È ora che Verona dia concretezza al progetto del Grande Castelvecchio


Carlo Scarpa fece di Castelvecchio un capolavoro. Oggi Verona rischia di lasciarlo imprigionato nel passato: servono nuovi spazi per un museo moderno. E ci sarebbero: basterebbe spostare il Circolo Ufficiali e liberare oltre duemila metri quadri da destinare al Grande Castelvecchio. L’articolo di Federico Giannini.

Quali ragioni ancora impediscono a Verona d’avere il suo grande museo, il suo Grande Castelvecchio, un complesso finalmente unito in tutte le sue parti, e che magari possa ancora rivelarsi, com’era stato più di cinquant’anni fa, un modello capace d’innovare, d’aprire strade, d’incantare, di sbalordire? Quali ragioni ancora ostacolano l’ampliamento d’un museo che ha una gran fame di spazî, che avverte viva e pungente la necessità d’allargarsi, e che pure avrebbe a portata di mano la soluzione che gli consentirebbe di diventare un istituto finalmente adeguato ai nuovi parametri della museografia internazionale?

Verona ha una perla che riluce sulla riva destra dell’Adige: il Museo di Castelvecchio, oltre al ruolo che riveste per la ricchezza, la completezza e il fascino della splendente collezione che annovera capidopera di Pisanello, Giovanni Bellini, Filippo Lippi, Crivelli, Mantegna, Rubens, Tintoretto, Tiepolo e di tutti i grandi della pittura veronese d’ogni secolo, è da considerare, per le ragioni che sono state limpidamente sintetizzate su queste pagine da Ilaria Baratta, uno dei più brillanti gioielli della museografia mondiale. È innegabile che l’intervento voluto dall’allora direttore Licisco Magagnato, e poi progettato e compiuto tra le mura di Castelvecchio da Carlo Scarpa tra il 1958 e il 1964, con ulteriori lavori che si sarebbero in seguito protratti fino alla metà degli anni Settanta, abbia rappresentato un modello museografico del tutto nuovo e ancor oggi studiato ovunque, fonte d’ispirazione per schiere d’architetti, motivo di stupore per le migliaia di visitatori che ogni anno entrano nella fortezza scaligera. Poi, negli anni, com’è accaduto a tutti i musei importanti, anche Castelvecchio è cresciuto: sono cresciuti i numeri dei visitatori (che ormai, ogni anno, superano di slancio la soglia dei duecentomila), sono cresciute le collezioni, sono cresciute l’esigenze di fare del museo non soltanto la sede delle collezioni cittadine d’arte antica, ma anche un centro di ricerca, un istituto dove si scrivano ancora pagine di storia dell’arte veronese, un luogo di socialità aperto e accogliente per i cittadini e per gli ospiti della città, e dove i visitatori abbiano il piacere di tornare. Il problema, tuttavia, è che l’allargamento del museo, che darebbe concretezza all’agognato progetto del Grande Castelvecchio, è al momento impedito dalla convivenza col Circolo Unificato dell’Esercito, già Circolo Ufficiali, che occupa un’area di duemila metri quadri (che diventano oltre tremila se si considerano anche gli esterni) all’interno della fortezza scaligera. Ed è proprio questa l’area che consentirebbe al museo d’estendersi e di garantire finalmente quei servizî che al momento non è in grado di soddisfare.

Verona, Castelvecchio. Foto: Federico Bruni
Verona, Castelvecchio. Foto: Federico Bruni
La Corte d'Armi, con, in alto a destra, l'ingresso al museo
La Corte d’Armi, con, in alto a destra, l’ingresso al museo

Occorre, intanto, una premessa storica. Il Circolo Ufficiali ha sede a Castelvecchio dal 1927, quando il Demanio, all’epoca proprietario della fortezza sull’Adige, concesse all’Esercito l’uso dell’ala occidentale affinché v’installasse il suo circolo, sebbene fosse già in piena attuazione il progetto di trasformare Castelvecchio in un museo, dopo la dismissione della caserma che aveva sede nel castello. Anzi: il museo era già stato inaugurato, il 25 aprile del 1926. Solo due anni dopo, tuttavia, il Demanio avrebbe ceduto in uso perpetuo Castelvecchio al Comune affinché lo adibisse a sede del Museo Civico. Nell’atto di cessione, datato 23 febbraio 1928, si può leggere un dettaglio di non poco conto: la cessione comprendeva anche “i locali […] attualmente occupati dal Circolo Militare ed annessi accessori e della Biblioteca presidiaria, concessi in uso con il contratto 14 dicembre 1927 stipulato presso l’Ufficio del Demanio di Verona per la durata di anni 29 dal 1° gennaio 1927”. L’occupazione delle forze armate sarebbe dovuta cessare “non appena il Comune di Verona metterà a disposizione dell’Amministrazione Militare altri locali adatti allo stesso scopo”.

