“Innovazione basata su ricerca e intrattenimento: ecco cosa serve alle istituzioni culturali italiane”. Parla Umberto Pastore


Intervista a Umberto Pastore, amministratore delegato di Creation, azienda attiva nell'ambito dei servizi per la cultura e per i beni culturali.

Operativa da gennaio 2021, a un anno dalla sua costituzione Creation è diventata una delle realtà imprenditoriali italiane più interessanti nell’ambito dei servizi per la cultura e per i beni culturali: ideata da un gruppo di soci con all’attivo oltre quindici anni di esperienza nel settore, Creation si rivolge a soggetti pubblici e privati (come i musei e le fondazioni, per esempio) con un’ampia gamma di servizi (comunicazione, progettazione di mostre, brand design, video e grafica, pianificazione di campagne mediatiche, social media marketing e molto altro). L’idea di fondo è che la cultura debba guardare alla progettazione con un approccio orientato all’innovazione. Ecco come Creation è nata, cosa offre e come si è collocata sul mercato: ne abbiamo parlato con Umberto Pastore, amministratore delegato. L’intervista è a cura di Federico Giannini.

Umberto Pastore
Umberto Pastore

FG. Vorrei partire domandando Le che cos’è Creation, quali sono i suoi punti di forza, a chi si rivolge, come si pone sul mercato degli operatori culturali.

