Perché introdurre il Green Pass nei musei è una pessima idea


Con l'obbligo della certificazione verde, o green pass, per musei e monumenti, i problemi drammatici dei luoghi della cultura e del turismo, che in Italia spesso coincidono, si evidenziano e si acuiscono.

A partire dal 6 agosto, nel settore dei musei e dei monumenti la Certificazione Verde sarà richiesta per tutti i siti “a bigliettazione”: quindi non conta se il sito è all’aperto (parchi archeologici) o al chiuso (musei), ma se è delimitato e ci si entra tramite un biglietto (anche se tale biglietto è gratuito), oltre ai pochi che, pur senza bigliettazione, hanno già ora i controlli della temperatura (per esempio a Roma il Pantheon). Personalmente mi sono vaccinata appena permesso nella mia regione, e se fosse consigliato farei subito anche la terza dose; credo fermamente nella necessità del vaccino per fronteggiare questa pandemia, per tornare a lavorare e per la ripresa economica; soprattutto nel nostro settore, quello turistico, messo in ginocchio dal COVID-19. Confesso però di essere perplessa e preoccupata di fronte all’imposizione del Green Pass per i musei e i luoghi della cultura, tutti indistintamente; soprattutto di fronte alla sua realizzazione pratica e alle conseguenze.

Primo, perché musei, monumenti e parchi archeologici, dalla riapertura dopo il primo lockdown, sono tra i luoghi più sicuri del paese: fortemente contingentati e soggetti a severi controlli e restrizioni. Si può entrare solo previo controllo della temperatura e indossando la mascherina, che va mantenuta per l’intera permanenza, anche se sono all’aperto. Molti dei siti più famosi e visitati d’Italia sono all’aperto: Colosseo, Foro Romano e Palatino, Ostia Antica, Villa Adriana e Villa d’Este, Pompei (gran parte delle domus sono prive di copertura), Paestum, Agrigento e tanti altri. Lì sono vigenti le stesse norme di quelli al chiuso. Tutti gli esperti concorderanno che camminare per mezz’ora nel Foro Romano è estremamente più sicuro che fare shopping in un negozio. Sia in quelli all’aperto sia in quelli al chiuso il numero di visitatori permessi è ridicolmente basso, se confrontato non solo con i trasporti ma anche con i ristoranti e i negozi. Basti pensare ai volumi: gran parte dei musei ha soffitti alti 5, a volte 8 metri, con sale quasi completamente vuote tranne quadri appesi e a volte statue. Il risultato è che ogni visitatore ha a disposizione una quantità di metri cubi di aria infinitamente maggiore rispetto a quella di chi entra in un negozio. Chi visita un museo sta quasi sempre zitto, perché entra per guardare le opere; se sta con la propria famiglia o con amici può scambiare qualche parola e comunque tenendo la mascherina. In caso di visite guidate parla solo la guida, con il microfono posto sotto la mascherina. Quindi nei musei le occasioni di uscita e propagazione di droplets sono infinitamente basse. Chi entra in un ristorante, invece, rimane per tutto il tempo senza la mascherina, mangia, parla e ride con persone che siedono accanto e proprio di fronte; in un negozio prova i vestiti, tocca gli oggetti, chiacchiera.

Eppure, i musei e i parchi archeologici sono stati inseriti nel decreto legge alla stregua di ristoranti, sagre, piscine, sport di squadra, competizioni sportive ed eventi. Questi luoghi però non sono tutti uguali. È assurdo paragonare il rischio di infezione tra i visitatori con mascherina che si muovono nei luoghi della cultura e la gente che partecipa alla sagra della salsiccia (camminando, parlando e mangiando senza mascherina tra le bancarelle) o i ragazzi che giocano a calcio a contatto l’uno con l’altro o gli assembramenti di migliaia di persone senza mascherina durante gli eventi sportivi.