Fin dall’inizio, dunque, era stabilito che il Circolo dovesse avere una sede solo temporanea in Castelvecchio. Una sede da lasciare appena il Comune di Verona avesse trovato per gli ufficiali dell’esercito una sede più acconcia. Come spesso accade in Italia, tuttavia, quel che doveva essere temporaneo è divenuto permanente: possiamo risparmiare al lettore tutte le lungaggini burocratiche intervenute nei decennî e tutti gl’impaludamenti che la questione, di cui si parla da decennî, ha conosciuto nel corso della storia, ma sarà interessante comunque evidenziare che la convivenza tra Museo e Circolo ha continuato il suo corso senza una regolamentazione fino al 1983, anno in cui un “verbale di ricognizione e consegna” ha assegnato al Ministero della Difesa l’area occupata dal Circolo, che peraltro nel 2010 è stato riconosciuto come un’articolazione del ministero stesso, tanto che, nel 2016, il trasferimento dal Demanio al Comune di Verona della piena proprietà del complesso di Castelvecchio ha riguardato soltanto la parte adibita a museo, mentre lo stesso anno l’area occupata dal Circolo è stata consegnata dal Demanio al Ministero della Difesa. I problemi di ordine amministrativo, tuttavia, importano relativamente: non esiste questione burocratica che, per quanto annosa e intricata, non possa esser risolta con beneficio di tutti. E quello di Castelvecchio è esattamente un caso di convivenza oramai forzata che, qualora venisse sciolta, gioverebbe agl’interessi d’ognuna delle parti: del Museo, che avrebbe finalmente lo spazio per allargarsi. Del Circolo, che avrebbe una sede nuova e moderna, peraltro già individuata. Della città, che potrebbe rilanciare il suo museo. Degli ospiti, che avrebbero facoltà di visitare un museo moderno, che soddisfi quei requisiti minimi di partecipazione, accessibilità, sostenibilità, capacità di fidelizzazione che ogni istituto dovrebbe garantire.

Museo di Castelvecchio, la Galleria delle Sculture
Museo di Castelvecchio, la Galleria delle Sculture. Foto: Valentino Cordioli © Comune di Verona - Musei Civici di Verona
Museo di Castelvecchio, la Galleria delle Sculture
Museo di Castelvecchio, la Galleria delle Sculture. Foto: Václav Šedý © Comune di Verona - Musei Civici di Verona
Allestimenti del Museo di Castelvecchio
Allestimenti del Museo di Castelvecchio © Comune di Verona - Musei Civici di Verona
Allestimenti del Museo di Castelvecchio. Foto: Civica Alleanza Castelvecchio
Allestimenti del Museo di Castelvecchio. Foto: Civica Alleanza Castelvecchio
Allestimenti del Museo di Castelvecchio. Foto: Civica Alleanza Castelvecchio
Allestimenti del Museo di Castelvecchio. Foto: Civica Alleanza Castelvecchio

È sempre stato difficile, com’è ovvio immaginarsi, intervenire su Castelvecchio: qualunque architetto incaricato di riordinare le sale non avrebbe l’ardire di toccare l’allestimento di Carlo Scarpa. Non è una reliquia, certo, e non è impossibile aggiornarlo. Ma non è neppure un allestimento come gli altri. Modificare radicalmente le sale di Carlo Scarpa sarebbe come pensare di cambiare il volto della Madonna della quaglia di Pisanello. Questo allestimento è un’opera d’arte, un esemplare gesto di rispetto e di conoscenza nei riguardi dell’antica fortezza, un fondamentale documento storico, un percorso fondato sull’idea della compresenza di passato, presente e futuro, un itinerario in cui sembra quasi di sentire il respiro delle opere sul collo. Viceversa, l’ultima parte del percorso, dove si trova la Sala Boggian, è quella dove meno incisivo è stato l’intervento di Carlo Scarpa, e dove pertanto più esteso potrebbe essere un eventuale ammodernamento degli allestimenti. Senza che il museo rimanga prigioniero di se stesso.