UP. Creation è nata per rispondere alle sfide del momento storico che stiamo vivendo: durante il periodo di restrizioni dovute alla pandemia abbiamo assistito a una vera e propria foga mediatica. Molti musei si sono riversati sui social pur di essere visibili, come strumento di sopravvivenza: è stato in quell’occasione che si sono palesate le lacune in tema di comunicazione di gran parte delle Istituzioni culturali italiane. Oggi che viviamo l’epoca delle riaperture molti di quei limiti sussistono, anche sul terreno della ri-programmazione e della ri-progettazione. L’idea di Creation, sin dal principio, è stata quella di mettere sul campo una startup culturale che potesse soddisfare, in termini di servizi, tutte le mancanze che si sono manifestate durante questa lunga fase di cambiamento, attraverso esperienza, competenza ma anche innovazione, a tutti i livelli, anche in termini di approccio e di processo. A cominciare dal doppio campo d’azione, con la comunicazione che si integra alla progettazione culturale (mostre, eventi, convegni, tutto ciò che significa progettare cultura). Che questa fosse un’esigenza della nostra controparte, ci è stato confermato anche dai direttori di musei con cui ci siamo interfacciati per testare la nostra idea imprenditoriale. Va detto, però, che non tutti gli operatori culturali sembrano aver mostrato la giusta consapevolezza per affrontare il momento che stiamo vivendo. Non sempre si è fatto tesoro di quanto è accaduto e l’importanza di un rinnovamento anche delle proposte non è stata compresa a fondo. Si registra un certo stallo in alcuni contesti culturali. Creation crede di essere l’interlocutore ideale, potendo garantire al contempo velocità di intervento e una conoscenza dettagliata del settore così come degli strumenti di comunicazione, tanto quelli tradizionali quanto quelli all’avanguardia. Al nostro interno abbiamo infatti persone che lavorano sul contenuto progettuale e sugli aspetti dell’innovazione museale, come le nuove tecnologie, per poter essere aggiornati e rispondere a tutte le esigenze. L’assetto societario è costituito da donne e uomini che negli anni hanno costruito e fatto crescere aziende di servizi (web, distribuzione, video, advertising) nell’ambito della cultura. Inoltre, le persone che lavorano per e con Creation hanno competenze trasversali rispetto agli ambiti specifici dell’azienda: abbiamo storici dell’arte, grafici, videomaker, social media manager solo per fare degli esempi. Collaboriamo con free lance selezionati per rappresentare figure innovative e “fresche” e per riuscire a tradurre al meglio i contenuti che intendiamo offrire. Anche riguardo la progettazione culturale, siamo a tutti gli effetti propositivi nel portare un quid distintivo d’innovazione. Sia da esempio pratico la mostra che abbiamo curato per il castello di Gallipoli, la scorsa estate, intitolata Un mare di storie e immaginata sotto forma di racconto multimediale incentrato sulla stessa storia del luogo ospitante: il visitatore entrando nel castello di Gallipoli incontrava tre personaggi storici virtuali (l’architetto rinascimentale Francesco di Giorgio Martini, il pittore paesaggista Jakob Philipp Hackert e la zarina di Russia Caterina II), interpretati da tre attori che raccontavano in maniera informale, come se si trattasse di un viaggio nel tempo, il motivo della loro presenza e cosa li lega al territorio e alla storia locale. Un racconto come preludio narrativo allo spettacolo immersivo che contraddistingueva la seconda parte della mostra, con la proiezione di un videomapping 3D sulla gigantesca cupola della Sala Ennagonale. Una modalità integrata, quindi, che prevede la divulgazione di contenuti storici attraverso forme innovative e accessibili che favoriscano l’apprendimento informale, il tutto a un prezzo assolutamente equo (5/7 euro). Anche l’equilibrio dei costi, del resto, è un tema importante. Noi crediamo si possano realizzare cose interessanti a prezzi sostenibili. Il momento lo richiede. Nelle nostre proposte c’è poi la volontà costante di privilegiare progetti originali: tra pochi giorni apriremo la nostra prima mostra fotografica, un genere su cui puntiamo senza riserve (lo dico da grande appassionato del genere, e da chi ha lavorato con molti grandi fotografi, da Sebastião Salgado a Steve McCurry passando per Letizia Battaglia) anche in ragione dei costi contenuti di realizzazione, che meglio si adattano alle esigenze dei Comuni e degli Enti con cui collaboriamo. La mostra che inaugureremo al WEGIL di Roma il 4 febbraio 2022, intitolata Alberto di Lenardo. Lo sguardo inedito di un grande fotografo rappresenta perfettamente la nostra idea di andare a lavorare con fotografi che sono a un passo dall’essere definitivamente consacrati al grande pubblico, artisti che hanno già ricevuto riconoscimento dalla critica e raggiunto una dimensione internazionale, ma in Italia non sono ancora conosciuti a dovere. Nel caso della mostra che si terrà a Roma, Creation si è spinta addirittura su un nome inedito della fotografia, andando a realizzare una prima assoluta, una retrospettiva di un grande artista da scoprire, Alberto di Lenardo, mai esposto prima d’ora ma edito in un volume cartaceo della casa editrice londinese Mack, apprezzatissimo dalla stampa internazionale che ha scomodato, in relazione al fotografo friulano, nomi altisonanti quali Vivian Meier, per la storia personale che lo ha consegnato alla storia solo post morte e Luigi Ghirri per lo sguardo poetico con cui ritrae momenti di quotidianità e i contesti intimi e paesaggistici dei suoi viaggi. Questo è uno dei tratti distintivi di Creation: il cliente può affidarsi a noi anche per avere una novità in termini di proposte culturali. Queste skill, insieme alla conoscenza profonda del settore cultura e all’approccio votato all’innovazione, hanno la possibilità di esprimersi al meglio soprattutto se inscritti in una visione d’insieme. Creation ha il suo plusvalore proprio in questa capacità di offrire consulenze strategiche a 360°, motivo per cui siamo partner di realtà attive quali leader nazionali in ambito culturale e nell’organizzazione di mostre, ma anche di musei e amministrazioni comunali che supportiamo nello sviluppo di alcune aree operative. La visione strategica è la qualità che ci viene riconosciuta e l’abilità per cui siamo diventati consulenti anche di un colosso come la Fondazione Musica per Roma che si affida a Creation per la consulenza strategica sulla comunicazione appunto e per alcuni progetti ad hoc come la mostra su Adrian Tranquilli, Un Unguarded moment, visitabile presso l’Auditorium Garage, nuovo spazio espositivo romano.

Un mare di storie, videomapping al Castello di Gallipoli
Un mare di storie, videomapping al Castello di Gallipoli
Alberto Di Lenardo, Sappada, febbraio 1959
Alberto Di Lenardo, Sappada, febbraio 1959
Alberto Di Lenardo, Gita a Capri, maggio 1965
Alberto Di Lenardo, Gita a Capri, maggio 1965

Tornando al mondo specifico delle istituzioni museali, quali sono secondo Lei gli aspetti sui quali, in questa fase storica, i musei dovrebbero concentrarsi? E in che modo intendete supportarli?

