A Sarzana una mostra dedicata a “Un paese” di Zavattini e Strand, e ai successori


Da Cesare Zavattini e Paul Strand a Luigi Ghirri, Gianni Berengo Gardin, Olivo Barbieri, Vittore Fossati e gli altri: dal 23 ottobre al 21 novembre 2021, alla Fortezza Firmafede di Sarzana una mostra dedicata a “Un paese”, uno dei più importanti progetti fotografici del Novecento.

La Fortezza Firmafede di Sarzana ospita, dal 23 ottobre al 21 novembre, una mostra dedicata a uno dei progetti fotografici più importanti del Novecento, Un paese di Cesare Zavattini e Paul Strand, edito da Einaudi nel 1955 come fotolibro o “film su carta”. La mostra, intitolata Un’idea di paese, ideata e curata da Spazi Fotografici (Sarzana) con Fondazione Un Paese (Luzzara) e ISIA Urbino, è un percorso espositivo ispirato al libro Un paese che rappresenta tuttora una delle opere editoriali più significative per la storia della fotografia. L’intento della rassegna è quello di mettere insieme diverse esperienze accomunate da una certa attenzione ai luoghi, ai piccoli luoghi dell’Italia interna. Attenzione da una parte figlia dell’operazione foto-testuale di cui sopra, dall’altra figlia di tendenze (quelle che guardano al valore degli archivi, all’eterogeneità, alle esperienze di progettazione partecipata) che negli ultimi decenni hanno preso sempre più campo all’interno del mondo della fotografia, della cultura, dell’arte contemporanea. Questa mostra, che si avvale di una parte importante del patrimonio fotografico conservato presso le collezioni di Fondazione Un Paese, vuole dunque essere un attraversamento della serie di lavori realizzati a Luzzara dagli anni Cinquanta e, poi, salto ai giorni nostri con la sezione di Archivio Bellosguardo e Archivio Atena.

In mostra figurano opere di Hazel Kingsbury Strand, Gianni Berengo Gardin, Luigi Ghirri, Stephen Shore; Marco Baldassari, Marco Signorini e Luca Andreoni, all’epoca partecipanti al laboratorio (Linea di Confine) di Shore; Olivo Barbieri, Marcello Grassi, Fabrizio Orsi, Vittore Fossati, David Maialetti e Kai-Uwe Schulte-Bunert. Completano l’esposizione i progetti Archivio Bellosguardo e Archivio Atena, nati da un’idea di Alessandro Imbriaco e poi coordinati con Alessandro Coco, in due piccoli comuni del Cilento (Bellosguardo e Atena Lucana), consistenti in una selezione di 82 stampe tra fotografie di famiglia e produzioni a opera di giovani autori invitati in residenza. Questa l’anima di un progetto che già replicato su due comuni si propone come nuovo format, “un’altra idea”. Il progetto infatti non solo vuole valorizzare le esperienze riportate in mostra, ma aprire da lì nuovi spazi di approfondimento e ricerca; e avviare in parallelo, in Lunigiana, un laboratorio figlio di quel modello già testato con Archivio Bellosguardo e Archivio Atena. Per questo, in programma, oltre all’evento di apertura (di cui si trovano informazioni qua), una serie di incontri e workshop sui foto-testi e un workshop sugli Archivi, locali, privati o di famiglia, con Alessandro Coco e Alessandro Imbriaco alla guida. Per tutte le informazioni è possibile visitare il sito di Spazi Fotografici.

