Ecco come sono cambiati i musei sul web durante la pandemia (in meglio). La ricerca del Politecnico di Milano


L'Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano ha condotto un'indagine sul tema dei musei e del digitale nelle settimane dell'emergenza sanitaria. Ecco come sono cambiati i musei e su cosa dovranno investire secondo l'osservatorio.

Buoni risultati per i musei italiani online durante le settimane del cosiddetto lockdown: a renderli noti è l’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali del Politecnico di Milano, che da tempo monitora le attività digitali dei musei. Grazie anche al crescente interesse degli italiani verso i contenuti culturali digitali, i musei hanno incrementato la loro presenza in rete: la crescita maggiore, fa sapere l’Osservatorio, si è registrata su Instagram (+7,2%), seguito da Facebook (+5,1%) e Twitter (+2,8%) nel mese di marzo e con un ulteriore incremento rispettivamente dell’8,4%, 3,6% e 2,4% in aprile. A parte pochi casi, il livello di interazione è però rimasto stabile.

L’Osservatorio rileva che il 76% dei musei è presente almeno su un canale social media, con Facebook che si conferma il più diffuso (76%), seguito da Instagram (45%, rispetto al 26% dell’anno precedente). Alcune istituzioni sperimentano anche canali social nati più di recente come TikTok. La presenza sui social ha consentito alle istituzioni culturali di offrire contenuti ai visitatori per approfondire la conoscenza anche dopo la visita e di mantenere una relazione di lungo periodo con i propri pubblici. L’esperienza del confinamento per contrastare la diffusione del Covid-19 ha dato un significativo impulso alla presenza online dei musei e in parte ha dettato anche un cambiamento di marcia: dal monitoraggio di quanto è accaduto nei musei statali tra dicembre 2019 e aprile 2020, l’Osservatorio ha notato che il livello di attività online è significativamente aumentato e, in particolar modo, il numero di post sui canali social media è quasi o più che raddoppiato su tutti i canali nelle settimane di chiusura del mese di marzo 2020, mantenendosi su valori elevati anche nel mese di aprile.

La ricerca condotta dall’Osservatorio è poi andata anche oltre. Per quanto riguarda l’esperienza di visita on site, dall’indagine svolta su un campione di 430 musei, monumenti e aree archeologiche italiani, si osserva come le audioguide (32%), QR-code (31%) e installazioni interattive (28%) siano gli strumenti di supporto alla visita più diffusi. Tuttavia dall’indagine emerge anche che il 51% dei musei non è ancora dotato di wi-fi. Per ciò che invece riguarda i siti web, questi ultimi svolgono un ruolo centrale per raccogliere informazioni su orari, biglietti, attività e percorsi di visita. I dati derivanti dall’analisi dei servizi offerti su internet dai musei, svolta per il terzo anno consecutivo, mostrano che l’85% dei musei ha un sito web, relativo alla singola istituzione o all’interno di altri siti, come quello del Comune. Sono ancora poco diffusi strumenti, come i videogiochi per incuriosire e preparare alla visita (5%).

Quanto alla vendita dei biglietti, ancora oggi circa l’86% dei ricavi dei musei deriva dalla vendita di biglietti d’ingresso in loco, e nell’indagine realizzata poco prima dell’emergenza l’investimento in sistemi di ticketing (presente solo nel 23% dei casi), gestione delle prenotazioni e controllo degli accessi era indicato come priorità per il futuro solo dal 6% delle istituzioni.

“Prima dell’emergenza sanitaria”, dichiara Michela Arnaboldi, Responsabile Scientifico dell’Osservatorio innovazione Digitale nei beni e attività Culturali, “si potevano distinguere in modo relativamente nitido due percorsi: da un lato l’esperienza di visita on site (talvolta supportata da strumenti digitali); dall’altro l’utilizzo degli strumenti online per attrarre e preparare il pubblico alla visita in loco, oppure ex-post per proseguire il rapporto con l’istituzione visitata, soprattutto tramite i social media su cui è attivo il 76% dei musei. Se con i musei aperti il digitale ha rappresentato un complemento all’esperienza di visita (nelle sue molteplici sfaccettature), con la chiusura delle istituzioni culturali il digitale si è rivelato lo strumento necessario per poter offrire contenuti culturali. Questo ha portato inevitabilmente ad un uso diverso del canale online, social media in primis ma anche siti web, che sono divenuti da strumenti di comunicazione e di preparazione alla visita, quali erano fino ad ora, strumenti di vera e propria erogazione di contenuto”.