Al momento, la Sala Boggian è adoperata per le mostre temporanee. Ricordo ancora l’ultima grande mostra che ho visitato in questo spazio, quella sulla pittura veronese del Cinquecento, che s’è tenuta tra 2018 e 2019 e della quale ho tuttora un piacevole e vivido ricordo, perché mostra di grande godibilità e d’ancor più somma qualità, e perché la mia recensione venne pubblicata sul primo numero del cartaceo di Finestre sull’Arte. Qualora l’area attualmente occupata dall’esercito venisse liberata, la Sala Boggian potrebbe esser destinata all’esposizione della pittura veronese del Sei e del Settecento, che adesso, per ragioni di spazio, è per gran parte confinata nei depositi, mentre la nuova ala potrebbe ospitare un salone per le mostre temporanee, gemello della Boggian. Ma non è solo di spazî espositivi che ha bisogno il Museo di Castelvecchio. Lo sa bene chiunque lo abbia visitato: la rivendita di libri e souvenir è striminzita e costretta a coabitare con la biglietteria e con una minuscola schiera d’armadietti spacciata per guardaroba (l’ampliamento consentirebbe invece d’avere un significativo bookshop che rivaleggi con quello dei grandi musei), ai visitatori è data una sola toilette in tutto il museo, non esiste un caffè, non esiste un ristorante (che a tanti potrebbe certo sembrare un sovrappiù, ma in un museo dove si può agilmente passare una mezza giornata sarebbero una comodità non da poco). In più, la Biblioteca d’Arte, una delle più importanti raccolte librarie specialistiche di tutto il Veneto, frequentata da oltre tremila persone l’anno, adesso è stipata in appena centoquaranta metri quadri: ha, in sostanza, le dimensioni d’un appartamento di taglio classico.

Esiste già un progetto di come potrebbe essere allargato Castelvecchio qualora l’ala del Circolo Unificato entrasse nelle disponibilità del museo. Ed è peraltro un progetto già piuttosto datato: è frutto d’un gruppo di lavoro radunato dagli Amici dei Civici Musei d’Arte di Verona e confluito nel 2017 in una pubblicazione, Fantasie per Castelvecchio, che includeva una proposta per l’ampliamento. La parte finale dell’attuale percorso diventerebbe dunque una consistente sezione sul Sei e sul Settecento, ch’estenderebbe l’attuale, al momento ospitata in sole due sale sulle più di trenta che costituiscono l’itinerario di visita odierno (è come se la sezione presente ottenesse tre o quattro sale aggiuntive). Le sale dove oggi hanno sede gli uffici del personale (che verrebbero trasferiti nella nuova ala, dentro spazî pressoché raddoppiati) verrebbero in parte adibite a sezione dedicata al racconto della storia di Castelvecchio (oggi assente), e in parte sarebbero destinate all’ampliamento dell’area d’accoglienza, con il nuovo bookshop, coi servizî igienici al momento riservati al personale che verrebbero messi a disposizione del pubblico, con l’apertura di una nursery, con un guardaroba che sia degno di questo nome. E nella Torre del Mastio si ricaverebbe lo spazio per esporre le stoffe di Cangrande, rara raccolta di tessuti trecenteschi rinvenuti nel 1921. Nei duemila metri quadri in più che il museo potrebbe ottenere, verrebbe invece aperta la nuova sala mostre (che andrebbe a occupare l’attuale salone del Circolo), ci sarebbero nuove aule per la didattica, potrebbe esser sistemato il Gabinetto Numismatico che adesso può contare solo su spazî angusti, si garantirebbe l’apertura di un caffè-ristorante sfruttando le strutture di quello attuale del Circolo, sarebbero installati gli uffici del personale che darebbero accoglienza a venti addetti, e poi ancora ci sarebbero il laboratorio di manutenzione per le opere, un deposito da quattrocento metri quadri, l’aula didattica, la nuova Biblioteca d’Arte. E si potrebbe infine completare il percorso dei camminamenti, che adesso s’interrompe laddove il museo incontra l’ala del Circolo.

