Non esiste una guida della Garfagnana e della Media Valle del Serchio che eviti di citare uno dei suoi simboli più riconosciuti, il Ponte della Maddalena, noto a tutti come il Ponte del Diavolo, che da sempre incuriosisce i viaggiatori che transitano in questa zona della Provincia di Lucca, all’inizio della Media Valle, sulla strada statale, la 12 dell’Abetone del Brennero, che porta verso Barga e la Garfagnana. Le descrizioni di questo bizzarro ponte situato nei pressi di Borgo a Mozzano, alle porte di Lucca, abbondano fin dalla letteratura di viaggio dell’Ottocento: a suscitare meraviglia la sua forma a schiena d’asino, la sua forma asimmetrica, il suo grande arco sbilenco vicino alla riva del Serchio e le altre quattro arcate più piccole, una attraversata dalla ferrovia sulla riva sinistra e le altre vicine alla riva destra, e le leggende che si raccontano sulla sua costruzione.
Già nel 1581, Michel de Montaigne citava il ponte nel suo Journal de Voyage: “La plus part du chemin fut par un chemin bas, assés aisé entre des montaignes, quasi toutes fort ombragées & habitables partout le long de la riviere de Cerchio. Nous passames plusieurs villages & deus fort bourgs Reci & Borgo, & au-deça ladicte riviere que nous avions à notre mein droite, sur un pont de hautur inusitée, ambrassant d’un surarceau une grande largeur de ladicte riviere, & de cette façon de pons nous en vismes trois ou quarre” (“La maggior parte del percorso era su un sentiero basso, abbastanza facile tra le montagne, quasi tutte molto ombreggiate e abitabili ovunque lungo il fiume Serchio. Passammo diversi villaggi e due città molto piccole, Decimo e Borgo, e oltre il detto fiume che avevamo alla nostra destra, su un ponte di insolita altezza, che attraversa con un arco una grande larghezza del detto fiume, e in questo modo ne vedemmo tre o quattro”). Nel 1880, una delle prime giornaliste viaggiatrici italiane, Aurelia Folliero De Luna, nel suo libro di viaggi Lagune, monti e caverne, così descriveva il Ponte del Diavolo: “È una forma bizzarra di ponte, a cinque archi diseguali: una curva arditissima forma un arco acuto sul Serchio e congiunge le due sponde. ‘Cosa è quel ponte?’, chiesi al mio vetturino. ‘Il ponte del diavolo, Signora’. ‘Come del diavolo, perché questo nome?’. ‘Perché lo ha fatto lui in una notte sola... ’. E vistomi sorridere, aggiunse: ‘Dicono!’”. Seguiva il racconto della leggenda, dovuto alla singolare forma di questo ponte.
La tradizione popolare attribuisce la costruzione del ponte proprio al diavolo in persona: nei secoli è sempre stata giustificata in questo modo una prodezza ingegneristica ritenuta ai limiti del possibile. La versione più diffusa della leggenda narra che il capomastro Aldebrandino, incaricato della costruzione, si trovò in grave difficoltà a causa delle continue e impetuose piene del fiume, e capì che non sarebbe riuscito a completare il lavoro entro i termini stabiliti. In preda alla disperazione, mormorò ad alta voce che solo l’aiuto del diavolo gli avrebbe permesso di vincere il fiume. A quel punto, Satana gli apparve in persona e gli propose un patto: Aldebrandino avrebbe ultimato la costruzione in una sola notte, e il diavolo gli avrebbe garantito che il ponte sarebbe durato per secoli, a condizione di ottenere l’anima del primo essere vivente che lo avesse attraversato. Il capomastro accettò, ma subito dopo l’ultimazione dell’opera, si pentì e si rivolse al prete del paese per chiedere aiuto. Insieme, escogitarono uno stratagemma astuto: rispettare il patto, ma ingannare il Maligno. La mattina seguente, il capomastro attirò sul ponte un cane randagio con un pezzo di pane o di focaccia (o secondo altre versioni, un maiale, e secondo un’ulteriore variante della leggenda, Aldebrandino avrebbe fatto tutto da solo: avrebbe pensato di sacrificarsi passando per primo sul ponte, prima di cambiare idea notando il cane che passava per caso), facendolo passare per primo. Il Diavolo, colto di sorpresa e infuriato per la beffa subita, si dissolse in una nube di zolfo o, secondo altri racconti, si gettò nelle acque del Serchio urlando e poi scomparendo per sempre. Alcune leggende locali riportano che l’anima del cane, talvolta identificato come un pastore maremmano bianco, appaia sul ponte nelle notti d’autunno, o che il suo corpo pietrificato giaccia sul fondo del fiume. Un’altra leggenda secondaria associa il ponte alla storia della nobildonna lucchese Lucida Mansi, che, in cambio di trent’anni di giovinezza eterna, accettò di cedere l’anima a Lucifero, il quale la prelevò sul punto più alto del ponte per poi gettarla nel Serchio.
