L'intricato caso dei dipinti italiani “deportati” a Belgrado e mai restituiti


La Serbia possiede otto antichi dipinti italiani al centro di una vicenda giudiziaria che pare un thriller d’epoca. Sono usciti dall’Italia durante il nazismo e mai più rientrati. E sono stati di recente oggetto di un’accurata indagine di Tommaso Romanin e Vincenzo Sinapi.

La storia di otto antichi dipinti italiani, più che una vicenda giudiziaria, pare proprio un thriller d’epoca. Invece si tratta di un episodio realmente accaduto e sul quale non è ancora stata posta la parola “fine”, nonostante una sentenza del Tribunale di Bologna depositata il 21 febbraio 2019. L’avvincente caso – particolarmente di attualità viste le numerose iniziative grazie alle quali si cercano di restituire ai paesi d’origine delle opere d’arte giunte illegittimamente altrove, e si pensi all’ultima notizia relativa dell’Atleta di Fano conservato al Getty Museum di Los Angeles – è stata recentemente ricostruita dai giornalisti dell’Ansa Tommaso Romanin e Vincenzo Sinapi che, per i tipi di Mursia, hanno pubblicato Bottino di guerra. Il giallo dei quadri razziati dai nazisti e deportati a Belgrado. Protagonisti della narrazione sono appunto otto dipinti acquistati dal generale nazista e braccio destro di Hitler, Hermann Göring, nonché alcuni personaggi che sembrano usciti da un copione di un film: in primis Ante Topić Mimara.

Tutto cominciò, scrivono gli autori, “in un giorno imprecisato del 2014”, quando un appuntato dei Carabinieri del nucleo Tutela patrimonio culturale (Tpc) di Firenze, facendo una banale ricerca su Google, si è reso conto che uno dei quadri presenti nel database delle opere d’arte rubate era tornato in Italia circa dieci anni prima per essere esposto nella mostra Da Carpaccio a Canaletto. Tesori d’arte italiana dal Museo nazionale di Belgrado (a cura di Tatjana Bošnjak e Rosa D’Amico) che ha fatto tappa alla Pinacoteca nazionale di Bologna nel 2004 e al castello Svevo di Bari nel 2005, per poi tornare “placidamente” in Serbia. L’opera era, ed è tuttora, conservata nel Museo nazionale di Serbia di Belgrado e, incrociando le schede della banca dati dei Tpc con quelle dell’istituzione museale, i Carabinieri hanno identificato altre sette dipinti i quali, tra il 1941 e il 1943, vennero acquistati per conto di Göring, portati in Germania, quindi recuperati dagli Alleati e infine illecitamente consegnati all’allora Jugoslavia.

Già nel dopoguerra l’Italia cercò di rivendicare questi quadri, soprattutto grazie all’impegno di un funzionario che per tanti anni guidò l’Ufficio recuperi delle opere d’arte trafugate dai tedeschi, Rodolfo Siviero. Ma purtroppo le richieste non ebbero successo, nonostante la Legge 77/1950 che imponeva: “Le opere d’interesse artistico, storico e bibliografico, che nel periodo dall’1 gennaio 1936 all’8 maggio 1945 furono trasferite in proprietà e a qualsiasi titolo allo Stato germanico, a personalità politiche del regime nazista o a sudditi germanici e delle quali il Governo italiano ha ottenuto la restituzione da parte del Governo militare alleato in Germania, sono acquisite al patrimoni artistico, storico e bibliografico dello Stato e conservate in musei o biblioteche”. Dall’indagine compiuta dai Carabinieri ha preso quindi il via un processo che ha visto come imputate tre funzionarie bolognesi coinvolte nell’organizzazione della mostra, che sono state infine state assolte perché ritenute non consapevoli dell’illecita provenienza dei dipinti. Tuttavia la sentenza ha messo un punto fermo sulla faccenda, vale a dire la confisca delle otto opere. Abbiamo intervistato Tommaso Romanin per approfondire questa storia, rimandando alla lettura del volume per ulteriori approfondimenti.

