Carsten Höller, un mondo “upside down” per evadere dalla realtà


Evadere dalla realtà incontrando il mondo dell’arte: questo è l’approccio del mondo “upside down” del tedesco Carsten Höller (Bruxelles, 1961), artista e scienziato che indaga sull’interazione tra pubblico e opera.

“Non vi è alcun metodo più sicuro per evadere dal mondo che seguendo l’arte, e nessun metodo più sicuro di unirsi al mondo che tramite l’arte”. Ipse dixit, o meglio: Johann Wolfgang Goethe dixit, già tre secoli fa, anticipando ciò che avrebbe affermato Schopenhauer nel suo testo Il mondo come volontà e rappresentazione, ovvero che l’arte è l’unica forma di liberazione dal dominio della volontà. Lo sapeva bene il poeta francese Verlaine che a metà Ottocento coniò l’espressione “poeta maledetto” per designare qualsiasi artista dotato di genio che, vivendo con uno stile di vita provocatorio, rigetta i valori della società borghese a lui contemporanea.

Dunque, come affermava Goethe, l’arte come mezzo per evadere dal mondo, restando perfettamente in sincronia con il mondo stesso. È un’affermazione paradossale, ma quanto mai veritiera se si pensa a come, da visitatori, si decida di approcciare l’universo dell’arte (e per arte si intende chiaramente qualsiasi sua espressione, compresi il cinema e il teatro).

La visita di un museo rappresenta una congiuntura importante per chi si avvicina all’arte e di essa fa esperienza: se da un lato, infatti, il visitatore resta estasiato da ciò che incontra varcandone le porte, dall’altro vive un’occasione di evasione dalla realtà e, molto spesso, dalla confusione cittadina che il più delle volte s’incontra fuori dal contesto museale. Tra il visitatore e le opere d’arte si costruiscono dei “sistemi sincronici”, laddove per sincronizzazione si vuole intendere il meccanismo di osservazione-interpretazione-interazione che si sviluppa fra chi fruisce l’opera e l’opera stessa.

Nel 2000, proprio la tematica dei sistemi sincronici fra visitatore e installazioni presenti in un museo è stata il fulcro di una mostra intitolata Syncro System e dedicata alle opere di uno dei maggiori talenti contemporanei, Carsten Höller. Il progetto espositivo del 2000 per la Fondazione Prada, designato dallo stesso Höller, voleva essere una presentazione di “mondi possibili” che volevano stimolare visivamente, intellettualmente e psicologicamente il fruitore, mediante una serie di labirinti e percorsi sensoriali. Una delle installazioni più famose di Syncro System resta sicuramente Upside Down Mushroom Room (2000), parte integrante del progetto Atlas dal 2018, ospitato presso la Torre, il nuovo ampliamento espositivo della Fondazione Prada a Milano, progettato dallo studio d’architettura OMA di Rem Koolhaas e inaugurato due anni fa.

Ritratto di Carsten Höller. Ph. Credit Brigitte Lacombe
Ritratto di Carsten Höller. Ph. Credit Brigitte Lacombe. Courtesy Gagosian


Carsten Höller, Upside Down Mushroom Room (2018; tecnica mista; Milano, Fondazione Prada).  Ph. Credit Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada
Carsten Höller, Upside Down Mushroom Room (2018; tecnica mista; Milano, Fondazione Prada). Ph. Credit Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada


Carsten Höller, Upside Down Mushroom Room (2018; tecnica mista; Milano, Fondazione Prada).  Ph. Credit Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada
Carsten Höller, Upside Down Mushroom Room (2018; tecnica mista; Milano, Fondazione Prada). Ph. Credit Delfino Sisto Legnani e Marco Cappelletti. Courtesy Fondazione Prada

In uno spazio espositivo completamente neutro, l’installazione vede una serie di funghi (di diversa dimensione e forma) i cui cappelli e lamine sono posti all’ingiù, mentre il gambo è la parte ancorata al soffitto. L’interesse per i funghi da parte di questo artista è quasi contemporaneo all’inizio della sua attività artistica. Le prime sculture-fungo risalgono, infatti, al 1994. La scelta di Carsten Höller sulla tipologia di fungo non è causale: si tratta della temibile amanita muscaria, il fungo più famoso dell’intera flora micologica, ma anche il più pericoloso in quanto è il più velenoso, oltre ad essere quello che ha più ripercussioni sulla psiche umana. Sicuramente, la scelta di Höller è voluta: l’amanita muscaria è parte del nostro bagaglio immaginario, presente anche nelle fiabe della Disney e pertanto conosciuto sin dalla tenera età. La scelta dell’artista è, dunque, ben mirata sin da subito: egli vuole immeditamente attivare quel meccanismo sincronico di cui si parlava in precedenza, ovvero quello che prevede l’osservazione dell’opera, la sua interpretazione e l’interazione con essa.

