Beatrice Meoni mostra le sue nuove opere, sul fenomeno del tarantismo, da Cardelli & Fontana


Si intitola “Febbre” la nuova personale di Beatrice Meoni, che dal 24 giugno al 3 settembre 2023 presso la sede della galleria Cardelli & Fontana di Sarzana presenta la sua produzione recente, lavori che hanno come filo conduttore il fenomeno del tarantismo.

Si intitola Febbre la nuova personale di Beatrice Meoni (Firenze, 1960), una delle più interessanti pittrici del panorama nazionale, che dal 24 giugno al 3 settembre 2023 presso la sede della galleria Cardelli & Fontana di Sarzana presenta la sua produzione recente, un corpus di lavori che hanno come filo conduttore il fenomeno del tarantismo, che nell’intersezionalità dei suoi significati le dà la possibilità di sfiorare e percorrere una trama intricata di legami con la natura, con gli insetti, con i corpi, con la magia, con i riti collettivi, con le tradizioni popolari e con la danza. Si tratta di opere che segnano in modo più netto quella graduale evoluzione che sta investendo la sua pratica.

Alla stregua delle tarantolate che una sola volta all’anno agivano fuori dall’ordine costituito, esprimendo in modo selvaggio, compulsivo e isterico le proprie angosce, Beatrice sconvolge l’ordine del suo linguaggio pittorico (quello a cui ci ha abituati), per mostrare ciò che prima rimaneva sotterrato nella sua psiche.

Questi dipinti ritraggono tutto il suo mondo, svelandolo nella sua apparente caoticità. Non sono, infatti, solo delle rappresentazioni di oggetti, ma dipinti-confessione, autoritratti dell’artista in forma di composizioni di piccole cose che popolano in modo sempre più prepotente la dimensione del quadro. Sono oggetti e immagini cerniera tra il dentro e il fuori, che provengono dal passato e dal presente, dalle parole, dai ricordi, dai desideri, dalle cose e dai corpi. Piccoli souvenir, scarpe, bucce di banana, attrezzi da cucina, ritagli di giornale, libri, appunti e bambole di carta trovano una loro dimensione e una loro voce.

Beatrice Meoni, Febbre 02 (2023; olio su tavola, 120x100 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 02 (2023; olio su tavola, 120x100 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 06 (2023; olio su tavola, 45x35 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 06 (2023; olio su tavola, 45x35 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 07 (2023; olio su tavola, 120x100 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 07 (2023; olio su tavola, 120x100 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 09 (2023; olio su tavola, 120x152 cm)
Beatrice Meoni, Febbre 09 (2023; olio su tavola, 120x152 cm)
Beatrice Meoni, <em>2</em> (2023; olio su tela, 50x40 cm)
Beatrice Meoni, 2 (2023; olio su tela, 50x40 cm)

Il fenomeno del tarantismo è radicato nella tradizione salentina, e già nel Settecento veniva descritta questa singolare forma di esorcismo coreutico-musicale che poteva aver luogo sia all’aperto che in un interno domestico. “La camera da letto destinata al ballo dei tarantati”, scriveva nel 1741 l’erudito Nicola Caputo, “sogliono adornare con rami verdeggianti cui adattano numerosi nastri e seriche fasce di sgargianti colori”. Un’installazione nella mostra di Sarzana, peraltro, ricorda la pratica descritta da Caputo, che prosegue: “Un consimile drappeggio dispongono per tutta la camera e talora apprestano un tino, o una sorta di caldaia molto capace, colma d’acqua, e addobbata con pampini di vite e con verdi fronde di altri alberi; ovvero fanno sgorgare leggiadre fonticelle di limpida acqua, atte a sollevare lo spirito, e presso di queste i tarantati eseguono la danza, palesando di trarre da esse, come dal resto dello scenario, il massimo diletto. Quei drappi, quelle fronde e quei rivoli artificiali essi vanno contemplando, e si bagnano mani e capo al fonte: tolgono anche dal tino madidi fasci di pampini, e se ne cospargono il capo interamente, oppure – quando il recipiente sia abbastanza capace – vi si immergono dentro, e così più facilmente sopportano la fatica della danza”. Venivano disposti poi vasi di essenze aromatiche, come ruta e menta, per stimolare l’olfatto delle persone da esorcizzare: la taranta era dunque una danza che coinvolgeva suoni, colori, profumi. La musica inaugurava il rito terapeutico con cui i tarantati spesso, durante la danza, potevano cadere improvvisamente al suolo, impersonando, scrive lo studioso Ernesto De Martino, “la parte di colui che versa in pericolo estremo della vita, è moribondo o addirittura morto”.