Green pass al museo
Green pass al museo

Secondo, per l’applicazione pratica della legge. I luoghi della cultura già soffrono di una drammatica carenza di personale interno, a cui dal post-pandemia si aggiunge la carenza del personale dei concessionari a causa delle perdite economiche dovute a loro volta al basso numero di visitatori. A Roma quasi tutti i musei sono di fatto quasi vuoti; quelli meno famosi e che avevano pochi visitatori già prima della pandemia non hanno mai riaperto e sono chiusi da marzo 2020, perché non possono permettersi i costi della riapertura. Al Pantheon c’è una lunga fila sotto il sole per effettuare il controllo della temperatura, mentre all’interno è praticamente vuoto; figuriamoci se il personale all’ingresso dovrà controllare anche le certificazioni verdi. In alcuni siti non sono mai state riattivate le biglietterie con il personale e si entra solo con biglietti online. Per esempio a Roma, al Mausoleo di Cecilia Metella: dal 6 agosto verrà pagata una persona per un sito come quello, dove non entra quasi nessuno ogni giorno, solo per controllare il Green Pass, oppure si chiuderà il monumento? Altri luoghi sono aperti a singhiozzo, con orari ridotti o per sezioni limitate: il Museo Nazionale Romano, che vanta la maggiore collezione di affreschi dopo il Museo Archeologico Nazionale di Napoli, da mesi è aperto solo parzialmente (ogni giorno tengono chiuso un piano) per mancanza di personale. Le direzioni già in crisi riusciranno a mettere e pagare altro personale? Oppure il nuovo controllo si tradurrà in un allungamento delle file? O in ulteriori chiusure?

Terzo, perché è assurdo che debbano esibire il Green Pass i visitatori, ma non i dipendenti (dai dirigenti al personale di custodia e di pulizia). Se la legge la si fa per rendere quel luogo protetto al massimo, le Certificazioni Verdi devono averle tutti; anzi è pericoloso che possano stare senza (non vaccinati e neanche controllati con tamponi) proprio coloro che ci lavorano l’intera giornata. In Italia però, a meno che per legge non si stabilisca l’obbligatorietà del vaccino o per tutti o per determinate categorie, il datore di lavoro/l’amministrazione non può chiedere al personale neanche se è vaccinato. Se l’obbligo di Green Pass venisse confermato per guide e accompagnatori turistici, che in quei luoghi invece entrano per lavorare in forma libero professionale, si configurerebbe addirittura come una discriminazione tra lavoratori (tra dipendenti e liberi professionisti) che è vietata sia dalle norme europee che italiane. Allora sarebbe più serio e più coerente l’obbligo vaccinale per tutti.

Quarto, perché in realtà la “Certificazione verde” prevista dal nuovo decreto legge non crea nessuna “bolla Covid-free”. Sappiamo bene che anche i vaccinati possono risultare positivi e contagiare loro stessi altre persone (la differenza è nella scarsissima probabilità di sintomi gravi, di finire in terapia intensiva e di mortalità). La norma è chiaramente fatta per spingere gli indecisi a vaccinarsi; dal giorno seguente infatti ha avuto un ottimo risultato. Si basa quindi sull’obbligo per luoghi che “attirano” gli italiani. Da questo punto di vista, però, i musei non aggiungono nulla al valore persuasivo del decreto: gran parte dei nostri connazionali purtroppo entra raramente nei musei (basta vedere i dati degli ultimi anni, ma anche quelli del 2021). La gente vuole frequentare soprattutto piscine, palestre, concerti ed eventi, non tanto i monumenti, soprattutto se a pagamento. Chi non vuole farsi il vaccino non lo farà adesso per vedere Pompei, in caso ci andrà tra uno o due anni.