Premetto che spesso, nel nostro settore, si procede per mode. Osserviamo quello che è successo con Clubhouse: nel brevissimo periodo, in molti, si sono riversati su questo nuovo social. Io stesso l’ho provato e testato. Ho visto influencer dell’arte fare di tutto pur di apparire per primi e creare la propria banca follower. Ora il fenomeno appare decisamente scemato nonostante la rincorsa di pochi mesi fa. Tutti ricordiamo gli annunci sullo stile “il primo museo su Clubhouse” e simili, oppure le prime stanze in cui si parlava di cultura. Ecco uno dei tipici scenari del nostro settore, seguire una moda per non rimanere indietro senza domandarsi a quale obiettivo di comunicazione, o strategico, risponda. È un po’ quello che accade quando all’interno del museo dicono che bisogna far interagire le persone con le nuove tecnologie. Si parla troppo di strumenti, e meno delle strategie per raggiungere gli obiettivi. I musei, continuando a essere luoghi di ricerca, conservazione, esposizione, dovrebbero concentrarsi sull’accessibilità e sulla fruizione della propria collezione, che sia fatta di oggetti o di storie, puntando ad alzare il livello dell’offerta didattica, che è la vera mission dell’istituzione museale, facilitando la comprensione e la conoscenza del proprio patrimonio. È da questa angolatura, da questo punto di vista, che effettivamente si rendono necessarie nuove esperienze di fruizione, che siano anche virtuali e digitali oltre che fisiche. Ma c’è qualcosa di più importante che Creation sente di promuovere. Il museo e le istituzioni culturali devono lavorare sulla capacità di fidelizzare il pubblico. Per ottenere questo risultato occorrono anche servizi di intrattenimento. Che non significa commercializzare i beni conservati nelle sale espositive, bensì offrire spazi, attrezzature e opportunità per una migliore “user experience”. Di modo che il visitatore, soprattutto quello di prossimità, sia spinto a tornare nel museo anche come luogo dove trascorrere il proprio tempo libero. Per leggere, incontrarsi, ascoltare musica, per assistere a uno spettacolo, a una performance, a una rassegna o a un convegno, per vedere istallazioni oltre alle opere, per fruire di strumentazione tecnologica innovativa o semplicemente per rilassarsi. Creation è focalizzata su tutti questi aspetti: sulla qualità della proposta culturale e sull’intrattenimento, dove “intrattenimento” include al suo interno i temi specifici della comunicazione di quel contenuto affinché sia accessibile e fruibile: noi forniamo chiavi di lettura che favoriscano l’apprendimento informale, attraverso un nuovo tipo di approccio che possa avere un costo di attivazione mentale multilivello.

E innovazione, del resto, non significa solo digitale, ma anche adottare delle nuove formae mentis.