Vittore Carpaccio (scuola), San Rocco (prima metà del XVI secolo; olio su tavola)
Vittore Carpaccio (scuola), San Rocco (prima metà del XVI secolo; olio su tavola)
Vittore Carpaccio (scuola), San Sebastiano (prima metà del XVI secolo; olio su tavola)
Vittore Carpaccio (scuola), San Sebastiano (prima metà del XVI secolo; olio su tavola)
Paolo Veneziano (ambito), Madonna con Bambino (1320-1324; tempera su tavola)
Paolo Veneziano (ambito), Madonna con Bambino (1320-1324; tempera su tavola)
Pittore lombardo, Adorazione del Bambino con angeli e santi (XV-XVI secolo; tempera su tavola)
Pittore lombardo, Adorazione del Bambino con angeli e santi (XV-XVI secolo; tempera su tavola)
Jacopo Tintoretto, Madonna con Bambino e donatore (1565 circa; olio su tela)
Jacopo Tintoretto, Madonna con Bambino e donatore (1565 circa; olio su tela)
Pittore lombardo, con suggestioni da Tiziano, Ritratto della Regina Cristina di Danimarca (XVI secolo; olio su tela)
Pittore lombardo, con suggestioni da Tiziano, Ritratto della Regina Cristina di Danimarca (XVI secolo; olio su tela)
Paolo di Giovanni Fei, Madonna con Bambino, santi, annunciazione, crocifissione (XIV secolo; tempera su tavola)
Paolo di Giovanni Fei, Madonna con Bambino, santi, annunciazione, crocifissione (XIV secolo; tempera su tavola)
Il Museo nazionale di Serbia di Belgrado. Foto: Petar Milošević
Il Museo nazionale di Serbia di Belgrado. Foto: Petar Milošević
La copertina del libro di Tommaso Romanin e Vincenzo Sinapi
La copertina del libro di Tommaso Romanin e Vincenzo Sinapi

MS. Quando avete deciso di scrivere un libro sui quadri acquistati da uno dei personaggi più influenti del regime nazista e poi “deportati” a Belgrado?

TR. Io ho seguito per molti anni la cronaca giudiziaria per l’agenzia Ansa e nel novembre del 2016 mi sono imbattuto in quest’indagine che si stava già avviando verso il processo. Fin da subito ho avuto la sensazione che la vicenda, più che un caso di attualità, assomigliasse a un thriller storico. Ho così letto alcuni atti, come la prima informativa dei carabinieri Tpc, e ho seguito l’evolversi del processo fino alla sentenza del 2019. Chiacchierando con Vincenzo Sinapi, all’epoca uno dei responsabili alla cronaca nazionale dell’Ansa, abbiamo deciso di approfondire l’argomento e abbiamo quindi richiesto al tribunale e alla procura di visionare gli atti giudiziari. Visto che l’indagine era conclusa e la sentenza passata in giudicato, abbiamo ottenuto l’autorizzazione; il nostro libro si basa su queste fonti documentali e su altro materiale di archivio; inoltre Vincenzo Sinapi si è recato a Belgrado per verificare che gli otto quadri di cui si parla siano effettivamente esposti nelle sale del museo cittadino.

Quali sono le opere al centro dell’indagine e del libro?

Si tratta di un’Adorazione del Bambino attribuito alla Scuola di Ferrara (1480 circa), nel catalogo della mostra del 2004 assegnato a un generico pittore lombardo del XV-XVI secolo; della Madonna con Bambino attribuita a Paolo Veneziano (XV secolo), che però non fu esposta a Bologna e a Bari ma venne a Rimini nel 2002 (Il Trecento Adriatico, Paolo Veneziano e la pittura tra Oriente e Occidente) e che è presente nel database dei Carabinieri Tpc; di un trittico con Madonna con Bambino, santi, annunciazione, crocifissione attribuito a Paolo di Giovanni Fei, anch’esso presente nel database dei Carabinieri Tpc; di due tavole attribuite a Vittore Carpaccio o alla bottega (San Sebastiano e San Rocco); della Madonna con Bambino in trono di Spinello Aretino, catalogata nel database delle opere perdute; della Madonna con Bambino e donatore attribuita a Jacopo Tintoretto; infine del Ritratto della regina Cristina di Danimarca che le fonti antiche assegnano a Tiziano, mentre oggi è attribuito a un pittore lombardo del XVI secolo.