Sala della mostra
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Un paese

Tra i primi libri fotografici italiani, esempio di riferimento nella storia dei foto-testi, Un paese vede Cesare Zavattini (Luzzara, 1902 - Roma, 1989), scrittore e intellettuale tra i principali teorici del Neorealismo italiano, reso celebre dal sodalizio artistico con Vittorio De Sica, e Paul Strand (New York, 1890 - Orgeval, 1976), fotografo americano di fama internazionale, cercare assieme, con linguaggi diversi, una restituzioen non stereotipata della vita e dei luoghi su cui normalmente non vengono puntati i riflettori. Quando Strand e Zavattini si incontrano, a Perugia nel 1949, i tempi sono maturi per una collaborazione che si concretizzerà nel 1952. Da una parte Strand, pioniere della straight photography, insegue da tempo l’idea di un racconto per immagini sul modello di Antologia di Spoon River di Edgar Lee Masters. Dall’altra Zavattini ha da poco lanciato l’idea di Italia mia, progetto cinematografico non riuscito e convertito per Einaudi in progetto editoriale di fotolibri o come li definirono “film su carta”: un lavoro corale di fotografi, registi, intellettuali del Neorealismo, pensato per illustrare l’Italia del dopoguerra attraverso le voci e i volti di chi le abita. Ogni numero avrebbe dovuto concentrarsi su un luogo diverso. Zavattini decide di dedicare il proprio a Luzzara, suo paese di nascita.

Così, Paul Strand si trasferisce lì per sei mesi con la moglie Hazel Kingsbury Strand, per fotografarlo alla sua maniera. Della storia del libro e della sua progettazione scrive Laura Gasparini con Alberto Ferraboschi in Un paese. La storia e l’eredità, uscito in occasione della mostra realizzata nel 2017 in Fotografia Europea. Il testo di Zavattini, non mero accompagnamento didascalico delle foto di Strand ma raccolta poetico-descrittiva delle confidenze dei compaesani, primo tra gli esperimenti del genere per idea, struttura e forma, offre uno spaccato della memoria collettiva, aprendo nuove e inedite ricerche nella letteratura e nel cinema. Nonostante la fama dei due e l’annuncio importante dell’iniziativa, il libro non ebbe il successo sperato. Si interrompe subito il progetto di Italia mia. Diventato introvabile, è stato ripubblicato nel 1997 da Fratelli Alinari IDEA con Fondazione Aperture, che detiene archivio e diritti delle opere dei coniugi Strand. Da lì, la lunga storia di pellegrinaggi artistici in una Luzzara mitizzata. Il primo a tornare nel borgo è Gianni Berengo Gardin, nel 1976, seguito negli anni Ottanta da Luigi Ghirri, nel 1993 da Stephen Shore che organizza lì il suo sesto Laboratorio di Fotografia al quale partecipano, tra gli altri, Luca Andreoni, Marco Baldassari e Marco Signorini (oggi autori affermati), nel 1996 Olivo Barbieri, nel 2004 Marcello Grassi e Fabrizio Orsi, nel 2007 Vittore Fossati, tra il 2014 e il 2017 David Maialetti e nel 2021 Kai-Uwe Schulte-Bunert.

Sala della mostra
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Il percorso espositivo

L’itinerario della mostra si apre con le fotografie di Hazel Kingsbury (1907 - 1982), moglie di Paul Strand, anche lei fotografa. Assieme si trasferiscono nel 1951 in Europa ed eseguono ricognizioni fotografiche, lui portando avanti la sua produzione, lei assistendolo, documentando, realizzando a sua volta reportage molto personali. La riscoperta delle opere in mostra avviene negli anni Ottanta grazie al lavoro di Luigi Ghirri e Paolo Costantini, che nel 1989 pubblicano con CLUP il libro Strand. Luzzara: i due, con ampia cura filologica, ricostruiscono e contestualizzano la figura di Hazel Kingsbury Strand conferendole una sua dignità. Le fotografie ritrovate sembrano sottolineare la tesi della costruzione di un lavoro svolto sulla base di una sceneggiatura di massima, la stesura di un progetto per il quale Ghirri usa il termine “sinopia”.