Noi di Creation cerchiamo sempre di osservare quello che fanno gli altri, perché viviamo fondamentalmente nell’epoca della post-produzione e non facciamo altro che riadattare idee e contenuti in forme nuove. Una cosa che mi ha colpito parecchio (e che in Italia manca un po’), per esempio, è quella del legare il turismo alla cultura (c’è sempre un confine molto labile tra le due parole e tra i due settori), e mi viene in mente quello che hanno fatto per rilanciare il turismo nelle Fiandre organizzando delle mostre su pittori fiamminghi: si è quindi creata una commistione, una combinazione, per dare vita a un approccio turistico legato alla cultura. Un approccio vincente e leggero, su cui dobbiamo ragionare, per coinvolgere di più il pubblico. Vorrei citare anche il Museo Rafa Nadal, aperto a Manacor, un museo centrato sul tennista, sui suoi trofei, sui suoi cimeli, ma fondato sull’idea del “vieni e vivi le passioni di Rafa Nadal”: quindi c’è, per esempio, il racconto dei suoi interessi che puoi letteralmente vivere tramite simulatori di mountain bike o di F1. Un luogo dove la linea dell’approfondimento e quella dell’intrattenimento si sposano. Creation parla un idioma molto ampio e si rivolge a diversi tipi di musei, grandi, medi e piccoli. E a proposito di piccoli musei, le nuove tecnologie ci portano a guardarli alla luce delle potenzialità inespresse: se pensiamo che una piccola struttura può mettersi in luce con una buona strategia social ci rendiamo anche conto che gli investimenti su questo tipo di attività possono essere contenuti, ma l’importante è avere qualcuno che ti aiuta nel processo. Creation nasce un po’ per fare da collante nei confronti del piccolo/medio museo che non sa a chi rivolgersi (o anche nei confronti del sindaco di una città che ha un sistema o una rete di musei) e si affida a noi come consulente o anche come attività operativa per la gestione dei servizi. È con grande piacere, in questa direzione, che possiamo dire di aver seguito il Rapporto 2021 dell’Associazione Civita, intitolato Next Generation Culture. Tecnologie digitali e linguaggi immersivi per nuovi pubblici della cultura, un momento fondamentale di riflessione ed indagine su tematiche d’attualità, come la digital trasformation e le pratiche innovative di fruizione e interazione del patrimonio culturale. Tematiche a noi quanto mai care. Invito insomma i nostri potenziali partner a visitare il sitoweb creationculture.it, una piattaforma dove trovare i servizi che offriamo ma anche un contenitore dove trattare argomenti d’attualità del nostro campo, tramite interviste e articoli raccolti nel nostro blog. Un sito dove può cogliersi anche l’attenzione di Creation verso un certo tipo di grafica che è desunta da un mondo esterno a quello tradizionalmente legato alla Cultura e aggiornata al gusto contemporaneo. Pur mantenendo fede agli aspetti specifici dell’ambito Cultura, riteniamo che debba rimanere sempre attivo lo sguardo verso quanto succede al di fuori, provando a coltivare nuove idee che siano sostenibili e spendibili velocemente in un mercato in continua evoluzione che noi stessi, quando ci viene richiesto, proviamo a indirizzare.

Poco fa Lei ha detto che in questo momento i musei stanno vivendo un momento di stallo sia sulla comunicazione che sulla progettazione. Questa osservazione mi dà modo di introdurre un argomento su cui mi piacerebbe aprire una parentesi: secondo la Sua esperienza, quali sono le resistenze, gli ostacoli, le difficoltà che un soggetto come il Vostro trova quando deve interfacciarsi con i musei (soprattutto i musei pubblici, direi) e in che modo Voi con la Vostra nuova realtà intendete superarli?

Ci sono due tematiche da affrontare: la prima sono le aspettative del museo. Ovvero, nel momento in cui la direzione dell’istituzione commissiona un lavoro di consulenza manifestando un problema di comunicazione, spesso tende a imporre una propria idea cui vorrebbe che ci si adattasse. E alle volte questo crea una disconnessione con il cliente (del resto, se un museo si affida a noi è perché in qualche modo vuole una guida). Resta chiaro, d’altro canto, che i desiderata dei musei saranno sempre rispettati, però spesso, paradossalmente, è proprio l’abbondanza di figure interne non di ruolo che intervengono nella comunicazione a limitare i processi di crescita. Il secondo problema riguarda lo staff in termini di gestione e ottimizzazione. Creation consente di trasformare alcune risorse messe in campo dai musei da semplici voci di spesa a investimenti veri e propri. Con il nostro approccio ci concentriamo sulla formazione del personale interno al museo, inizialmente non idoneo allo svolgimento di determinate attività. Naturalmente non si può immaginare che tale crescita del personale sia immediata. E una simile collaborazione con l’istituzione di turno implicherebbe al consulente di seguire la doppia attività di mantenimento degli obiettivi e di formazione. Però crediamo che questa opportunità sia fondamentale: il nostro approccio non è quello dell’azienda che viene chiamata per fare un servizio che sparisce dal momento in cui questo è fornito. Noi puntiamo piuttosto sulla crescita reciproca. Certo: si potrebbe obbiettare che una simile procedura implicherebbe che il museo una volta formate le proprie risorse si renderebbe autonomo rispetto al consulente, rispetto a noi. È vero se inteso sul lungo periodo, però noi dobbiamo essere bravi a guardare costantemente tutti gli aspetti di innovazione proponibili al museo, in modo da avere sempre nuove idee, nuovi progetti, nuovi contenuti da proporre, al punto da farci diventare dei veri e propri partner. Ecco: questo è il nostro obiettivo, diventare un consulente allargato del museo, sulle idee di comunicazione e sulla progettazione culturale. È chiaro che la progettazione è molto più strutturata nei musei di oggi: pensiamo per esempio alla figura del curatore, già abbastanza definita. Mentre la figura del comunicatore è molto meno istituzionalizzata. E poi spesso si parla di comunicazione con troppa facilità, senza avere la specializzazione che richiede il settore in questione, e questo alle volte può essere anche un limite: mi riferisco al fatto di avere un’idea ben precisa, che porta ad assumere qualcuno semplicemente per realizzare e non tanto per avere un consiglio e fare un percorso insieme.

