Calabria, Mileto rinasce col suo Parco e il suo Museo: il nuovo volto della storia calabrese


A Mileto (Vibo Valentia) soffia un vento di rinnovamento: tra nuove scoperte, progetti culturali e la guida dei neo-direttori del Parco e del Museo, Paolo Mighetto e Maddalena Sica, il borgo intreccia il suo passato con una visione di futuro che punta alla riscoperta e alla valorizzazione del territorio. Ne abbiamo parlato coi direttori, l’intervista è di Anna De Fazio Siciliano.

Tira un’aria nuova a Mileto. Un fermento d’idee si avverte forte, unito ad entusiasmo di spirito e a un’urgenza di riorganizzazione concreta. L’occasione per averne prova si è presentata grazie al crescente interesse dimostrato nei suoi confronti rispetto ad alcune iniziative inserite in programma per i prossimi anni ma anche riguardo ad altre novità, oltre che dal successo di eventi già svolti e ormai consolidati. Le cose belle in quest’angolo della Calabria succedono soprattutto in virtù della continua “elezione” del passato di Mileto come fulcro della sua storia antica e futura.

In una intervista doppia, la prima al direttore del Parco Archeologico Mileto Antica, Paolo Mighetto e l’altra alla direttrice del Museo Statale di Mileto, Maria Maddalena Sica, entrambi nominati da poco tempo, possiamo vedere come i musei e i parchi archeologici calabresi si stanno riorganizzando proprio alla luce di questo interessante impulso innovativo. Proviamo a capire cosa sta succedendo, rintracciando non solo gli stimoli che qui il genius loci elargisce in abbondanza, i numerosi reperti antichi, tracce di un passato che non smette di parlare ma anche provando a interrogare quel senso d’identità che da queste parti forse non è mai mancato né da parte della cittadinanza né dai membri dell’amministrazione comunale.

Se il passato di Mileto, una città sperduta del Sud dell’Italia, è rimasto a lungo sepolto, sconosciuto oltre i confini regionali, è vero anche che, a volte, è proprio grazie ad alcune occasioni preziose e a scelte strategiche importanti che l’eredità storica di un luogo può risorgere, anticipare e dettare la visione del futuro. Tentando così anche in parte di risollevare le sorti di una regione complessa che nell’emigrazione e nel fenomeno dello spopolamento (soprattutto delle aree interne) ha visto frantumarsi la sua storia, i paesi, i luoghi tutti.

Ed è così che la forza di quei reperti, se valorizzati in modo accurato e intelligente, si rivela capace persino di riaccendere l’interesse sopito, riportando alla luce un luogo antico come questo, catapultandolo improvvisamente non solo al centro dell’attenzione nazionale ma anche spingendolo più vicino al cuore degli abitanti della regione.

Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Parco Archeologico di Mileto. Foto: Bruno Tripodi

Intelligenza e cura dei dettagli, quindi. Attraverso questi aspetti, anche storie a lungo dimenticate, come quella che stiamo per raccontare, riemergono con energia, rivelando tutta la loro sorprendente bellezza, come un tesoro nascosto che si svela piano piano, pezzo per pezzo. E se l’indizio di questa memoria, la sua spia è il racconto di una giornata che rievoca un momento storico oppure un dettaglio archeologico, o, ancora, l’impegno (come sarà evidente nelle interviste inserite in seguito) dei nuovi direttori, forse, non ha poi troppa importanza.