“Anche il livello di interesse da parte per le attività online è aumentato, come si evince dall’incremento degli utenti che seguono le pagine social dei musei”, afferma Deborah Agostino, direttore dell’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali. “Il livello di interazione, invece, per i musei rimane stabile. Nonostante l’aumento dell’attività e dei follower, non si sono mediamente osservate variazioni rispetto a quanto accadeva nelle settimane precedenti il lockdown. Questo ha delle eccezioni in corrispondenza di attività più interattive, in cui è stata richiesta esplicitamente una risposta da parte del pubblico, come l’iniziativa ArtYouReady che ha generato su Instagram un numero di interazioni più che doppio rispetto ai giorni precedenti. Nel caso dei teatri, invece, la capacità di ingaggiare il pubblico nelle settimane di chiusura è aumentata sensibilmente rispetto ai mesi precedenti, soprattutto con riferimento a Facebook, su cui il numero medio di interazioni giornaliere è cresciuto del 61%”.

L’Osservatorio, inoltre, indica anche quali saranno i passi che i musei dovranno affrontare in futuro per un più esteso e consapevole utilizzo del digitale, sempre ricordando che esperienza dal vivo ed esperienza online non rappresentano due tipi di offerta alternativi, ma due offerte complementari ed in grado di soddisfare esigenze talvolta differenti. Il Politecnico sottolinea intanto che occorre, come premessa, una presa di coscienza, da parte dei policy maker e dei responsabili della gestione delle istituzioni, della necessità di un cambio di passo nei contenuti e nei modi di proporre il valore. L’Osservatorio ricorda così che già nel 2017 sosteneva la necessità per le istituzioni culturali di dotarsi di un piano di innovazione digitale, ma dall’indagine condotta tra fine 2019 e inizio 2020 è emerso che la cultura della pianificazione nelle istituzioni culturali è ancora carente: solo il 24% di queste ultime ha redatto un piano strategico dell’innovazione digitale (il 6% come documento dedicato e il 18% all’interno di un più generale piano strategico).

Saranno poi necessari, secondo l’Osservatorio, investimenti in strumenti di supporto al customer journey (cioè all’esperienza degli utenti), sia online che onsite. Negli ultimi due anni l’83% dei musei, monumenti e aree archeologiche italiane ha investito in innovazione digitale, concentrandosi prevalentemente su servizi di supporto alla visita in loco (48%) e catalogazione e digitalizzazione della collezione (46%): secondo l’Osservatorio, queste due voci costituiranno la priorità di investimento anche per i prossimi due anni (rispettivamente per il 33% e il 22% delle istituzioni), seguite da comunicazione e customer care (14%) e attività educative e didattiche (13%).

L’indagine rivela che, al contrario, solo il 6% dei musei ritiene prioritario l’investimento in sistemi di ticketing, gestione delle prenotazioni e controllo degli accessi (e questo nonostante solo il 23% abbia attualmente un sistema di online ticketing), così come la digitalizzazione delle attività di sicurezza e sorveglianza. Inoltre, tra i musei che hanno un sistema di controllo accessi (93%) prevale lo stacco del biglietto d’ingresso in formato cartaceo (71%), rispetto a sistemi automatizzati come lettori di codici a barre (11% su carta e 6% su display) e tornelli o varchi contapersone (7%). Questo nonostante l’emergenza sanitaria indurrà a un totale ripensamento anche degli aspetti legati alla logistica e all’organizzazione del percorso dell’utente, che richiederà sistemi tecnologici che consentano la prenotazione online, il contingentamento degli accessi e sistemi di sicurezza e controllo di quanto avviene all’interno dell’istituzione culturale.

Ancora, risulterà imprescindibile, secondo l’Osservatorio, investire su lavoro e competenze, in altre parole sulle persone. Attualmente il 51% dei musei non si avvale di nessun professionista, interno o esterno, con competenze legate al digitale. Il restante 39% dispone invece di competenze interne e/o ricorre a consulenti esterni per la gestione del digitale, ma solo il 12% ha un team dedicato composto da più persone. Una competenza che, secondo l’Osservatorio, sarà sempre più rilevante, anche alla luce dello spostamento del baricentro verso l’attività online, riguarda l’analisi e l’utilizzo strategico dei dati. Conoscere i clienti, le loro abitudini e esigenze, il livello di gradimento dell’esperienza vissuta sono informazioni che consentono di gestire i rischi e migliorare il servizio offerto; monitorare specifici indicatori di performance relativi alla propria organizzazione permette di migliorare la pianificazione e l’efficacia delle attività.

Infine, l’Osservatorio prescrive di porre attenzione su servizi come la vendita di immagini per finalità di ricerca, riproduzione e commerciali (già offerti dal 32% dei musei) e sui servizi di abbonamento per l’accesso a servizi tramite sito web e applicazione (2%). Questi ultimi, in particolare, secondo il Politecnico sono tra i modelli che ultimamente sono stati proposti per ottenere introiti legati all’attività online dei musei. Diversi esponenti dell’ecosistema culturale, infatti, hanno sostenuto la necessità di studiare forme di abbonamento o biglietto più ricche di quelle attualmente a disposizione, che contemplino l’accesso a itinerari e percorsi tematici, in cui l’integrazione online-onsite permetterà di tornare più volte al museo e accedere a contenuti sul web on demand.

Ecco come sono cambiati i musei sul web durante la pandemia (in meglio). La ricerca del Politecnico di Milano
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