A proposito di personale dei musei, penso al fatto che i musei pubblici abbiano un organico con un’età media molto alta, e probabilmente questo, nel lavoro quotidiano, potrebbe tradursi in difficoltà serie quando si opera sul digitale o sulla comunicazione. Questo potrebbe essere un ostacolo? Oppure in qualche modo si registra un cambio di mentalità nei musei pubblici nonostante l’età media degli organici?

Non credo che si tratti tanto di un problema anagrafico (anche se è chiaro che lavorando sulle attività social con persone in età avanzata, le operazioni possono diventare più complicate): ad ogni modo lo staff che trovi all’interno del museo è uno degli ingredienti su cui approntare un lavoro specifico. Io conosco direttori bravissimi a lavorare con le persone, capaci di trasferire determinate competenze anche su persone che mai avevano mai avuto un approccio digitale. Molte volte il personale non qualificato pur in assenza di determinate competenze possiede in sé particolari inclinazioni o sensibilità in direzione di quelle capacità tecniche da acquisire. La bravura sta nella gestione delle persone, nel saperle motivare e fornirgli gli strumenti per aggiornarsi. Il sistema pubblico ha però probabilmente necessità di cambiare dal punto di vista della mentalità. Prima ancora che ad un ricambio, si dovrebbe puntare a una ridistribuzione dei ruoli, facendo ricoprire ai profili più avanti con l’età mansioni di coordinamento, gestione delle relazioni. Bisogna, in sostanza, canalizzarle in base alle possibilità e potenzialità individuali. Di certo oggi c’è la necessità di accogliere nuove figure professionali che si occupino della comunicazione andando a sviluppare iniziative specifiche. Molti grandi musei si sono rilanciati proprio quando sono andati a toccare questi temi, e per farlo hanno inserito figure emergenti, magari non proprio giovani visto che in Italia il termine “giovane” è piuttosto relativo. Oltre a figure con particolari skill legate all’impiego dei nuovi sistemi di software e delle nuove tecnologie, serve poi fare il definitivo digital shift, con l’obiettivo finale di intercettare i nuovi pubblici. Ma non può esserci digital trasformation senza figure di coordinamento capaci di indirizzare queste nuove risorse. Anche quello dell’audience development è un tema molto importante da affrontare: oggi si sente molto parlare di millennials, si dice che bisogna avere l’account su TikTok, ed è bene che ci siano tutti questi strumenti, ma io dico che a monte deve esserci una linea chiara di comunicazione: paradossalmente è meglio un museo che si posiziona su uno o due canali (e uno di questi due può essere anche la pubblica relazione), piuttosto che quelli che stanno su tutte le piattaforme, ma lo fanno male, senza cognizione di causa e senza rispettare una corretta linea di crossposting.

Nella presentazione dell’azienda dite che la Vostra realtà imprenditoriale risponde alle “mutate esigenze del mercato”: mi piacerebbe capire in che modo è cambiato il mercato della cultura negli ultimi tempi e in che modo Voi vi siete inseriti sul mercato.