“Quando vedi il mondo all’ingiù, stai osservando il mondo reale”, afferma l’artista. Si pone in dubbio, dunque, quale sia la corretta visione del mondo Come in Alice nel Paese delle Meraviglie (1865) di Lewis Carroll, nel più recente film Inception (2010), firmato Christian Nolan, o come nella più recente Netflix serie tv Stranger Things (2016), la natura della percezione umana e l’auto-conoscimento occupano nelle installazioni dell’artista un ruolo fondamentale. La sorpresa, i meccanismi sensoriali e gli stimoli psicofisici servono a Höller per investigare le nuove frontiere della percezione e dell’esistenza umana, producendo nel visitatore sorprendenti e inusuali reazioni, specie psico-emotive. Höller realizza il tutto mediante un criterio e un rigore scientifico che gli derivano proprio dalla sua formazione professionale.

Infatti, nato a Bruxelles nel 1961, Höller ha studiato entomologia agricola presso l’Università di Kiel dove si è persino dottorato nel 1988 con una ricerca sulla comunicazione fra gli insetti. Paradossalmente, proprio una volta terminato il suo dottorato, decide di abbandonare le scienze come professione e di utilizzare ciò che aveva studiato nel corso degli anni per realizzare le sue sculture-installazioni concettuali che, ad oggi, sono diventate famose ed esposte in tutto il mondo. L’interazione fra visitatore e opera d’arte è il centro focale della sua ricerca artistica: le installazioni prendono vita e sono complete solo nel momento in cui il visitatore interagisce con esse. Essendo uno scienziato prima ancora che un artista, le indagini da lui svolte mediante le sue sculture-installazioni mirano alla conoscenza della logica umana e all’insinuazione del dubbio sul passato, sul presente e sul futuro dei suoi interlocutori. Le opere di Höller interessano varî settori dell’attività professionale umana: si varcano, infatti, i limiti del botanico, dello zoologo, dello psicologo, del farmacista, dell’ottico, dell’architetto. Un lavoro a trecentosessanta gradi che porta anche ad una nuova discussione sui confini di ciò che può essere considerato arte contemporanea, soprattutto in relazione allo spazio che accoglie le opere, ovvero il museo d’arte contemporanea.

Famose in tutto il mondo sono le sculture-scivoli di Carsten Höller. Sicuramente uno dei più celebri è il Test Site della Tate Modern di Londra, installato nel 2006 e riproposto in altri paesi come Germania (Bundeskunsthalle di Bonn), Italia (Palazzo Strozzi), Finlandia e Stati Uniti. Anche per Test Site, l’interazione fra il visitatore, l’opera e lo spazio che la ospita resta il punto centrale della ricerca artistica dell’artista. L’installazione constava di cinque turbine-scivolo che collegavano i piani alti della Tate al piano terra. Gli scivoli sono considerati oggetti ludici per i bambini, raramente utilizzati da adulti, se non in altri contetsi, quali possono essere un parco divertimenti o un aquafan. Decontestualizzate dal loro ambiente ludico, queste turbine-scivolo diventano oggetti che sono al servizio dei visitatori del museo, i quali possono sperimentarli liberamente. Da questa esperienza sensoriale scaturiscono sorprendenti reazioni psichiche e fisiche abbastanza intense, che sono proprio l’oggetto di studio del nostro scienziato-artista. Höller crede che l’oggetto d’arte in sé non abbia una sua intrinseca natura se non è relazionato al suo contesto spaziale e, soprattutto, umano. Il mondo dell’arte è, pertanto, costituito da un sistema di interrelazioni o, se si vuole tornare all’inizio di questo articolo, ad un serie di sistemi sincronici fra fruitore e opera d’arte.