Quinto, perché la norma rischia di non far entrare nei musei i pochi turisti stranieri che stavano tornando. Per i cittadini europei è facile, visto che il Green Pass è lo stesso. Registriamo però il problema di tante famiglie con adolescenti ancora non vaccinati, anche perché, a causa delle opinioni ancora diverse tra gli esperti, in alcune nazioni la vaccinazione sotto i 18 anni è sconsigliata. Per chi viene dagli USA fortunatamente il certificato vaccinale è simile al nostro e riconosciuto come valido, sebbene non abbia un QR-Code. Molte altre nazioni però hanno adottato vaccini non riconosciuti dall’AIFA e dall’EMA, quindi i loro certificati non sono validi. Per entrare in Italia, sia loro sia tutti quelli non vaccinati (EU ed extra EU), devono esibire il risultato negativo di un tampone effettuato entro 48 ore prima e devono farne un altro per ripartire. Tutti costoro però, passate le prime 48 ore e quindi scaduta la validità del tampone fatto prima della partenza, per accedere a un museo dovranno fare un altro tampone. Quanti si faranno altri tamponi per visitare Pompei o gli Uffizi? A complicare le cose poi, alcuni monumenti non statali già dicono che accetteranno solo i certificati con QR code... e tutti i visitatori con test negativi e certificati di altre nazioni senza QR code, li respingeranno? A parte la confusione per districarsi tra le regole, la conseguenza sarà una diminuzione di visite da parte di tutti gli stranieri o addirittura una cancellazione dell’intero soggiorno in Italia per rimandarlo a tempi migliori.

Sesto, anche volendo rimanere nel settore turistico, fatico a trovare una logica. Tra i luoghi potenzialmente frequentati dai turisti di tutto il mondo che potrebbero venire in una città italiana, il certificato è obbligatorio solo per musei e monumenti, per l’interno dei ristoranti e per i convegni, ma non per i pullman turistici, né per gli alberghi, né per i treni. Qual è il senso? Perché invece non si controllano (e accuratamente) le certificazioni sanitarie di tutti quelli che (ri)entrano in Italia, sia italiani che stranieri? Almeno eviteremmo il diffondersi del contagio dal primo momento. Sappiamo da centinaia di testimonianze dirette di parenti, amici e turisti che non solo adesso ma anche nel 2020 a innumerevoli viaggiatori non sono state chieste le certificazioni sanitarie né nel paese di uscita né in quello di entrata (Italia), quindi non sarebbero stati fermati nemmeno se avessero avuto l’Ebola; di chi arriva con auto non ne parliamo proprio, si sa che non ci sono i controlli. E volete chiedere il tampone solo se desiderano entrare alla Villa dei Quintili, nel mezzo della campagna romana? Magari dovreste ringraziarli se ci vanno e pagano due biglietti.

Il mondo dei beni culturali non è quello scintillante che la tv ha mostrato al G20 nell’Arena del Colosseo, con decine di persone pronte ad ogni angolo per l’assistenza; è quello dei siti archeologici in abbandono e dei musei mezzi chiusi, delle biblioteche e degli archivi senza bibliotecari e senza archivisti. Prima di imporre il Green Pass in tutti i siti d’Italia occorre verificare di avere il personale per controllarlo. C’è una sola parola d’ordine che dovrebbe guidare l’uso del Recovery Fund in questo settore: risorse umane. Bisogna investire in migliaia di nuove assunzione (ben oltre quelle dei concorsi che si stanno svolgendo ora dopo 20 anni), per coprire i ruoli a partire dai dirigenti (le cui mansioni vengono spesso coperte da persone assunte e pagate con mansioni di assistente) fino ai custodi. In conclusione, l’obbligo del Green Pass nei luoghi della cultura, sommato alla catastrofica mancanza di personale, si tradurrà in un’ulteriore contrazione del numero dei visitatori per i musei e monumenti, già in grande sofferenza e, di conseguenza, nella cancellazione di lavori per guide e accompagnatori turistici e in un ennesimo colpo al settore turistico in generale, senza benefici in termini di contenimento dei contagi. I musei e i parchi archeologici italiani sono già dallo scorso anno tra i luoghi più “COVID-free” al mondo e questo messaggio gli enti competenti avrebbero dovuto farlo girare da tempo per promuovere il nostro patrimonio. Abbiamo bisogno di strategie per rilanciare il settore, non per stroncarlo. E spero che nessuno usi questo articolo per la disputa pro-vax e no-vax, che non c’entra niente con le mie riflessioni.


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L'autrice di questo articolo: Isabella Ruggiero

Presidente AGTA - Associazione Guide Turistiche Abilitate



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