La taranta “non è un pretesto, ma è più che altro un tema capace di far convergere diverse riflessioni e che le consente di organizzare il materiale emotivo, poetico, formale e spirituale. Basta osservare la sua passata produzione per accorgersi che le opere presentate in questa occasione”, scrive Simona Squadrito nel testo per la mostra, “sono l’effettivo principio di una nuova ricerca, di un nuovo codice linguistico e rappresentano la scoperta di inedite soluzioni. Sono dipinti che testimoniano l’emersione di una nuova sensibilità contrassegnata dal coraggio di mostrare qualcosa in più che prima restava celato e veniva rimosso dal quadro, mentre ora appare in modo prepotente. È come se l’artista vedesse una connessione tra il fenomeno della taranta e la pittura. Se infatti con il termine ‘tarantismo’ si vuole indicare sia la malattia che la cura, in modo simile per Beatrice la pratica pittorica è al contempo malattia e cura. […] Beatrice non si rivolge solo ai simboli, agli oggetti sacri che provengono dalla tradizione iconografica e popolare, ma risignifica anche gli aspetti più banali del quotidiano. Piccoli souvenir, scarpe, bucce di banana, attrezzi da cucina, ritagli di giornale, libri, appunti e bambole di carta trovano una loro dimensione e una loro voce. […] In questa nuova affollata dimensione pittorica che esalta soprattutto l’oggetto, anche il corpo acquisisce una dimensione più carnale e fisica. Le figure dipinte, le ‘tarantolate’, prendono spessore e volume, sono corpi scossi, contorti, febbricitanti, tremuli di una possessione e che infuoca la pelle. Questi soggetti/oggetti convivono tra loro in un piano totale dell’immagine e, aggiunge Beatrice: ‘sono parte integrante della visione anche perché spostano il tempo e lo spazio’, lo spostano avvicinandolo. Il tempo e lo spazio vengono compressi in un solo momento, nell’istante di un’unica visione: nello spazio entropico e centripeto del tavolo da lavoro, nelle pareti affollate del suo studio o in un corpo disteso. L’hic et nunc di una vita circoscritta e contingente si concretizza in una modalità di indagine che afferma un’intuizione sul significato dell’esistenza umana, che proprio nel suo darsi, testimonia la permanenza di quei riti, di quei simboli e di quegli archetipi collettivi, che in queste superfici pittoriche entrano in un’armonica collisione con la dimensione personale, domestica, privata e intima dell’artista”.

Beatrice Meoni, Toile (2023; olio su tavola, 50x40 cm)
Beatrice Meoni, Toile (2023; olio su tavola, 50x40 cm)
Beatrice Meoni, Taranta silente (2023; olio su tavola, 35x45 cm)
Beatrice Meoni, Taranta silente (2023; olio su tavola, 35x45 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (2023; olio su tavola, 40x50 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (2023; olio su tavola, 40x50 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (2022; olio su tela applicato su tavola, 66x53 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (2022; olio su tela applicato su tavola, 66x53 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (gennaio 2022; olio su tavola, 50x40 cm)
Beatrice Meoni, Senza titolo (gennaio 2022; olio su tavola, 50x40 cm)

L’esperienza di Beatrice, conclude Squadrito, “si cristallizza attraverso la lettura dei suoi lavori, che estendono gli aspetti più seri della tradizione pittorica, popolare e religiosa in una visione organica e personale orchestrata da un’immaginazione che anima la sua mano e il suo corpo in una danza che si consuma tra le pareti del suo studio e che trova il palcoscenico intimo e più esposto nella superficie del quadro. Non si tratta solo della ricerca e della manifestazione dei costrutti sociali, ancestrali e pulsionali che animano l’immaginario umano, ma soprattutto dell’espressione diretta di sé. I molteplici spostamenti di distanza, di direzione, di ritmo, di clima emotivo che percepiamo, sono indizi di una molteplicità di significati proiettati e introiettati della sua immaginazione operante […]. Febbre, dice Beatrice Meoni, come quella che scuote i corpi delle donne pugliesi morse dalla taranta, come quella che muove il pittore nel suo fare, il pittore per il quale la pittura è autenticamente un modo di vivere”.

Nelle opere di Beatrice Meoni si fa dunque strada una metafisica del reale, dove la pittura è interpretazione e emersione dell’esperienza personale e collettiva, che si dà nella sua dimensione fisica, psicologica e spirituale. “Febbre”, scrive Beatrice Meoni, “come quella che scuote i corpi delle donne pugliesi morse dalla taranta, come quella che muove il pittore nel suo fare, il pittore per il quale la pittura è autenticamente un modo di vivere”.

Per tutte le informazioni sulla mostra è possibile visitare il sito www.cardelliefontana.com

Immagine: Beatrice Meoni, Taranta silente (2023; olio su tavola, 35 x 45 cm)

Informazioni sulla mostra

Titolo mostraBeatrice Meoni. Febbre
CittàSarzana
SedeCardelli & Fontana arte contemporanea
DateDal 24/06/2023 al 03/09/2023
ArtistiBeatrice Meoni
TemiArte contemporanea

Beatrice Meoni mostra le sue nuove opere, sul fenomeno del tarantismo, da Cardelli & Fontana
Beatrice Meoni mostra le sue nuove opere, sul fenomeno del tarantismo, da Cardelli & Fontana


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