Iniziamo dalla festa medievale. È il 30 agosto, il giorno precedente alla festa del patrono, san Fortunato. In questa data si è svolta la suggestiva e consolidata rievocazione storica promossa dall’amministrazione comunale, rievocazione che racconta l’importante pagina della storia dei Normanni che ha vissuto Mileto durante l’età medievale. La festa ha ripercorso alcuni eventi, ogni anno ritualmente proposti, come il matrimonio tra Ruggero I e Giuditta d’Evreux e il dono delle chiavi da parte degli ambasciatori di Noto; con l’inserimento inedito, quest’anno, dell’atto di concessione dei terreni a San Bruno per l’edificazione della Certosa. Accorrendo da tutta la regione e non solo, la festa medievale ha avuto grande seguito di pubblico e si è sviluppata nell’arco di una intera giornata interessando diverse zone di Mileto, l’area antica della città, ovvero, la zona archeologica intorno alla vecchia Abbazia, e la città nuova, con le vie approntate di luci e festoni e l’apertura serale del Museo nazionale, nella seconda parte della giornata. Riti che si perpetuano da molto tempo, che riprendono le suggestive atmosfere medievali, con la tradizionale sfilata in costume, le parate di cavalli. Un collante che tiene uniti da circa 25 anni i cittadini al loro illustre passato. Mileto infatti è stata la città che Ruggero I ha scelto per insediare la capitale della sua contea normanna al Sud Italia.

Poi ci sono altri due casi, che riguardano l’archeologia pura; quello che parla di alcuni nuovi reperti rinvenuti e prontamente inseriti nel nuovo allestimento del Museo nazionale e l’altro del Parco archeologico dove una misteriosa incisione ha rimesso in luce alcuni aspetti vitali: un graffio fatto nell’Ottocento ha “ferito” una pietra scavandola dentro, lasciandole un segno dal significato però rivelatore.

Di Mileto, di questo luogo quasi magico, abbandonato e risorto più volte, possiamo far parlare le carte e i documenti osservandoli quindi da tanti punti; a partire, come detto, da una rievocazione storica sulle vicende dei Normanni ma possiamo anche considerare che per farla “riscoprire”, davvero “rinascere” servono non solo grandi progetti, anche piccoli particolari e molta cura.

Non è un caso, infatti, se in questo articolo parliamo proprio di un’incisione nella pietra dura, dalla quale in definitiva, qualche anno fa, è riaffiorata la seducente storia di Mileto antica, una storia “diffusa” che si può cogliere negli spazi maestosi del Parco e in quelli del suo Museo. Riemersa in verità già da qualche tempo all’interno del Parco questa curiosa scalfittura, la cui scoperta risale agli scavi del 1999-2000, è riapparsa in un punto poco visibile, un angolo marginale che delimita una zona da indagare (e che si indagherà) dell’antica Cattedrale. Sicuramente è stato un rinvenimento straordinario a questa altezza geografica e, se anche è rimasto troppo a lungo in sordina, ha comunque rimesso in dubbio certe verità ritenute indiscutibili sulle rotte italiane dei viaggiatori stranieri di pieno Ottocento. L’incisione segnala infatti due nomi, Aubin-Louis Millin e Franz Ludwig Catel, due studiosi, archeologo francese il primo, pittore tedesco l’altro, che tra il 1811 e il 1813 hanno graffitato il loro passaggio tra le pietre di Mileto. Proprio come altri artisti e altri studiosi facevano a Roma o a Pompei!

E questo non è l’unico punto eccezionale. Attraversata dagli stranieri del Gran Tour, a lungo studiata da Paolo Orsi, amata e curata dai cittadini e dall’arcadia settecentesca, l’Accademia Milesia, Mileto antica ha un peso estremamente rilevante e non esclusivamente per l’attinenza alla storia calabrese o dell’Italia del Sud ma anche per quella dell’intera Europa. Un filo ininterrotto unisce infatti questa terra meridionale alla Francia settentrionale.

Approfondiamo la sua storia. Capitale della contea normanna, come dicevamo, città prediletta strategicamente scelta da Ruggero I, Mileto ha una parabola talmente lunga che “spezza” la linea del tempo dall’antichità fino ben oltre l’età medievale, per arrivare alla fine del Settecento e al secolo dopo, quando centinaia di baronetti d’Oltralpe si riversavano in queste lande per fare il loro “viaggio in Italia”. In gran parte ancora sconosciuta perché fondamentalmente sotterranea – il terremoto del 1783 l‘ha ridotta in frantumi (quegli stessi frammenti che sono divisi tra Parco e Museo) – negli ultimi tempi, come abbiamo visto con qualche sporadico esempio, molto si sta facendo per riannodare i fili del suo grandioso passato con un futuro che attende di tornare a “sorridere”. Anzitutto per proteggerla e rilanciarla, a partire da una impegnativa campagna di scavi, si prevedono anche ulteriori iniziative, una di queste riguarda l’importante adesione a un progetto che si svolgerà in Normandia nel 2027 ma soprattutto molto si attende dall’impegno della direttrice del Museo e del direttore del Parco.