Dopo l’esperienza di Zavattini e Strand, i primi a tornare a Luzzara sono Gianni Berengo Gardin (Santa Margherita Ligure, 1930) e Luigi Ghirri (Scandiano, 1943 - Reggio Emilia, 1992), per ragioni e con modi differenti ma vicini almeno in termini di interesse e sensibilità. Il primo è sfidato proprio da Zavattini a raccontare quello stesso paese alla sua maniera, il secondo per quella tensione che sempre lo richiama alla provincia, il “luogo per antonomasia”. È il 1976 quando esce per Einaudi il volume Un paese vent’anni dopo di Berengo Gardin: il fotografo ligure già collaborava con Zavattini ed era suo amico, e una sera gli confessò che, per quanto stimasse Strand, per lui “l’immagine di Luzzara che ne usciva non corrispondeva alla realtà. Strand ne aveva daot una lettura altamente poetica, troppo poco”. Così, Berengo Gardin decise di censire fotograficamente tutti gli abitanti di Luzzara, ricercando in particolare le persone fotografate da Strand, “giocando alle differenze”, con gli anni Cinquanta, il tutto in chiave reportagistica: c’è l’ingresso nella modernità, e a Luzzara come altrove emergono i caratteri della società degli anni Settanta. Il progetto era quello di fare un lavoro di documentazione sociale, in coerenza con la produzione berenghiana. Si tratta dell’unico lavoro successivo a Un paese che vede coinvolto Zavattini (per la prefazione).

Per Luigi Ghirri, Luzzara è tappa facile e obbligata: del 1973 è una foto del Caffè Zavattini, dalla prima serie per l’autore legata a una committenza, e poi il ritorno con Paolo Costantini per la riscoperta delle foto di Hazel Kingsbury Strand. Poi, negli anni Ottanta e poco dopo, l’occasione di ufficializzare la tappa: negli anni Novanta infatti Ghirri avrebbe dovuto tenere il laboratorio promosso da Linea di Confine su Luzzara, in seguito alla sua morte passato a Shore. Ciò che resta sono fotografie figlie di una precisa poetica. La mostra prosegue proprio con il Laboratorio di Linea di Confine: a causa della prematura scomparsa di Ghirri, a tenerlo fu Stephen Shore (1947), autore a cui dagli anni Ottanta fecero riferimento i nuovi fotografi di paesaggio italiano, soprattutto per uscire dagli stereotipi post-neorealisti. Il suo approccio è opposto a quello di Berengo Gardin: l’artista infatti non voleva documentare i cambiamenti nei paesaggi e nelle persone. Per lui, “quel genere di persone e case e paesaggi esiste praticamente ancora nella stessa forma”, solo “fianco a fianco nel mondo di oggi”. Della vita di Luzzara, e della vita italiana in generale, lo colpisce il permanere, nel mezzo della modernità, di elementi tradizionali: è su questo aspetto che si concentra il suo lavoro. Poco dopo, la mostra espone alcune stampe prodotte nello stesso laboratorio da Luca Andreoni, Marco Baldassari e Marco Signorini, allora all’incirca trentenni.

Si passa quidi al 1996, quando Olivo Barbieri (Carpi, 1954) passa per Luzzara, invitato dal settimanale Specchio per il quarantennale di Un paese: Barbieri pubblica le sue foto in un articolo dal titolo Quarant’anni ma sembra ieri, un omaggio dichiarato al lavoro di Strand e Zavattini. Barbieri fece lo stesso di Berengo Gardin, ovvero ricercare le persone ritratte dai suoi predecessori, ma in forme diverse: in dittici che riprendono il movimento rompendo la convenzione dell’attimo irripetibile. Tra le persone ritratte anche Angela Secchi, ritratta fin da bambina da Paul Strand e poi comparsa in diversi altri progetti. Avanti di alcuni anni, tra il 2003 e il 2004, è la volta di Marcello Grassi (Reggio Emilia, 1960) e Fabrizio Orsi (Reggio Emilia, 1961). La loro idea, sfociata nel libro Luzzara. Cinquant’anni e più, pubblicato nel 2004 da Skira, è la stessa: seguire le orme dei maestri, ricercare le persone già ritratte, chi abita Luzzara oggi, trattenere i luoghi. Grassi è un paesaggista, Orsi è un ritrattista: catturano architetture, spazi, gente, mestieri. Luzzara resta emblema dell’essere paese, del cambiare rimanendo fedele a se stessa e ai propri caratteri peculiari. Il 2007 è l’anno di Vittore Fossati (Alessandria, 1954), che si concentra invece sui luoghi abitati, rinvenendo la presenza degli uomini anche quando sono defilati. Fossati arriva a Luzzara proprio su invito di Fondazione Un Paese, in un’iniziativa prpomossa in collaborazione con Fotografia Europea. In tutta l’opera di Fossati esiste quella tensione verso il luogo da trovare come spazio che sia non claustrofobico, ma abitabile. Ultimo in ordine di apparizione è David Maialetti (1967), fotografo del quotidiano The Philadelphia Inquirer, inviato inizialmente a Luzzara per un reportage nel 2014. L’occasione è data da un’antologica su Paul Strand realizzata dal Philadelphia Museum of Art, e negli stessi giorni si progetta di portare Paul Strand in Italia, in una mostra nell’ambito del festival Fotografia Europea di Reggio Emilia, nel 2017. Nel mentre, per tre anni, con diversi soggiorni, Maialetti lavora su Luzzara: il suo progetto diventerà poi un libro intitolato Luzzara. Another look (2018). Il nuovo sguardo di Maialetti mostra una costruzione narrativa capace di avvalersi della velocità del reportage, ma diversa da quella di Berengo Gardin. Come altri prima di lui, ripercorre i passi dei maestri, cerca i cambiamenti, esplora gli spazi. La mostra si chiude con Kai-Uwe Schulte-Bunert (Aschersleben, 1969), autore del progetto multimediale Dante. Un contadino, il più recente lavoro su Luzzara, realizzato nel 2021.