Il mercato sta cambiando perché sono mutate le esigenze delle persone, che sono ciclicamente in divenire. In ogni caso sarebbe difficile rispondere alla domanda presentando un quadro esatto della situazione attuale, che non è possibile definire se non nelle sue linee di contorno e che andrebbe tra l’altro immediatamente ri-fotografata col sopraggiungere di nuove tendenze. Se dovessi rispondere con poche parole direi quindi che le mutate esigenze di mercato impongono a chi vi si affaccia anzitutto questo tipo di elasticità. Poi c’è il tema riguardante il budget delle istituzioni culturali, e i fondi che a queste verranno dedicati. Quello che sarà determinante, però, dal nostro punto di vista, sarà l’approccio: se noi saremo rigidi nelle nostre impostazioni e strategie di comunicazione, di progettazione culturale, riguardo i modelli da applicare alla gestione museale, non faremmo altro che riproporre cose già fatte, già viste, che non è detto non funzionino nuovamente, ma che è facile prevedere non più calzanti o sostenibili ai tempi che stiamo affrontando. C’è poi un aspetto molto importante che dobbiamo tenere presente e che costituisce una grande novità: i piccoli musei hanno capito che in questo momento possono parlare. Noi operatori della Cultura non dobbiamo sottovalutare le piccole strutture, i piccoli comuni che ambiscono a creare contenuto culturale. L’altro fondamentale indicatore di mutamento del mercato viene dall’esigenza di velocità nell’interpretazione dei bisogni della contemporaneità. Dal nostro punto di vista opereremo avendo in mente la parola d’ordine “velocità”, di interpretazione, di strategia, di intervento, il che non significa rinunciare a proporre modelli del passato. Ma lo faremo sempre pensando al pubblico e alle sue esigenze mutanti. In questa fase dobbiamo essere vigili nel cogliere quanto sta accadendo in questo periodo di assestamento verso un ritorno alla piena frequentazione dei luoghi della cultura. Ce ne siamo accorti ultimamente seguendo la comunicazione di una rassegna musicale di respiro internazionale, il Roma Jazz Festival, che solo all’ultimo momento ha potuto usufruire della capienza al 100% e che ha dovuto necessariamente far fronte a una diminuzione delle presenze straniere. Abbiamo lavorato prevedendo interventi in corso d’opera, calibrati sulle dinamiche riscontrate in itinere anche per la magnifica mostra sulla scultura rinascimentale Il Corpo e L’Anima da Donatello a Michelangelo, promossa e prodotta da Comune di Milano-Cultura, Castello Sforzesco, Musée du Louvre e realizzata grazie a Civita Mostre Musei di cui siamo stati partner nella comunicazione. Tornando così allo specifico delle istituzioni museali ad oggi, quello che appare vitale è cominciare a “rendere consapevole” il visitatore del museo del futuro. La differenza la farà dunque il messaggio veicolato e la consapevolezza del fruitore, l’essere informati. Per esserlo il visitatore deve avere qualcuno che lavori per lui, il museo, che deve necessariamente lavorare sulla customer journey. Il problema è che i modelli di customer journey nell’era Covid sono stati tutti ribaltati. La sfida è osservare e applicare con velocità delle metodologie. Ci sono alcuni colleghi e alcune società che nell’ambito della comunicazione propongono delle strategie nette e precise. Io invece penso che la comunicazione sia un processo sperimentale, un processo per tentativi. È un ragionamento allargato: non parliamo, del resto, di matematica, perché l’approccio al digitale ci ha portato a porci domande del tipo: “io faccio un banner pubblicitario, ottengo quei numeri, ma quanto mi ritorna in biglietteria di tutto questo?”. Tuttavia c’è anche chi va a vedersi la mostra col famoso passaparola, e questo come si valuta dal punto di vista dell’impatto? Le variabili che portano all’atto finale di acquisto del biglietto sono tantissime e sono e devono essere testabili sul campo, ma ci vuole un approccio (se vogliamo) “liquido”, perché nella comunicazione non c’è un approccio sillogistico: c’è un insieme di attività fatte sulla base dell’esperienza, sulla base dell’analisi e sulla base dell’attenzione alle esigenze future. Il mercato di oggi, dunque, presuppone velocità e applicazione di teorie che devono essere testate e analizzate in maniera molto rapida per capire quali saranno poi i reali frutti di tutta questa attività.