Ma procediamo per ordine. Se andiamo a caccia del suo illustre passato che cosa vediamo una volta giunti nella parte della città più antica? Che storia c’è sotto i nostri tacchi se andiamo a visitarla? Vestigia e rovine, crolli, poche colonne in piedi, e i loro basamenti, alcune a terra, la monumentale scarpa della Badia, moltissimi terrapieni. Si intravedono però anche resti di edifici gentilizi del Settecento e altre rovine molto più antiche. Tutti lacerti questi, brandelli di storia sempre pronti a riaccendersi e non solo attraverso il racconto di chi ha dato a questo luogo maggior lustro, Ruggero, I, che l’ha modellato conferendogli l’impronta definitiva. Mileto può e deve risorgere anche attraverso una precisa valorizzazione del repertorio del periodo precedente agli anni normanni, quando era un insediamento bizantino, e non è da dimenticare l’età romana e quella posteriore, allorché, durante la fortunata fase trecentesca a regnare fu la nobile famiglia Sanseverino (che ha commissionato alcune splendide opere marmoree ora esposte al Museo). La storia di Mileto, riassumendo molto, è davvero lunga – sede della contea normanna anzitutto, messa a ferro e fuoco alla fine del ‘400 dagli Aragonesi, aggregata al Collegio Greco di Roma nel 1581, poi assoggettata alla dominazione spagnola nel Seicento – in questo modo è ovvio che provare a salvaguardare le vicende che l’hanno attraversata, ribaltare lo sguardo per comprendere le sue fortune, trovare punti di forza con le comunità, e infine raccontare tutto questo costituisce davvero la grande sfida di Paolo Mighetto e Maddalena Sica.

Il Museo Statale di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Museo Statale di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Museo Statale di Mileto. Foto: Bruno Tripodi
Il Museo Statale di Mileto. Foto: Bruno Tripodi

L’intervista al direttore del Parco, Paolo Mighetto

ADFS. Prima di discutere dei progetti che si intendono mettere in campo per “riattivare” il Parco archeologico medievale di Mileto, ci racconta qualcosa riguardo alla sua nomina di Direttore?

PM. Il Parco Archeologico Medievale di Mileto Antica è un luogo della Cultura del Ministero e, pur essendo composto da terreni demaniali e privati, rientra nelle responsabilità di tutela della Soprintendenza della Città Metropolitana di Reggio Calabria e della Provincia di Vibo Valentia. Per questo motivo e per valorizzare l’identità storica e culturale di Mileto rappresentata dalla sua straordinaria storia e dai resti monumentali e ambientali la soprintendente Maria Mallemace, dal giugno scorso, ha voluto dare un segno forte di attenzione per il sito e per la sua Comunità nominando un Direttore responsabile. Un segno che mette bene in evidenza l’interesse sempre più vivo che il Ministero della Cultura sta dimostrando per i siti della nostra regione.

Da dove si dovrebbe iniziare? Come si può tutelare meglio Mileto antica?

Di certo dalla formazione di una sempre più ampia consapevolezza del valore di Mileto, del suo territorio e della loro storia quale motore primo di una tutela attiva. Dato che questa consapevolezza non può che nascere dalla conoscenza di quella stessa storia, allora occorre mettere in campo tutto quanto necessario ad indagarla, interpretarla e diffonderla. Qui a Mileto, per fortuna, a partire dalle ricerche di Giuseppe Occhiato, della Curia, dell’Accademia Milesia e della stessa Soprintendenza, è stata formata una base di conoscenza ampia, variegata e impostata su ricerche connotate da una solida scientificità, diffusa con convegni e pubblicazioni di grande valore che hanno riscoperto il ruolo di Mileto quale capitale della provincia normanna melitana -cioè della Calabria, della Puglia e della Basilicata-, voluta da Ruggero I d’Altavilla prima di spostarla a Messina e poi a Palermo con la formazione del Regno di Sicilia.