In sintesi, ci racconta la vicenda dei dipinti?

Questi quadri, percorrendo strade diverse, furono venduti dagli antiquari Eugenio Ventura e Alessandro Contini Bonacossi a Göring, che era un appassionato di arte tanto quanto Hitler. Conclusa la Seconda guerra mondiale, una gran quantità di opere finite in mano del regime nazista venne concentrata in vari depositi gestiti dagli anglo-americani, il principale dei quali era il Central Collecting Point di Monaco di Baviera. Il governo alleato iniziò quindi a ricostruire le vicende dei singoli oggetti in modo da poterli restituire ai Paesi a cui erano stati sottratti, valutando le rispettive rivendicazioni e riconsegnando le opere. Come si può immaginare, il contesto dell’epoca era molto confuso e gli Alleati volevano fare in fretta perché, nell’immediato dopoguerra, c’erano molti altri problemi da risolvere. Per i capolavori più famosi si presentarono dei rappresentanti degli Stati che avevano tutti i titoli per rivendicarli, tuttavia poteva capitare che si “bussassero alla porta” anche personaggi ambigui, che cercavano un’occasione per fare affari. Ecco allora che al centro di raccolta di Monaco fece capolino Ante Topić Mimara. Non si sa se questi fosse una spia o un trafficante, ma le indagini hanno rivelato che inizialmente fallì nell’impresa. Tuttavia non si arrese e riuscì poi a convincere il responsabile del centro di essere il delegato dell’ex Jugoslavia per la restituzione di alcune opere. Presentò infatti delle liste in cui venivano descritti minuziosamente i dipinti e tanti altri manufatti, probabilmente ottenendo gli elenchi da Wiltrud Mersmann, giovane storica dell’arte tedesca che lavorava nel centro di raccolta e che anni dopo diventerà sua moglie. Mimara, nella primavera del 1949, si fece così consegnare ben 166 oggetti preziosi tra dipinti, lingotti, tappeti ecc.

Quando venne consegnato a Belgrado il “bottino” di Mimara?

Una delle curatrici del Museo serbo ha dichiarato che, nel luglio del 1949, dalla Commissione per i risarcimenti furono acquisiti 56 dipinti, di cui 46 confluirono nella raccolta d’arte straniera. Incrociando i risultati delle indagini dei Carabinieri, l’analisi di documenti americani dell’epoca da poco desecretati, altri documenti e le informazioni raccolte a Belgrado, oggi possiamo dire che la maggior parte di questi 56 sono proprio i quadri e le icone che nel giugno di quello stesso anno Mimara portò via con l’inganno dal Collecting point di Monaco di Baviera.

Però i sospetti su una possibile truffa risalgono già al primo dopoguerra…

Infatti, poco tempo dopo la consegna a Mimara, la CIA intuì che c’era qualcosa di strano… e anche in Italia ci si rese conto che un gruppo di opere italiane erano state portate via illegalmente dal centro di raccolta di Monaco. In particolare fu Rodolfo Siviero, che potremmo definire un “monument man” italiano, a impegnarsi per farle restituire allo Stato, ma purtroppo non ebbe il successo sperato. Rimane però agli atti il fatto che Siviero aveva capito cosa era successo e le sue informazioni hanno contribuito a far chiarezza durante le indagini recenti.

Come mai, visto che Siviero aveva scoperto questa truffa, l’Italia non si è impegnata più di tanto negli anni del dopoguerra per recuperare quelle opere?