Mostra il Corpo e l'anima da Donatello a Michelangelo al Castello Sforzesco
Mostra Il Corpo e l’anima da Donatello a Michelangelo al Castello Sforzesco
Theon Cross al Roma Jazz Festival
Theon Cross al Roma Jazz Festival
Marcin Wasilewski Trio & Joe Lovano al Roma Jazz Festival
Marcin Wasilewski Trio & Joe Lovano al Roma Jazz Festival

Voi vi proponete anche come partner di quei musei che necessitano di un interlocutore per valorizzare le collezioni. Sul discorso “valorizzazione”, negli ultimi tempi, si è discusso tanto e spesso a sproposito, e credo peraltro che sulle collezioni il discorso sia stato affrontato poco o per niente. Secondo quel che percepisco io, è che in Italia la valorizzazione delle collezioni sia fatta molto peggio di tanti altri paesi anche vicini, e in questo caso mi riferisco sia al pubblico e sia al privato. Mi piacerebbe sapere come la pensa su questo tema e cosa si potrebbe fare per migliorare la valorizzazione delle collezioni dei nostri musei.

Io ho avuto la fortuna di lavorare al Centre Pompidou, e quando ero lì la cosa che mi ha colpito è che in quel sistema ministeriale (per quanto sia stato percepito negli anni come molto innovativo) c’era un problema importante: ovvero, c’erano tantissime opere, perché il museo continuava ad acquisirle. Così, hanno puntato sul suo brand aprendo la sede distaccata del Centre Pompidou Metz: loro hanno valorizzato la collezione in questo modo. Lo stesso ha poi fatto il Louvre, e in Italia è un po’ quello che si sta provando a fare con il MAXXI L’Aquila (e già il fatto di creare una connessione con un altro luogo, in qualche modo, vuol dire valorizzare la collezione). Di recente il Museum Boijmans Van Beuningen di Rotterdam ha inaugurato il Depot Boijmans, un’operazione in grande stile per musealizzare il proprio deposito. Quasi una rivoluzione riportando il museo alla sua destinazione primordiale: conservare ed esporre. A testimonianza di come queste tematiche meritino dibattito, Creation ne ha parlato nel suo blog. Ma sono pienamente d’accordo sul punto: esiste un problema, e se ne discute tanto soprattutto a livello europeo, di fruizione delle collezioni. In Italia ci sono collezioni pubbliche stupende ma poco conosciute: faccio l’esempio della Galleria d’Arte Moderna di Palermo o della Pinacoteca Nazionale di Bologna che hanno collezioni bellissime, ma davvero poco note, poi penso ad altri musei che hanno delle collezioni incredibili, come il Mart di Rovereto. Per non parlare della fotografia. Cito un caso svizzero che stimo particolarmente, il museo della fotografia di Losanna del quale abbiamo parlato nel nostro blog in vista del trasferimento nella nuova realtà di Plateforme 10 che si concretizzerà quest’ anno. Bene, anche loro si stanno ponendo lo stesso problema, perché di tutto il loro patrimonio riescono ad esporre durante l’anno al massimo il 2%. E in questo caso si tratta di un luogo che è votato alla fruizione e all’innovazione, quindi, non stiamo parlando di un museo che ha un approccio conservativo, ma di una realtà che si sta interrogando su come ampliare l’accessibilità e la fruizione della propria collezione. Qui si apre il tema dei costi, un problema reale: servirebbero maggiori sforzi ma credo, giusto per dare un input rispetto a quella che potrebbe essere l’innovazione di Creation (ma in generale su quella che è la nostra visione), che ci siano tanti musei e tante realtà disposte a organizzare mostre di formato minore, di venti-trenta opere, così rendendo le proprie collezioni fruibili in contesti molto più provinciali. Bisognerebbe riuscire a creare piccoli modelli funzionali. Una soluzione potrebbe venire dalla frammentazione della collezione, purché non si perda il fil rouge che la contraddistingue. La logica della divulgazione culturale è molto importante: perché, per esempio, oggi si parla particolarmente di alcuni sport in Italia? Perché appena si guarda un telegiornale, ci viene somministrato, mentre per trovare una rubrica d’arte bisogna andarsela a cercare. Se noi creassimo molti più eventi culturali, la gente sarebbe come indotta a fruire di più di cultura, andando automaticamente a generare la domanda: è un processo tipico dell’economia della cultura, per cui prima bisogna creare un’offerta, dopodiché arriverà la domanda. Cito, per esempio, il modello dell’Auditorium di Roma: quando fu realizzato, l’obiettivo era proprio quello di creare un contenitore che potesse dare un’offerta che andasse ad auto-alimentare una domanda successiva. Naturalmente devono esserci le condizioni economiche per realizzare simili imprese e qui veniamo a un punto un po’ più critico, perché i finanziamenti alla cultura, quanto mai necessari, non possono permettersi un approccio assistenzialistico. Immaginiamo un sindaco che ha a disposizione una rete di musei e che vuole alimentare la cultura nel proprio territorio. Deve poter decidere di puntare su iniziative culturali, investendo dei soldi pubblici, sapendo di poter generare un indotto. L’ideale sarebbe arrivare ad avere un approccio “all’americana”, laddove una rete di finanziatori anche privati riescono a finanziare una mostra o determinati progetti con la sola serata inaugurale, trasformata per l’occasione in un evento esclusivo. A quel punto succede che “l’élite cittadina” o regionale finanzia la mostra, il pubblico ne fruisce, e tutti ne traggono vantaggi. Una cosa che in Italia ad oggi risulta davvero complessa da realizzare!

