Jake Chapman: “Il pubblico dell'arte? Non mi piace parlarne. Scegliete la bellezza che vi pare”


L’arte oggi riesce ancora a sconvolgere? Deve per forza guardare avanti? Si deve essere originali a tutti i costi? A margine del ritorno in Italia dei fratelli Chapman, in mostra a Pietrasanta dall’11 agosto, abbiamo intervistato Jake Chapman su questi temi così legati alla loro arte.

Dall’11 agosto al 5 novembre, la galleria The Project Space di Pietrasanta ospita la mostra “The Blind Leading the Dead” di Jake & Dinos Chapman: protagonisti dell’ultima rivoluzione dell’arte europea, i fratelli Chapman rappresentano l’ala più provocatoria e trasgressiva della yBa (young British art), un fenomeno estetico e mediatico che esplose nella Londra dei primi anni Novanta. Per Jake & Dinos Chapman questa personale, allestita dal team della galleria The Project Space con testi di Luca Beatrice e Alessandro Romanini, segna il ritorno in Italia dopo circa quindici anni di assenza. Abbiamo intervistato Jake Chapman che ci ha fornito alcune sue idee sull’arte contemporanea: ecco cosa ci ha detto. Intervista di Federico Giannini.

Jake Chapman
Jake Chapman

FG. Partiamo dalla mostra: perché è stato scelto questo titolo, The Blind leading the dead? E cosa il pubblico deve aspettarsi dalla rassegna?

JC. Il titolo della mostra deriva dal detto “il cieco che guida il cieco”, che un’espressione che sta a significare la disperazione di persone che non hanno speranza che a loro volta guidano altre persone che non hanno speranza. E ho pensato che sarebbe stato più interessante se si fosse riferito alla processione dei dannati come a persone che sono morte... ma alla fine è solo un titolo. Cosa dovrebbero aspettarsi i visitatori? Di uscire emozionati. O anche un pochino divertiti.

Tra le opere che presentate a Pietrasanta ce n’è una molto recente, Monument to Immortality: com’è nato questo lavoro? E perché avete scelto di presentarle la serie come “monumento”? I monumenti oggi sono un argomento molto discusso...

Monuments to Immortality è una serie di cinture esplosive copiate da cinture esplosive che non sono esplose. Sono opere realizzate in bronzo e il bronzo è di solito il materiale usato per commemorare gli eroi, cioè quel tipo di sculture di soldati, generali e così via che si vedono un po’ disseminate per tutte le città. Quanto al loro significato, ci interessava soltanto fare un’opera che fosse un monumento al momento in cui si verifica la richiesta di immortalità di qualcuno...

Il pubblico rimane spesso sconvolto dalle opere che presentate... ma solitamente che tipo di reazioni registrate?

Non posso davvero pensare a una reazione generica al nostro lavoro. Voglio dire, dipende. Alcune persone hanno un forte senso del moralismo e trovano il nostro lavoro molto difficile, alcune persone hanno invece un certo senso dell’umorismo e lo trovano divertente... quindi ovviamente la reazione al lavoro varia infinitamente, ma penso che sia possibile che il nostro lavoro porti il pubblico a intrattenere una specie di relazione con la sua funzione critica. Poi ci sono quelli che vedono il lato umoristico del lavoro, quelli che invece vedono il suo lato sinistro, alcuni si offendono... insomma le reazioni sono varie e molteplici. È difficile saperlo e non voglio certo essere io l’arbitro delle interpretazioni altrui nei riguardi dell’opera. Questo è il lavoro fatto e finito, e una volta finito diventa un problema del pubblico. O almeno questa è la parte, credo, che da contratto spetti al pubblico.

Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall'11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall’11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall'11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall’11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall'11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall’11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall'11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti
Jake and Dinos Chapman, The Blind leading the Dead (Pietrasanta, The Project Space, dall’11 agosto al 5 novembre 2023), allestimenti

A proposito, spesso avete dichiarato che una volta che l’opera esce dallo studio, non è più sotto il controllo dell’artista. Cosa significa? Davvero oggi l’artista non ha il minimo controllo sul pubblico, oppure in qualche modo può prevedere come si comporterà e quindi trarne delle controdeduzioni nel momento in cui lavora alla sua opera?

