“Museo sul fascismo”? Manca una sufficiente distanza e c'è diffusa disinformazione


Un contributo di Gigetta Dalli Regoli per la discussione circa un “museo sul fascismo”, in aggiunta all'editoriale di Federico Giannini del 4 agosto (“perché l'Italia non può avere un museo o un centro di documentazione sul fascismo?”)

L’articolo di Federico Giannini si può leggere cliccando qua.

Caro Federico, ho la massima stima per il tuo lavoro e per la qualità della rivista che dirigi con tanto impegno, ed è perciò che aggiungo un breve commento alla questione del ‘Museo sul fascismo’ e alla opportunità dell’iniziativa, affrontata da te con argomentazioni ben articolate sul piano più generale, e nondimeno discutibili in rapporto alla realtà attuale.

Per rispondere in forma esauriente alla tua domanda (“Perché l’Italia non può avere un museo sul fascismo?”) si dovrebbe evocare una saggistica fitta e autorevole, ma ciò non è nelle mie intenzioni, e neanche nelle mie competenze. Peraltro la tua domanda merita anche una risposta che prescinda dal taglio ‘alto’ della ricerca storica, e risponda in termini elementari a un interrogativo che sembra presupporre una risposta scontata. Pur apprezzando l’interpretazione costruttiva che tu dai del progetto (che evidentemente non ti appartiene e di cui hai evidenziato l’approssimazione), credo che sia opportuno manifestare qualche dubbio.

Quando un genitore dice a un bambino vivace e intelligente che non si devono mettere le dita nel naso (avendo oggi anche un valido sostegno nel tema del contagio da COVID 19), il bambino stesso si ribella e difende la legittimità di un’azione che sembra innocente... e che nondimeno il genitore giudica rischiosa. Un’analoga situazione di disaccordo si registra in rapporto al problema qui affrontato, ovvero fra coloro che hanno ritenuto ragionevole la proposta e le numerose voci che si sono levate per respingerla. Il concetto di Museo implica infatti un richiamo di attenzione, e, congiuntamente, un’aura di conciliazione che non convengono a un fenomeno e a una serie di eventi che hanno inciso pesantemente nella nostra storia.

Appartengo alla generazione che è stata sul punto d’indossare la divisa bianco-nera delle “piccole italiane”, e quella mantella con la fibbia dorata sul petto che ai bambini di allora piaceva molto; l’ho mancata per poco, perché non avevo l’età, ma ho avuto invece esperienza diretta della guerra, degli improvvisi mutamenti di condizione, della perdita di orientamento, della difficoltà di adattamento in un mondo di cui si scopriva l’estrema fragilità.

Oggi l’attrattiva del fascismo, fondata sulla facilità del messaggio e sulla retorica del gesto risolutore, affiora ancora in misura preoccupante, quando invece dovrebbero prevalere una pacata coscienza critica degli errori compiuti e dell’inganno che si celava dietro ai grotteschi apparati. E dunque l’esigenza di rileggere il passato è del tutto legittima e va ancora sostenuta, poiché l’opinione pubblica nel suo complesso non sembra aver conquistato una sufficiente distanza, e la considerazione del ventennio risulta tuttora offuscata da una diffusa disinformazione.

È opportuno promuovere ulteriori occasioni di discussione e di confronto, pubblicare documenti inediti o poco noti, valutare le ragioni del rapido successo come del vertiginoso declino. Ma rievocare quella dolorosa esperienza ponendo al centro, fin dall’intitolazione, il fascismo, e dedicando a tutto ciò una struttura come il museo, solitamente destinato a conservare e a rafforzare l’identità di un paese... No, nella situazione attuale l’operazione non sembra fondata sulla chiarezza e su presupposti largamente condivisi, e spero che prevalga la serena convinzione del rifiuto.


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