Carsten Höller, Test Site (2006). Installation view, Londra, Tate Modern
Carsten Höller, Test Site (2006). Installation view, Londra, Tate Modern


Carsten Höller, Test Site (2018). Installation view, Bonn, Bundeskunsthalle
Carsten Höller, Test Site (2018). Installation view, Bonn, Bundeskunsthalle


Carsten Höller, The Florence Experiment (2018). Installation view, Firenze, Palazzo Strozzi. Ph. Credit Martino Margheri. Courtesy Palazzo Strozzi
Carsten Höller, The Florence Experiment (2018). Installation view, Firenze, Palazzo Strozzi. Ph. Credit Martino Margheri. Courtesy Palazzo Strozzi


Carsten Höller, The Florence Experiment (2018). Installation view, Firenze, Palazzo Strozzi. Ph. Credit Martino Margheri. Courtesy Palazzo Strozzi
Carsten Höller, The Florence Experiment (2018). Installation view, Firenze, Palazzo Strozzi. Ph. Credit Martino Margheri. Courtesy Palazzo Strozzi

L’importante bagaglio scientifico di Höller non emerge soltanto dal suo interesse per le questioni legate alla logica e alla percezione umana. Il mondo animale, oltre a quello micologico di cui si è parlato in precedenza, svolge un ruolo decisivo all’interno dei suoi processi investigativi. Per i documenta X di Kassel, nel 1997, Höller presenta, insieme alla famosa artista tedesca (e sua compagna) Rosemarie Trockel, la celebre installazione A House for Pigs and People, un progetto che voleva portare il soggetto animale sulla scena di una delle più importanti manifestazioni artistiche mondiali. La ricerca dei due artisti, come essi stessi spiegano, nasce dal desiderio di comprendere se l’uso, possibile o meno, di determinati cibi (piante o animali) aventi un valore simbolico (in questo caso basti pensare proprio al consumo della carne di maiale per alcune religioni) possa influire semanticamente anche sull’essere umano, ovvero se questo simbolismo si proietta per osmosi anche sul consumatore. L’interesse era chiaramente incentrato anche sulla questione religiosa e politica in riferimento al decidere o meno, al soggiogare o meno alcune classi sociali, al proibire o meno il consumo di un determinato cibo per questioni religiose, magiche, etiche o di altra natura (se ci si pensa, risulta essere un tema abbastanza attuale anche nell’Italia di oggi). In una struttura rettangolare di cemento, una lastra di vetro separava in due le sezioni della casa: da una parte i maiali, dall’altra le persone. La visione era volutamente unidirezionale: solo le persone erano in grado di osservare i maiali, ma non viceversa. Il maiale era stato scelto in quanto da sempre specie addomesticata dall’uomo, considerata soprattutto in quanto carne da macello.

La divisione (e l’interazione) fra il mondo animale e quello umano è stato anche il protagonista di SOMA, la folle installazione del 2010 presentata presso la Hamburger Bahnhof, il museo d’arte contemporanea di Berlino in Germania. In uno dei contesti mondiali più importanti dell’arte contemporanea, Höller ha offerto ai visitatori la possibilità di dormire su un letto sospeso in compagnia di dodici renne (vive!), canarini, topi, mosche e alcuni funghi giganti, trasformando l’installazione artistica in una vera e propria visione psichedelica con lo scopo, non solo di sorprendere il visitatore ma, ancora una volta, di poterne studiarne gli effetti sulla percezione umana. Il titolo SOMA fa riferimento al termine sanscrito che indica il succo ricavato da una pianta utilizzata per le offerte sacrificali nella religione vedica. La bevanda allucinogena porta ad uno stato mentale per chi la beve molto particolare: sembra, infatti, che si acceda ad un’illuminazione, al contatto con il sé più profondo. Non solo: pare che il succo sacro abbia anche proprietà terapeutiche de eccezionali virtù magiche (guarire le malattie, dare fecondità e felicità, migliorando le qualità percettive). SOMA, però, è anche il termine conosciuto nei paesi nordici per indicare la bevanda ricavata dal fungo amanita muscaria (lo stesso dell’installazione Prada). L’amanita pare fosse ricercatissima dai coriachi, popolazione indigena dell’estremo oriente della Russia, e che questi fossero disposti a pagare molto alto il suo prezzo: un fungo soltanto valeva una intera renna. Le renne, inoltre, si cibano del fungo e la loro urina, che aveva conservato il principio allucinogeno, veniva conservata e utilizzata per gli stessi scopi del fungo. A fronte di quanto spiegato, appare evidente la sperimentazione dell’artista, ovvero indurre il visitatore della Hamburger Bahnhof a rivivere per una notte gli stessi effetti allucinogeni della Soma.