Non sono molto sicuro di cosa sia il pubblico. Chi è il pubblico? È una specie di élite borghese ufficiale? O è una specie di élite liberale? O è un pubblico generico composto da persone che non hanno molta familiarità con l’arte? Insomma non mi piace molto parlare del pubblico, di chi sia il pubblico. È piuttosto difficile da sapere: trovo che sia più interessante sapere che l’idea che l’opera non sia più parte di me una volta che lascia lo studio derivi dal fatto che, in un certo senso, l’opera d’arte è solo un’approssimazione delle intenzioni dell’artista. Penso sia anche possibile considerare una storia dell’arte che escluda anche le persone che l’hanno creata. Non c’è correlazione tra le intenzioni dell’artista e l’opera d’arte. Quella relazione è del tutto tendenziale e non è evidente. È impossibile possedere il significato di un’opera d’arte. Semmai, la ragione per cui fare arte è interessante è perché destituisce l’artista. L’artista è l’elemento meno importante nel processo. Una volta che l’opera d’arte è in qualche modo finita, allora non ha più responsabilità nel sostenere le intenzioni dell’artista. Infatti, come detto, penso che si possa immaginare una storia dell’arte che escluda l’artista, e probabilmente sarebbe una descrizione più interessante del processo del fare arte.

Quindi secondo voi a cosa serve, al giorno d’oggi, un’opera d’arte? Un’opera d’arte è ancora in grado di sconvolgere o di sovvertire secondo il vostro punto di vista?

Penso che questa idea che l’arte possa sconvolgere o sovvertire, o comunque in generale l’idea che l’arte occupi una sorta di posizione controculturale all’interno della società... sia vagamente sentimentale. In realtà credo che la controcultura sia ormai lo status quo: voglio dire, la controcultura è morta nel 1968, o almeno così immagino, e per quanto riguarda la possibilità che un’opera d’arte abbia un tipo di successo critico, credo che questo semmai derivi dalla sua possibilità di colpire le persone. Penso che l’arte funzioni come uno strumento che attira le persone in una specie di pantomima melodrammatica, alla quale partecipano. E la loro stessa reazione è una specie di reazione melodrammatica. Se le persone presumono che, in qualche modo, un’opera d’arte dovrebbe essere scioccante, allora credo che svolgano la loro parte nello scambio fingendo di essere scioccate. Perché, alla fine, credo che chiunque venga scioccato dall’arte probabilmente rimane scioccato anche... che so, dalle zucchine.

E a proposito di funzioni critiche, si dice spesso che oggi la critica d’arte sia morta. Voi che rapporto avete con la critica? Quale dev’essere secondo voi il ruolo della critica d’arte?

Di nuovo, è molto difficile non pensare che l’arte stia diventando una sorta di braccio armato della gentrificazione borghese, quindi è molto difficile vedere la critica d’arte come avente un qualche tipo di scopo diverso dall’espandere i mercati, non vederla come una sorta di un veicolo performativo del capitale, e quindi qualsiasi tipo di ambizione controculturale non può non essere legata al fatto che anche quando usiamo la controcultura per esprimere, mettiamo, il nostro anticapitalismo, in realtà stiamo ancora partecipando al capitalismo. Quindi consideriamo che anche le opere più abiette, o quelle che mettono in scena o compensano il nostro senso di spirito rivoluzionario, stanno ancora partecipando al sistema capitalista. Io sono profondamente pessimista sulla possibilità che l’arte funzioni in modo critico, perché vedo la critica come parte di una sorta di movimento dialettico di tipo capitalistico.

Avete spesso detto che non ritenete che l’arte sia da legare all’idea di progresso. Spesso invece si tende a pensare il contrario, ovvero che l’arte debba guardare avanti, e che un artista, per dimostrare talento, debba necessariamente essere originale, fare qualcosa di nuovo. Allora secondo voi è possibile essere contemporaneamente attuali e antiprogressisti?

Non sono sicuro di aver detto di essere antiprogressista, ma ad ogni modo se ci si interroga sul progresso senza presumere che sia lo slancio naturale di qualsiasi forma di attività, che sia scienza o arte o altro, la propria nozione di progresso implica che ci sia un traguardo finale per il progresso. Non si può avere un progresso infinito, il progresso implica che c’è una sorta di processo di civilizzazione. Però quando parliamo di progresso solitamente parliamo di ideologia. Parliamo di idee come quelle dell’illuminismo. E l’illuminismo è un’ideologia. Non è un ordine naturale delle cose e quindi dobbiamo forse ripensare ciò che pensiamo sia naturale. “Progresso” è un termine. Quindi cosa c’è di naturale nel progresso? Non c’è nulla di naturale nel progresso, così come non c’è nulla di naturale nel presupposto umanistico che il progresso sia qualcosa di buono. Potrebbe esserci un’idea illuminata in grado di dirigerci verso una forma industriale di genocidio, per esempio. Perché si può tranquillamente conciliare la nozione di genocidio di massa, per esempio l’Olocausto, con i principî dell’Illuminismo. Sono assolutamente, completamente uguali. Quindi progresso non significa necessariamente progresso verso qualcosa che è in qualche modo evolutivo, verso una qualche direzione positiva.

