mamme con bambini.

Incontriamo anche Olga Balashova, già vicedirettrice del museo Nazionale, che ora lavora per una NGO che intende realizzare un Museo Nazionale di Arte Contemporanea. Un nuovo concetto, un museo diffuso che dovrebbe avere sede in molte città, senza trasferire le collezioni degli artisti locali in unico centro, ma lasciandole proprio dove sono nate. Durante la guerra ha avviato un archivio, Wartime Art Archive, che raccoglie giornalmente le immagini più interessanti prodotte a partire dal 24 febbraio 2022. Da questo archivio, pochi mesi fa, era stata realizzata una mostra presso l’ex Museo Lenin, a cui hanno partecipato un centinaio di artisti. Chiusa da poche settimane, chi l’ha vista testimonia un carattere generalizzato: la mancanza di colore, la dominante grigia delle opere in mostra.

Ilya Zabolotny l’ho conosciuto quando era giovanissimo e capacissimo production manager del padiglione ucraino-polacco di cui ero commissario in occasione della prima Biennale di Kiev, nel 2012. Ora, con l’inizio della guerra, ha fondato l’Ukrainian Emergency Art Fund, per sostenere gli artisti in difficoltà. Passato il primo periodo emergenziale, il fondo mira a svilupparsi come strumento di sostegno continuativo, come un Mondrian Fund olandese o il nostro Italian Council.

Nikita Kadan, The Shadow on the Ground, 2022
Nikita Kadan, The Shadow on the Ground, 2022
Zhanna Kadyrova, Palianytsia, 2022
Zhanna Kadyrova, Palianytsia, 2022
Fabio Cavallucci con Zhanna Kadyrova
Fabio Cavallucci con Zhanna Kadyrova
Opera di Fedir Tetyanych nella mostra Coexisting with Darkness al Mystetskyi Arsenal
Opera di Fedir Tetyanych nella mostra Coexisting with Darkness al Mystetskyi Arsenal

Con la guerra c’è anche stata un’esplosione internazionale di interesse per l’arte ucraina. Gli artisti sono stati invitati per conferenze, mostre e residenze in tutto il mondo. Ciò ha contribuito non poco ad aumentare l’adrenalina che poi è finita nei lavori. “Il 7 ottobre ha segnato la fine di questo slancio”, dice Nikita Kadan. L’inizio della guerra in Medio Oriente ha distolto l’attenzione dall’Ucraina, che da allora ha cominciato a uscire dalla prima pagina. E se questo calo di interesse si osserva nelle vicende politiche (si pensi al rifiuto dei conservatori americani di approvare nuovi aiuti), vale anche per gli artisti. Nikita Kadan testimonia di un crollo drastico nei contatti internazionali, fatti di scambi di e mail o di messaggi, dopo l’attacco di Hamas a Israele.

Ma tornando alle ragioni di questo viaggio, si può confermare che un fatto traumatico come la guerra ha fortemente rafforzato, almeno nella prima fase, la situazione artistica. Anche se, bisogna ammettere, persino un evento così dirompente nell’arco di un po’ di tempo viene riassorbito nella routine. Ma in questo arco di tempo l’arte ha acquisito un posto di maggiore rilievo nella società ucraina. Lo si vede dall’impegno economico che il governo continua a destinare alla cultura, nonostante le necessità belliche.

È una lezione anche per i nostri artisti, in un mondo come quello occidentale che è finora stato troppo confidente in una pace data per scontata e in buone condizioni di vita ottenute per sempre. Ci serve una guerra per sviluppare un’arte più sincera e profonda? Certo che no. Ma gli artisti e le istituzioni potrebbero provare a confrontarsi con i problemi più ardui, con le ferite aperte nella nostra società, che non sono sempre necessariamente di natura fisica, come un conflitto, ma che di certo non mancano anche da noi in questo momento complessivamente così conflittuale e traumatico.


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