Carsten Höller, Soma (2010). Installation view, Berlino, Hamburger Bahnhof Museum für Gegenwart
Carsten Höller, Soma (2010). Installation view, Berlino, Hamburger Bahnhof Museum für Gegenwart


Carsten Höller, Ein Haus für Schweine und Menschen (A house for pigs and people) (1997). Installation view, Kassel, documenta X. Ph. Credit Bernhard Rüffert. © documenta Archiv
Carsten Höller, Ein Haus für Schweine und Menschen (A house for pigs and people) (1997). Installation view, Kassel, documenta X. Ph. Credit Bernhard Rüffert. © documenta Archiv


Carsten Höller, Lightwall (2000). Installation view, Milano, Fondazione Prada.  Ph. Credit Attilio Maranzano. Courtesy Fondazione Prada
Carsten Höller, Lightwall (2000). Installation view, Milano, Fondazione Prada. Ph. Credit Attilio Maranzano. Courtesy Fondazione Prada

Lo studio delle allucinazioni ottiche e acustiche è stato il tema portante della serie di installazioni Lightwall, realizzate fra il 2000 e il 2007. In questa serie di installazioni, Höller ha pensato una parete costituita da nove pannelli, in cui ciascun pannello presenta una griglia di lampadine che si accendono e si spengono ad intermittenza, ad una frequenza ompresa fra i sette e i dodici herz, combinata con un segnale stereo che scatta fra due altoparlanti audio. L’effetto che ne deriva è di disorientamento per il visitatore, che fa esperienza di campi di luce e di suoni che inducono ad un’alterazione della percezione di se stessi e di cio che lo circonda, compresi gli aspetti sonori.

Per il suo varcare il confine fra scienza e arte, Carsten Höller ha suscitato l’interesse delle più grandi istituzioni d’arte contemporanea internazionali: i suoi esperimenti-installazioni sono stati e sono esposti in importanti contesti, quali il Moderna Museet di Stoccolma, la Fondazione Prada di Milano, il Massachusetts Museum of Contemporary Art, il New Museum in New York, solo per citarne alcuni. Il suo mondo Upside Down incanta e stupisce i visitatori dei musei per le domande che ininterrottamente continua a porre e che sono legate proprio al mondo della percezione di se stessi e della realtà in cui viviamo. Come sappiamo, infatti, che il mondo in cui viviamo sia quello corretto? Come possiamo conoscere con certezza dove sia il bene, dove sia il male, cosa sia giusto e cosa sia ingiusto? Lo stupore e la bellezza delle installazioni di Höller consistono proprio nell’insinuare il dubbio della realtà nel momento in cui il visitatore entra a far parte di quel sistema sincronico con l’opera d’arte di cui si parlava in apertura. Si tratta di varcare i confini del possibile, dell’universo umano e della conoscenza di quest’ultimo per instaturare il beneficio sacrosanto del dubbio, fondamentale in una società democratica, in quanto porta a ragionare sulla realtà che ci viene raccontatta dai mass media. In fondo, come diceva Socrate, il filosofo (nel mondo greco, la persona che aveva in mano la conoscenza) era colui che sapeva di non sapere.


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Francesca Della Ventura

L'autrice di questo articolo: Francesca Della Ventura

Ha studiato storia dell'arte (triennale, magistrale e scuola di specializzazione) in Italia e ha lavorato per alcuni anni come curatrice freelancer e collaboratrice presso il Dipartimento dei Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise (2012-2014). Dal 2014 risiede in Germania dove ha collaborato con diverse gallerie d'arte e istituzioni culturali tra Colonia e Düsselorf. Dallo stesso anno svolge un dottorato di ricerca in storia dell'arte contemporanea all'Università di Colonia con una tesi sul ritorno all'arte figurativa negli anni Ottanta in Germania e Italia. Nel 2018 è stata ricercatrice presso l'Universidad Autonoma di Madrid. Ha scritto sull'identità tedesca e italiana nell'arte contemporanea e nella politica, sul cinema tedesco e italiano del dopoguerra e grazie a diverse borse di studio D.A.A.D. ha presentato la sua ricerca a livello internazionale. Attualmente i suoi temi di ricerca riguardano l’arte degli anni Ottanta, in particolar modo quella femminista. Dal 2020 è entrata a far parte del gruppo di ricerca dell’Universitá di Bonn “Contemporary Asymmetrical Dependencies” con un progetto di ricerca sulla costruzione dei nuovi musei e delle condizioni di dipendenza asimmetrica dei lavoratori migranti nell’isola di Saadyat ad Abu Dhabi. Nell'ottobre 2020 ha fondato inWomen.Gallery, galleria online, sostenibile e per artiste. Dal 2017 lavora come giornalista d'arte per la rivista online e cartacea Finestre sull'Arte.



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