Se dobbiamo ripensare a ciò che pensiamo sia naturale, allora cosa potrebbe essere definito come “naturale”?

In realtà non credo che la parola “naturale” sia un termine utile. Non penso neppure che possa essere uno sfondo ottimale per discutere di qualcosa. Penso che lo stesso concetto di natura sia un termine molto pregiudizievole, e ritengo che sia molto difficile definire cosa sia veramente la natura. O tutto è natura, o niente è natura. E se tutto è natura, se la natura include tutto, allora include anche ciò che è presumibilmente contro la natura, come le bombe atomiche, l’inquinamento... non c’è niente di innaturale nell’inquinamento. Non c’è niente di innaturale nel cambiamento climatico. Non c’è niente di innaturale nell’accelerazione dell’umanità verso la propria estinzione. Queste cose sono tutte assolutamente naturali e una volta che si argomenta a favore della natura, perché poi si deve resistere alla natura? Perché se resisti alla natura allora la rendi innaturale. Ed è innaturale resistere all’estinzione.

Torniamo a parlare della mostra. Questa è la vostra prima personale in Italia dopo tanti anni di assenza. Perché siete tornati?

Questa è una domanda a cui non so rispondere. Cioè, a meno che non ci sia una sorta di complotto italiano per non invitarci, forse allora questa è la prima mostra da quando il complotto è partito. Davvero, non lo so. Potrebbe essere il papa! Prendetevela col papa. È tutta colpa sua.

Un’ultima domanda (che in parte c’entra anche col papa). Qui in Italia l’arte spesso viene associata al concetto di “bellezza”, soprattutto nella retorica politica. La vostra arte invece mi pare vada nella direzione opposta. Che cos’è secondo voi la bellezza?

Sia che tu stia discutendo del gusto o della sensibilità o di una sorta di proporzione umana della bellezza, sia che tu stia discutendo di una sorta di nozione kantiana di bellezza, che è un po’ come una comprensione (o anche una mancata comprensione) della grandezza della materia e di tutte quelle cose che ti costringono verso il concetto di morte (il senso del sublime e così via), così la bellezza può essere una sorta di travolgente senso di morte imminente, o può essere semplicemente un bel colore. Scegliete la bellezza che vi pare.


Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e a mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI A
FINESTRE SULL'ARTE

Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ha fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrive su Art e Dossier e su Left.




A casa di Fabio e Virginia Gori, dove tutti gli elementi sono opere d'arte
A casa di Fabio e Virginia Gori, dove tutti gli elementi sono opere d'arte
“Dipingere è un processo di conoscenza”. Conversazione con Letizia Galli
“Dipingere è un processo di conoscenza”. Conversazione con Letizia Galli
Andrei Molodkin: “la guerra è una catastrofe, ma gli artisti possono cambiare il mondo”
Andrei Molodkin: “la guerra è una catastrofe, ma gli artisti possono cambiare il mondo”
L'arte italiana? Siamo ai minimi storici. Parla Gian Enzo Sperone
L'arte italiana? Siamo ai minimi storici. Parla Gian Enzo Sperone
L'arte come segno, luce, equilibrio tra misura e non misura. Intervista a Guido Strazza
L'arte come segno, luce, equilibrio tra misura e non misura. Intervista a Guido Strazza
Un sommergibile a Modena: la monumentale opera murale di Flavio Favelli per festivalfilosofia 2021
Un sommergibile a Modena: la monumentale opera murale di Flavio Favelli per festivalfilosofia 2021


Commenta l'articolo che hai appena letto



Commenta come:      
Spunta questa casella se vuoi essere avvisato via mail di nuovi commenti





Torna indietro



MAGAZINE
primo numero
NUMERO 1

SFOGLIA ONLINE

MAR-APR-MAG 2019
secondo numero
NUMERO 2

SFOGLIA ONLINE

GIU-LUG-AGO 2019
terzo numero
NUMERO 3

SFOGLIA ONLINE

SET-OTT-NOV 2019
quarto numero
NUMERO 4

SFOGLIA ONLINE

DIC-GEN-FEB 2019/2020
Finestre sull'Arte