Quali sono i motivi per cui Ruggero I può aver scelto questo luogo come capitale della contea normanna?

Basta percorrere i luoghi del Parco, i due colli dove sorgono i resti dell’Abbazia della Trinità e della Cattedrale, uniti dalla sella dove sorgeva una parte del paese, per essere colpiti da una vera e propria fascinazione. Si volta lo sguardo sulle morbide colline circostanti e si vedono chiaramente le rocche di Vibo, di Arena, di Nicotera, fino a spaziare sullo Stretto di Messina. Un luogo con ricchissime sorgenti e già scelto dai bizantini e dagli arabi per la sua posizione strategica e vicina alla via romana Annia Popilia che partiva da Capua per raggiungere Reggio Calabria. Già in epoca romana è presente un qualche insediamento più a valle, dove non a caso sorge ora la città moderna che sostituisce quella antica distrutta dai terremoti del Seicento e del Settecento.

Parliamo di scavi. Quale parte della città antica sarà interessata nelle prossime campagne di scavo?

Lo scavo archeologico è uno degli strumenti che saranno messi in campo per ampliare quella conoscenza di cui parlavo prima ed estendendola ai periodi precedenti l’epoca normanna e fino a quelli più recenti; rappresenta una delle molte attività del nuovo programma di gestione che si sta mettendo a punto per il periodo 2025-2030 che coinvolgerà Università, Centri di Ricerca e Istituzioni con la volontà di configurare lo stesso Parco quale luogo della ricerca non solo archeologica.

Qual è uno degli obiettivi principali per valorizzazione Mileto? Qual è la sua visione?

È una visione molto ampia e ambiziosa, lo riconosco, ed è diretta a riportare Mileto al centro di quell’attenzione internazionale che ha avuto in passato e che oggi merita di recuperare. Questa rigenerazione ricostruisce e amplifica il sentimento di identità della Comunità che abita questo territorio attraverso molteplici azioni: quella della conoscenza e consapevolezza di cui si è già parlato ma anche quella che passa attraverso il recupero di un’attività agricola sana quale strumento di gestione e cura della componente naturale del patrimonio e quale veicolo di benessere ambientale e di valorizzazione della biodiversità, quella, poi, di un turismo lento responsabile e consapevole capace di costituire un valore per la stessa tutela del sito e per ka sua valorizzazione.

Paolo Mighetto
Paolo Mighetto

Le novità dal Museo nel racconto della direttrice Maddalena Sica

Molte altre sono le novità emerse da nuovi studi condotti negli ultimi tempi a Mileto. Reperti e frammenti inediti sono stati collocati all’interno delle sale del Museo nazionale. Un nuovo allestimento ne ha valorizzato fortemente la storia e l’importanza. Per l’occasione abbiamo chiesto alla direttrice del Museo nazionale di raccontarcele.

ADFS. Anche la sua nomina è recente. Ce ne vuole parlare?

MS. Sono un’archeologa e provengo dal mondo della libera professione, esercitata per poco più di 30 anni, in gran parte in Calabria il che mi ha consentito di sviluppare una profonda conoscenza del territorio dove ho avuto l’opportunità di progettare e curare diversi allestimenti museali come la sezione degli Italici al Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria e, per intero, l’allestimento del Museo della Polis e del Museo del Territorio a Locri. Oggi mi trovo a dirigere quello che si definirebbe un museo “minore”, nel senso che non è ancora interessato dai grandi flussi del turismo culturale. Ma è qui la grande sfida che ho deciso di accettare con la piena consapevolezza del notevole patrimonio culturale custodito sia al museo che nel territorio che potenzialmente pone Mileto nel novero dei siti di grande interesse culturale europeo. Perciò le attività in corso e quelle future hanno l’obiettivo di riscrivere il racconto di Mileto fuori dalla dimensione provinciale nella quale si trova confinato per entrare a pieno titolo tra i “grandi” musei nazionali. Questo sta già accadendo con la preziosa collaborazione del personale tutto del Museo. Nella mia visione, il Museo non è solo il luogo delle memorie silenti, bensì un luogo di memorie attive in grado a loro volta di generare cultura nella contemporaneità, nel costante rimando tra antico e moderno.