Hazel Kingsbury Strand
Hazel Kingsbury Strand
Hazel Kingsbury Strand
Hazel Kingsbury Strand
Gianni Berengo Gardin
Gianni Berengo Gardin
Luigi Ghirri
Luigi Ghirri
Stephen Shore
Stephen Shore
Stephen Shore
Stephen Shore
Olivo Barbieri
Olivo Barbieri
Vittore Fossati
Vittore Fossati
Marcello Grassi
Marcello Grassi
Progetto Archivio
Progetto Archivio

I progetti Archivio Bellosguardo e Archivio Atena

Un’appendice a Un’idea di paese è costituito dal progetto Archivio, condotto in due borghi del Cilento, ovvero Bellosguardo e Atena Lucana. Si tratta di fotografie che intendono contribuire alla costruzione di una “idea di paese”, una raccolta di fotografia vernacolare realizzata per Archivio Bellosguardo (2019) e Archivio Atena (2021). I due progetti, ideati da Alessandro Imbriaco e coordinati con Alessandro Coco, nascono da un forte radicamento sul territorio: in entrambi i casi si è scelto di lavorare in un paese del Parco nazionale del Cilento, in cui sono stati invitati giovani autori che nell’arco di alcuni giorni hanno condotto la propria ricerca visiva. In parallelo, negli stessi paesi è stata attivata una raccolta di fotografia vernacolare che gli abitanti hanno messo a disposizione per creare un archivio digitale di fotografie di famiglia.

I due filoni di attività hanno così portato alla creazione di un bacino di immagini molto articolato per epoche, soggetti, temi, tecniche, autorialità. I giovani autori si sono mossi non solo all’interno della più consolidata tradizione della fotografia italiana di paesaggio ma hanno indagato le molteplici possibilità del mezzo: dispositivo tecnologico di ripresa, strumento di investigazione, strumento di invenzione narrativa e di documentazione di gesti, attività, espressioni quasi con attitudine antropologica. La fotografia è stata usata per la sua capacità di porre domande, di entrare in dialogo con una comunità locale curiosa e disponibile che non solo si è messa in posa, ma si è raccontata attraverso le sue storie orali, le sue abitudini, i suoi rituali.

Il percorso espositivo si sviluppa prediligendo gli stimoli retinici per meglio tenere conto dei molteplici linguaggi piuttosto che un filone cronologico o narrativo. O forse, la narrazione, come è adeguato che sia quando si usa il visivo, si sviluppa con i colori, le forme, le evidenze e i nascondimenti. La mostra sbriciola i progetti di ciascun autore e ogni singolo frammento, proprio per le sue qualità intrinseche, vuole contribuire alla proposta di un’idea di paese.


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