La Sala Boggian durante la mostra sulla pittura veronese del Cinquecento (2018-2019)
La Sala Boggian durante la mostra sulla pittura veronese del Cinquecento (2018-2019)
L'attuale biglietteria-bookshop-guardaroba, in 50 metri quadrati
L’attuale biglietteria-bookshop-guardaroba, in 50 metri quadrati
Rendering del progetto per il nuovo Circolo Unificato
Rendering del progetto per il nuovo Circolo Unificato all’ex Ospedale Militare

Si tratta, naturalmente, d’una proposta: non è detto che sia l’unica, né che sia la migliore. E anche i costi per adesso son stati solo stimati. Ogni proposta, tuttavia, non può che passare per la liberazione dell’ala adesso occupata dall’esercito. E senza questa volontà, senza una soluzione condivisa, non si può al momento procedere oltre. Nessuno, naturalmente, si sogna di lasciare il Circolo in mezzo alla strada. Esistono già sul tavolo proposte per una nuova sede, alternamente individuata in Palazzo Carli, che si trova peraltro proprio dirimpetto a Castelvecchio, o nell’ex ospedale militare di Santo Spirito, per il quale nel 2017 gli Amici dei Civici Musei di Verona commissionarono un progetto di nuova sede per il Circolo Unificato, poi donato all’Esercito. Non esistono validi motivi perché s’impedisca l’ampliamento del museo: non ci sono ragioni storiche (fin dal 1927 la presenza del Circolo a Castelvecchio era stata intesa come temporanea), non ci sono ragioni culturali (Castelvecchio ha necessità d’ampliarsi, Verona ha necessità d’un grande museo conforme a quel che la modernità chiede), non ci sono ragioni pratiche (lo spostamento del Circolo sarebbe di reciproco beneficio). Chi finora s’è speso per difendere strenuamente la presenza del Circolo a Castelvecchio lo ha fatto giusto per abitudine, per nostalgia (un trasloco, del resto, è sempre una questione di legami affettivi, però l’affetto a un edificio si dimostra anche accettando una scelta che per se stessi è sentimentalmente difficile, ma che comporta vantaggi a tutti se rischiarata da una luce raziocinante) o per ragioni d’impalpabile e poco concreta solidarietà alle forze armate: ebbene, forse sarebbe un gesto di maggior vicinanza consentire al Circolo di contare su di una sede nuova, moderna, più adatta. Nessuna ragione di chi difende l’attuale presenza del Circolo a Castelvecchio resisterebbe a trenta secondi d’analisi razionale. Ci sono, del resto, anche molti militari, ufficiali e frequentatori del Circolo che, specie nel 2021, quando il dibattito sul Grande Castelvecchio conobbe un momento di forte popolarità (era periodo d’elezioni), sono intervenuti sulla stampa per sostenere il progetto dell’ampliamento di Castelvecchio e per caldeggiare lo spostamento del Circolo.

La storia, peraltro, ha anche un precedente, quello di Palazzo Barberini a Roma, che aveva lo stesso problema di convivenza di Castelvecchio: dapprima, il Ministero della Difesa traslocò il Circolo Ufficiali nella palazzina Savorgnan di Brazzà, sede vicina a Palazzo Barberini e più adatta, e poi, nel 2015, firmò un accordo col Ministero dei Beni Culturali per cedere al museo anche le sale dell’ala sud che fino a quel momento erano state nella disponibilità delle forze armate, e quattro anni dopo è stato possibile aprire in quei locali nuove sezioni del percorso espositivo e ampliare gli spazî dedicati alle mostre temporanee. Non esiste, dunque, situazione che non possa esser risolta con proficua soddisfazione per tutte le parti: la Civica Alleanza per un Grande Castelvecchio, gruppo che s’è costituito sei anni fa e che raduna professionisti, enti e associazioni veronesi per dar concretezza al progetto, continua ad animare la discussione per fare in modo che si possa addivenire alla più naturale e scontata soluzione della faccenda. Non è questione di “se”: è solo questione di tempo, e Verona avrà il suo Grande Castelvecchio. L’auspicio è solo che l’attesa sia la più corta possibile, perché siamo certi del fatto che il museo non rimarrà soffocato, e che Verona saprà scegliere la strada migliore, la strada che porta a un museo moderno, in grado d’offrire ai suoi visitatori servizî e spazî adatti a un istituto entrato nel terzo millennio, la strada che porta a un’idea di città ch’è consapevole del proprio patrimonio, che sa dialogare coi suoi padri, che sa lustrare i suoi gioielli senza snaturarli ma, anzi, interpretando al meglio lo spirito di chi ha reso Castelvecchio un esempio, un modello, un laboratorio. È ora d’avviare una nuova stagione per Castelvecchio, che raccolga l’eredità di Carlo Scarpa, applichi i suoi stessi principî di cura attiva del patrimonio e faccia vivere il museo nel presente.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Al suo attivo anche docenze in materia di giornalismo culturale (presso Università di Genova e Ordine dei Giornalisti), inoltre partecipa regolarmente come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).




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