Ci racconta dell’ultimo scavo e delle novità emerse?

L’ultimo scavo effettuato nella tarda primavera di quest’anno nell’area della Mileto Antica, a cura della Soprintendenza (dott. M. Mazza) e dell’Università di Siena (prof. C. Citter), ha messo in luce per la prima volta nella storia della ricerca miletese parte di un’abitazione privata, costruita a ridosso della cattedrale sulla collina del Castello. Sono stati messi in luce alcuni ambienti vicino all’ingresso caratterizzato da un imponente portale in granito anch’esso parzialmente esposto al museo insieme ad alcuni manufatti (ceramici, vitrei, metallici), tra i quali spiccano le canne di un organo portatile, presentando così uno spaccato sugli ultimi momenti di vita della città colpita dall’ultimo terribile “flagello” del 1783. Ho voluto inserire nel percorso museale questa “novità archeologica” affinché risulti chiaro lo stretto rapporto tra museo e territorio, saldandoli perché l’uno non può esistere senza l’altro.

Quali sono i reperti rinvenuti e collocati al piano inferiore del Museo? Che è uno spazio già fortemente caratterizzato dalle preziosità di alcuni capitelli e da colonne e frammenti antichi.

Com’è noto il museo di Mileto espone diverse tipologie di materiali che però non rappresenta l’intero patrimonio, in parte ancora custodito nei depositi e che dovranno avere un adeguato trattamento espositivo, come i materiali di età pre-protostorica, greca e romana. Ed è questa la singolare eccezione del museo miletese che nel panorama dei musei nazionali ministeriali in Calabria è l’unico caratterizzato da diverse collezioni, da quella archeologica a quella storico-artistica e, ancora, a quella dell’arte sacra. Singolarità sancita da un accordo tra lo Stato, la Curia e il Comune di Mileto. Al momento al piano terra sono esposti diversi manufatti architettonici appartenenti a periodi storici diversi che coprono un periodo abbastanza ampio che va dall’età romana al 1700. Particolarmente interessante è il riuso di elementi architettonici di età romana, a volte anche di grandi dimensioni, riutilizzati in età normanna, e significativi manufatti di età bizantina e normanna, insieme a un nucleo di materiali datati tra il 1400 e il 1600. Prodotti speciali sono esposti anche al piano superiore come le bellissime opere trecentesche del cosiddetto Maestro di Mileto, lo splendido crocifisso seicentesco di Alessandro Algardi e la notevole collezione di argenti e paramenti sacri. La nuova sistemazione, comunque, è da considerarsi temporanea in attesa dell’avvio, prima dell’inverno, del nuovo progetto di riallestimento che comporterà anche un ampliamento dello spazio e delle sezioni espositive.

Che importanza ha avuto il progetto del nuovo allestimento?

Ogni nuovo allestimento comporta una serie di aggiornamenti sia espositivi che tecnologici. Metodi e tecniche espositive tese ad esaltare le caratteristiche degli oggetti e dei relativi contesti, quando presenti, sono in costante evoluzione e, quindi, per propria natura mutevoli. Diverso è per l’infrastruttura tecnologica museale che invece presidia le varie e cangianti necessità espositive. Ci aspettiamo, dunque, che il nuovo allestimento possa rispondere al meglio, per la parte di infrastruttura tecnologica, alle mutevoli necessità di presentazione e fruizione dei beni.

Che ruolo può avere per valorizzare meglio tutti i reperti e l’eredità che esprimono?

È assodato che ogni nuovo allestimento porta con sé diverse novità prima tra tutte un diverso modo di presentare quanto già esistente all’interno degli spazi museali, a volte fino a farli sembrare oggetti mai visti. Quindi sarebbe già un bel salto di qualità rendere apprezzabile quanto finora poco valorizzato. Una differente e ben ragionata esposizione può avere già il merito di suggerire un diverso e più coinvolgente storytelling che in questo caso potrebbe rappresentare storie mai raccontate prima.


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