Probabilmente perché nei primi anni Cinquanta e poi per tutta la durata della Guerra Fredda, c’erano altre priorità e soprattutto era fondamentale, a livello internazionale, mantenere un delicato equilibrio con i paesi balcanici. La nostra ipotesi è che la faccenda sia stata fatta cadere in modo da non creare degli incidenti diplomatici.

E veniamo a fatto clamoroso: le due mostre allestite in Italia. Sembra incredibile che questi dipinti siano tornati per due volte nel nostro Paese senza che nessuno si sia reso conto della provenienza “problematica”...

Quando le opere sono giunte in Italia probabilmente la provenienza era stata indicata fumosamente, anche se nella catalogazione del museo i dipinti riportano, come titolo di acquisizione: “Ricevuto dalla Commissione per i risarcimenti dei danni di guerra della FNRJ (la Repubblica Socialista Federale di Jugoslavia, Ndr), 1949”. Inoltre alcuni quadri sono presenti negli inventari di Siviero pubblicati nel 1995 e nel database dei Carabinieri. Queste informazioni, accessibili a tutti, avrebbero dovuto far scoccare la scintilla del dubbio da parte delle funzionarie che si sono occupate dei prestiti. Il processo che è scaturito ha però portato all’assoluzione delle storiche dell’arte e la sensazione che abbiamo avuto, seguendo l’indagine, è che la vicenda giudiziaria sia stata una sorta di escamotage per arrivare a decretare la confisca dei quadri. Dalla data di quell’atto però non ci sono stati ulteriori sviluppi e le opere sono ancora nel museo serbo.

Tra l’altro dalle vostre ricerche emerge che oggetto della contesa non sono solo le otto opere descritte, ma potrebbero essercene anche altre, giusto?

Sì, incrociando le liste di Mimara, della CIA, gli atti dell’indagine, ci siamo accorti che in condizioni simili a questi quadri ci sono almeno altri 11 dipinti, sempre conservati a Belgrado, che presentano le stesse caratteristiche: sono cioè quadri provenienti dall’Italia, presumibilmente sono transitati dal centro di Monaco e sono stati classificati come risarcimento per danni di guerra. Sarebbe quindi opportuno approfondire la provenienza di queste altre opere, tra le quali abbiamo identificato una tela di Francesco Guardi, un quadro di Canaletto, uno attribuito ad Alessandro Turchi, detto l’Orbetto, e altri di valore. Di questi 11 c’è la prova che provenissero dalla truffa di Mimara.

Concludiamo con una domanda un po’ provocatoria: ma se Göring, come indicano le fonti, ha acquistato legittimamente queste opere, a che titolo l’Italia può reclamarle?

I dipinti sono stati legittimamente acquistati, tuttavia già all’epoca non potevano essere esportati in Germana – come invece fece Göring – in base alla Legge 1089 del 1939 che all’articolo 35 prevede il divieto di esportazione, quando questa può cagionare un danno al patrimonio nazionale. E, secondo il giudice che ha condotto il processo, “l’importanza assoluta delle opere d’arte […] è fuori questione”. Inoltre i dipinti sono giunti a Belgrado mediante un reato compiuto da Mimara che le ha trafugate dal Collecting point di Monaco. Quindi la Serbia le ha acquisite in malafede – come si legge nella sentenza del Tribunale di Bologna –, anche se alle accuse da parte dell’Italia il museo ha risposto con altrettanti atti giudiziari, sostenendo di essere il legittimo proprietario e negando pure la possibilità di interrogare due funzionarie serbe coinvolte inizialmente nell’indagine. Oggi, quindi, chi vuole ammirare gli otto dipinti deve per forza recarsi a Belgrado. Ma Romanin e Sinapi accennano, nelle conclusioni del libro, che si stanno ipotizzando soluzioni alternative alla restituzione fisica dei quadri, dal prestito al museo a una sorta di comproprietà. Un compromesso, insomma, che rappresenterebbe un finale “win-win” di una storia in cui l’arte si intreccia con la truffa, la diplomazia e la giustizia.


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