“La forza di gravità è l?’anima della scultura”: intervista ad Alice Cattaneo


In questa conversazione con Gabriele Landi, Alice Cattaneo racconta il suo percorso tra paesaggi urbani e rurali, studi internazionali e pratiche site-specific. Una riflessione su scultura, materiali, corpo e tensione, dove l’opera nasce come equilibrio fragile tra forze opposte.

La scultura, secondo Alice Cattaneo, è un organismo vivo, sempre in bilico tra equilibrio e crollo, tra costruzione e disgregazione, capace di trasformare ogni gesto in una forma di pensiero e ogni tensione in una possibilità poetica. Attraverso un pensiero scultoreo che intreccia materia, spazio e tempo, Cattaneo, in questa conversazione con Gabriele Landi, ci racconta un approccio che nasce dal corpo, dialoga con la gravità e si costruisce per attrito.

Nata a Milano nel 1976, Alice Cattaneo nel 2001 consegue in BA (Honours) in Environmental Art alla Glasgow School of Art e nel 2004 un MFA in scultura al San Francisco Art Institute. Ha collaborato in occasioni di mostre personali in spazi istituzionali quali la Ikon Gallery di Birmingham nel 2007, con il museo MADRE di Napoli nel 2008, con la Galerie Stadtpark di Krems in una mostra con Fred Sandback nel 2012, con il Museo del Novecento di Milano nel 2018, in occasione di Una Boccata d’Arte nel 2021, con la Galleria Casamadre Arte Contemporanea di Napoli nel 2023, con la Galleria d’Arte Moderna di Torino in occasione della mostra Dove lo spazio chiama il segno, a cura di Giovanni Giacomo Paolin, 2025, ora in corso. Ha partecipato a mostre collettive in diverse istituzioni tra cui: il MAXXI di Roma nel 2007, Palazzo Grassi di Venezia in occasione di Italics, Italian Art between Tradition and Revolution nel 2008; il Musée d’Art Moderne di Saint-Etienne nel 2009; il Today Art Museum di Pechino, l’Hangar Bicocca di Milano nel 2010; la Collezione Maramotti di Reggio Emilia e il Frankfurter Kunstverein nel 2011; il ZKM Center for Art and Media di Karlsruhe nel 2019; Villa Olmo di Como nella mostra Astratte, Donne e astrazione in Italia 1930 - 2000 nel 2022; l’Istituto Italiano di Cultura di Nuova Delhi nel 2024.

Alice Cattaneo, ritratto di Enric Bou. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, ritratto di Enric Bou. Su concessione dell’artista

GL. Per molti artisti l’infanzia corrisponde con l’età dell’oro quella in cui si iniziano a sedimentare immagini e processi che in qualche modo diventano preziosi per gli sviluppi successivi. È stato così anche per te?

AC. Sono cresciuta dividendomi tra la città e la campagna. Erano due mondi e ambienti molto stimolanti ma allo stesso tempo contraddittori. Il paesaggio urbano, della Milano degli anni Ottanta e Novanta ancora piena di storia e insieme tesa verso uno sviluppo velocissimo, e il tempo trascorso nella campagna, in un paesaggio con tracce di ruralità, fatto di ultimi rimasugli di campi coltivati e nebbia, sono immagini che custodisco e coltivo attraverso il mio lavoro.

Che studi hai fatto? Ci sono stati degli incontri importanti durante gli anni della tua formazione?

Ho studiato Environmental Art alla Glasgow School of Art tra la fine degli anni Novanta e i primi anni Duemila. Qui mi sono confrontata, grazie al dialogo con artisti docenti, con l’idea serrata di opera site-specific intesa come progetto relazionale dedicato allo spazio pubblico. Alla School of Art ho avuto l’opportunità di incontrare artiste e artisti come Claire Barclay e Martin Boyce. In città ho avuto l’occasione di vedere nei primi spazi indipendenti le mostre di artiste come Karla Black e Lucy Skaer e assistito alle performance di Rirkrit Tiravanija. Poi mi sono trasferita in California, dove ho conseguito nel 2004 un MFA in scultura al San Francisco Art Institute. Ho studiato con artisti americani vicini alla Minimal, Performance and Conceptual Art che mi hanno incoraggiata a sviscerare una poetica personale unita ad una pratica che si evolve attraverso modalità processuali molto libere. All’Art Institute ho incontrato artisti e docenti come George Kuchar, Doug Hall, Paul Kos, i Matmos e assistito a lezioni di personaggi come Pipilotti Rist, James Turrell e Jerry Saltz. In questo periodo di studi tra Glasgow e San Francisco ho interiorizzato due modi molto diversi di concepire la pratica artistica che mi hanno portata, anche grazie alle prime mostre personali a Milano, ad una sorta di mediazione tra queste due culture del fare arte.

Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Alessandro Muner. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Alessandro Muner. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, veduta della mostra Dove lo spazio chiama il segno, 2025, GAM Torino. Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista e GAM Torino

Come procedi nel tuo lavoro e che cosa ti guida nella scelta dei materiali che impieghi?

Nei primissimi lavori, complesse architetture effimere realizzate nello spazio, sceglievo materiali semplicissimi, come il legno di balsa e lo scotch. Cercavo di affinare il rapporto tra la scultura e la macchina scenica dello spazio espositivo. Il materiale non doveva sovrastare il contesto ma rivelarlo. Nelle sculture recenti invece mi soffermo sulle caratteristiche connaturate ai materiali, cercando un’aderenza con l’immagine che origina il lavoro. Così ho cominciato a collaborare con gli artigiani e le maestranze legate ai contesti in cui mi trovo in alcuni casi ad operare. I luoghi di trasformazione dei materiali, come le officine, le fornaci, le fonderie, spesso mi suggeriscono i segni nello spazio su cui voglio orientarmi. Le nuove opere prodotte per la mostra Dove lo spazio chiama il segno, curata da Giovanni Giacomo Paolin, ora in corso alla GAM di Torino ad esempio seguono questa visione.

Che importanza ha la forza di gravità nel tuo lavoro?

La forza di gravità è l’anima della scultura. Rappresenta il soffio vitale della materia. Per me è un elemento da sfidare, altre volte da accompagnare e seguire attraverso il fare. Mi interessa osservare cosa succede quando i materiali non reggono la forza di gravità. Quando la materia è sul punto di cedere, per il peso oppure a causa del modo in cui è assemblati o si appoggia al suolo, significa che qualcosa sta accadendo, che il lavoro diventa vitale. Lo osservo nel suo svelarsi mentre trova una suo principio di esistenza: lo stare in piedi o il lasciarsi andare, il venire a patti con la gravità. Il momento di disequilibrio prima dell’equilibrio, quello spazio poco prima della stabilità mi interessa molto.

Che ruolo ha il corpo in quello che fai?

Il corpo è il primo punto fisso. Segna una puntualità nello spazio: l’esserci. La scultura è un precipitato, qualcosa che accade a partire da un corpo per diventare un altro corpo. Mi interessa trasmettere un senso di accadimento, come se il lavoro fosse appena venuto al mondo nel momento in cui lo si incontra con lo sguardo. È una danza invisibile e muta. Gertrude Stein scriveva nei suoi Tender Buttons: “il centro è stando in piedi”.

Ti interessa l’idea di costruzione?

Mi interessa l’idea di costruzione perché è l’accesso all’idea di de-costruzione. Come lo spazio che esiste tra la forza di gravità e la caduta: in questo frangente c’è lo scarto dove si colloca il costruire.

In che modo materiali diversi entrano in risonanza fra loro?

I materiali rappresentano una dualità, in principio non sono quasi mai in armonia. Li scelgo perché manifestano un contrasto. È l’attrito che mi interessa. Superarlo è il passo più difficile, è il momento in cui comincia il lavoro nello spazio, quando il primo piccolo pezzo della scultura diventa una presenza. Le giunture, i collegamenti tra i materiali sono sempre momenti complessi ma generatori di senso. Come nel caso della grande struttura di legno grezzo, Verso l’intorno, realizzata per le stanze del contemporaneo della GAM di Torino. L’intervento riprende il perimetro dello spazio stesso, orientandolo verso punti di fuga al di fuori del museo e oltre la griglia della città. Come se il contesto originario fosse, concettualmente, leggermente ritorto su se stesso orientando lo sguardo verso una dimensione altra. Questa architettura temporanea è diventata l’elemento di connessione tra tutti i lavori in mostra e le stanze del museo.

Il disegno ha nel tuo lavoro una sua importanza?