Un’ultimissima domanda, che mi rendo conto essere piuttosto personale: per chiudere, mi piacerebbe sapere qual è stato il percorso che l’ha portata ad aprire questa nuova realtà, e quindi ad avventurarsi in una sfida così impegnativa, in un momento storico come quello che stiamo vivendo...

Io nasco come storico dell’arte contemporanea, e nei musei mi sono sempre trovato a mio agio: c’è per esempio chi fa yoga o chi va al mare, io vado nei musei. Per me sono un luogo di pace, dove mi sento bene. Poi mi sono reso conto che mi interessava molto anche la parte gestionale della cultura, il museo come luogo mi piace, detto banalmente. Poi ho avuto la fortuna di fare un master con la Trentino School of Management che puntava molto sulle dinamiche di gruppo aprendo la mente ad altre materie come l’antropologia, l’economia, il marketing, la comunicazione: ho avuto dunque un’infarinatura di altre tematiche, anche abbastanza pratiche, che mi hanno portato ad avere un profilo un po’ ibrido, trasversale. Poi ricordo che a un certo punto, pochi anni fa, si cominciò a parlare di quali caratteristiche dovessero avere i direttori di musei. Ricordo la famosa diatriba “storico dell’arte o manager”: oggi secondo me devono averle entrambe le competenze, questo è stato un altro tema che mi ha molto appassionato. Poi aggiungiamo l’esperienza negli anni, con l’editoria, le mostre, la comunicazione, la conoscenza di artisti e galleristi, che mi ha portato a un culmine, a farmi riflettere sul fatto che forse avevo l’esperienza e la passione e mi ero reso conto che probabilmente era arrivato il momento di essere pronti per una nuova avventura. E in questo senso ha giocato molto anche il punto di vista dei soci i quali hanno creduto nella nuova realtà Creation sposando il progetto e facendolo loro. Ci siamo trovati tutti in un momento storico della nostra carriera dove sentivamo l’esigenza di rimescolare le carte in tavola, per creare qualcosa di diverso e nuovo che risponda alle esigenze della contemporaneità. Ed ecco che ora mi trovo qui nel mio nuovo ruolo, che per me implica tante novità, ad esempio, dal punto di vista amministrativo/burocratico, ma che allo stesso tempo incarna la trasversalità di tutto il mio percorso, toccando i temi della comunicazione, dell’innovazione, del cinema, della fotografia, dell’antropologia, della psicologia, dell’arte, tutti temi che sfociano nella progettazione culturale tout court. Infine, importante è anche il tema della fiducia: ci sono figure importanti che hanno creduto in Creation nonostante le incognite di un soggetto appena nato. Noi in fondo siamo una startup ma è come se fossimo nel settore da sempre. Il riscontro avuto sembra averci dato ragione.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ha fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrive su Art e Dossier e su Left.




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