Leggende a parte, il ponte è un ammirevole capolavoro di ingegneria medievale. La sua architettura è definita dalla sua asimmetria, con l’arco maggiore posizionato al centro, che raggiunge un’altezza notevole di circa 18 metri e una luce massima di 37,8 metri. Proprio questa struttura convessa e quasi a cuspide ha sempre suscitato meraviglia, specialmente in epoche passate, contribuendo a far nascere la convinzione che la sua costruzione non potesse essere opera unicamente umana. A ciò si aggiunga che si trattava di un’infrastruttura molto conosciuta perché la necessità di collegare le due sponde del Serchio era fondamentale per i mercanti, i pellegrini e gli avventurieri che transitavano per quella che era un’importante arteria stradale fin dall’antichità. La complessità della costruzione su un fiume solitamente impetuoso come il Serchio, e che probabilmente richiese anche deviazioni del corso d’acqua, alimentò le storie che ne giustificavano l’insolita architettura. Sebbene l’attuale aspetto slanciato sia ancora impressionante, in passato il profilo doveva essere ancora più netto (ci sono incisioni cinquecentesche che lo attestano), prima che la realizzazione di una diga nel secondo dopoguerra innalzasse il livello delle acque del fiume Serchio nelle sue vicinanze.
Ad ogni modo, le esatte origini del ponte rimangono ancora avvolte nel mistero, con poche notizie storiche certe che ne documentino l’anno preciso di edificazione. Le fondazioni della struttura vengono fatte risalire, in base ad alcune ipotesi, all’XI secolo, forse per volontà di Matilde di Canossa, la potente signora che esercitò grande influenza anche sulla Garfagnana. Matilde è citata nella biografia di Castruccio Castracani redatta da Nicolao Tegrimi come la presunta committente della struttura. Non ci sono però notizie certe al riguardo. Sappiamo invece con sicurezza che l’aspetto attuale del ponte è in gran parte dovuto agli interventi di rifacimento promossi da Castruccio Castracani, condottiero lucchese, all’inizio del XIV secolo, precisamente tra il 1324 e il 1327. Si ritiene verosimile che la costruzione del ponte sia avvenuta in momenti distinti e per mano di costruttori diversi. Il ponte fu citato anche da Giovanni Sercambi in una novella del XIV secolo. Nel Cinquecento, questa importante infrastruttura assunse il nome di “Ponte della Maddalena”, denominazione ufficiale che tuttora conserva, in riferimento a un Oratorio dedicato alla Santa che si trovava nei pressi della struttura, sulla sponda sinistra del fiume.
Nel corso dei secoli, la struttura ha subito modifiche e danni. Già nel 1670, il Consiglio generale della Repubblica di Lucca emanò un decreto che vietava il passaggio di “ceppi” e macine da mulino per preservare l’integrità del ponte. La prima alterazione significativa si verificò nel 1836, a causa di una violenta piena del Serchio che provocò gravi danneggiamenti. Un’altra modifica drastica e “pesante” per l’architettura originaria avvenne nei primi anni del Novecento, quando fu necessario modificare pesantemente uno degli archi per consentire il passaggio della ferrovia Lucca-Aulla. Questa decisione fu controversa e venne approvata dal consiglio comunale nel 1898, nonostante l’esistenza di un progetto alternativo per far passare la ferrovia sulla riva opposta.
Il ponte è anche sopravvissuto a eventi bellici. Durante la seconda guerra mondiale, sebbene fosse stato minato dalle truppe tedesche in ritirata verso la Linea Gotica settentrionale, non venne fatto saltare, e si salvò. La sua resistenza fu cruciale per gli Alleati, che lo utilizzarono per trasportare materiali e poco distante costruirono un ponte militare provvisorio, essenziale dopo la distruzione di altre strutture. Per diversi anni dopo il conflitto, fu anche l’unico attraversamento disponibile sul Serchio a Borgo a Mozzano.
Il Ponte della Maddalena è oggi riconosciuto come bene di interesse culturale ai sensi del Codice dei beni culturali e del paesaggio, ed è di proprietà del Comune di Borgo a Mozzano. Data la sua importanza storica e architettonica, la struttura è stata di recente oggetto di un significativo intervento di manutenzione e restauro, promosso anche attraverso iniziative come Art Bonus. Il progetto di recupero e riqualificazione si è reso necessario a causa di problemi diffusi che si erano sviluppati in assenza di interventi manutentivi. Tra le priorità più impellenti vi era l’eliminazione di piante infestanti e l’intervento di conservazione della struttura (rimozione di malte e porzioni incongruenti, sostituite con materiali appropriati, ripristino delle parti mancanti e conseguente stuccatura, pulizia delle pietre, rimozione di macchie e croste). Un aspetto cruciale del restauro è stato affrontare le infiltrazioni di acqua dal camminamento, un problema che rischiava di compromettere l’efficienza statica dell’intera opera. In questo contesto, è stata valutata l’opportunità di applicare trattamenti impermeabilizzanti e di creare feritoie discrete che permettano all’acqua di defluire adeguatamente, prevenendo ristagni e lo scolo lungo le pareti murarie. Il costo complessivo del restauro conservativo, concluso nel 2020, e la riqualificazione delle aree limitrofe è stato di 200mila euro: circa la metà di questa somma ha sfruttato il meccanismo dell’Art Bonus, con erogazioni provenienti da contributi di persone fisiche, imprese e, in larga parte, dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Lucca. Oggi, il Ponte della Maddalena continua a rappresentare un punto di riferimento fondamentale, non solo come capolavoro architettonico medievale, ma anche come porta d’accesso alla valle del Serchio. L’opera resiste al tempo, unendo il passato e il presente della comunità di Borgo a Mozzano e della Toscana tutta.
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