Disegno per ragionare, mettere insieme le idee, i frammenti di pensiero e le immagini che passano velocemente nella mente. Poi riemergo dal tracciare questi segni e mi rendo conto che sono disegni complessi. Paolo Icaro, un caro amico, davanti ad una mia scultura mi ha detto: “nell’oggetto c’è il progetto”. Così ho capito che nella struttura c’è già il disegno. In un lavoro recente ora esposto alla GAM di Torino, Cosmografia blu, composto da linee di vetro che percorrono lo spazio orizzontalmente, il disegno a grafite e acquerello interrompe l’andamento dell’orizzonte diventando traccia sottilissima e proseguimento del vetro stesso, come una matrice di senso.

Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, ferro, filo di cotone, 23x80x7 cm). Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, ferro, filo di cotone, 23x80x7 cm). Foto: Luca Vianello e Silvia Mangosio. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2006; Tondini di legno, scotch, poliplat). Veduta presso la GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2006; Tondini di legno, scotch, poliplat). Veduta presso la GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, cemento, ferro, 117x6x3cm) Foto: We Document Art. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, cemento, ferro, 117x6x3cm) Foto: We Document Art. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, ceramica, ferro, 15x30x15cm circa). Foto: We Document Art. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2019; Vetro di Murano, ceramica, ferro, 15x30x15cm circa). Foto: We Document Art. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2018; cemento, pigmento, vetro, ceramica, porcellana, plastica, 32x26x13 cm). Veduta presso la GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, Untitled (2018; cemento, pigmento, vetro, ceramica, porcellana, plastica, 32x26x13 cm). Veduta presso la GAM Torino. Foto: Gianluca Minuto. Su concessione dell’artista
Alice Cattaneo, A Murano per Dove lo spazio chiama il segno, (2025). Foto: Giacomo Bianco. Su concessione del’artista e GAM Torino
Alice Cattaneo, A Murano per Dove lo spazio chiama il segno (2025). Foto: Giacomo Bianco. Su concessione del’artista e GAM Torino

Ho visto che hai realizzato una serie di brevi filmati: puoi parlarne?

Il video per me è un materiale. Infatti è spesso proiettato o esposto su vecchi televisori dove sono visibili e udibili le imperfezioni della riproduzione video sullo schermo. I filmati sono brevissimi, li immagino come segni nello spazio del monitor o della proiezione così come i materiali sono segni nel contesto espositivo. Osservarli nel tempo dell’immagine video e’ un modo per parlare di ritmo e di suono, elementi che sento molto vicini al mio modo di concepire la scultura. Poi spesso rappresentano piccole azioni che rimandano a grandi questioni del movimento del tempo.

Ti interessa l’idea di lavorare per degli spazi specifici?

Mi piace molto lavorare negli spazi specifici perché “spiazzano” il lavoro, è un modo per mettere in tensione l’idea dell’opera, farla emergere dal suo ambiente originario, che è un luogo profondo di elaborazione. I materiali poi si portano dietro negli spazi specifici tracce dei contesti dove sono stati generati, ad esempio il ricordo intrinseco della fornace nel caso del vetro, oppure lo studio come luogo di progettazione nel caso di interventi architettonici. È sorprendente così vedere come tutto si interseca nell’atmosfera del contesto e mondi lontani trovano uno spazio comune: questo punto fermo è il lavoro.

Sei interessata all’idea di tensione?

La tensione genera il lavoro, mi interessa trovare quel grado di tensione che arriva ad essere armonia al limite. Armonia latente. La scultura è fatta di questa questione della tensione, anche quando si relaziona allo spazio espositivo.

Che cos’è secondo te la bellezza?

Quando qualcosa di pesantissimo e complicato trova la sua voce in un soffio. Arturo Martini diceva: “l’opera d’arte è sfuggente”.


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Gabriele Landi

L'autore di questo articolo: Gabriele Landi

Gabriele Landi (Schaerbeek, Belgio, 1971), è un artista che lavora da tempo su una raffinata ricerca che indaga le forme dell'astrazione geometrica, sempre però con richiami alla realtà che lo circonda. Si occupa inoltre di didattica dell'arte moderna e contemporanea. Ha creato un format, Parola d'Artista, attraverso il quale approfondisce, con interviste e focus, il lavoro di suoi colleghi artisti e di critici. Diplomato all'Accademia di Belle Arti di Milano, vive e lavora in provincia di La Spezia.



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