Laure Prouvost, quando l'arte diventa quantistica. Com'è la mostra delle OGR di Torino


La mostra We Felt a Star Dying alle OGR di Torino mette in scena l’immaginario quantistico di Laure Prouvost: sculture sensibili, video permeati da interferenze cosmiche e ambienti immersivi che trasformano il visitatore in parte di un sistema instabile, interconnesso e in continua metamorfosi. La recensione di Emanuela Zanon.

Il dibattito sull’intersezione tra arte e scienza ha conosciuto negli ultimi anni un’accelerazione significativa nell’esplorazione delle possibilità estetiche offerte dalle tecnologie emergenti, come dimostra, un esempio su tutti, la sezione Il corpo incompiuto curata da Alessandra Troncone, la più convincente della 18ª Quadriennale d’arte di Roma inaugurata lo scorso ottobre. La selezione, riunendo opere di artisti italiani nati tra gli anni Ottanta e Novanta intorno a un ragionamento sull’evoluzione del corpo contemporaneo, non ha dubbi nel preconizzare un futuro all’insegna dell’indistinzione tra umano e non umano e nel constatare la già attuale canonizzazione della simbiosi tra scienza e arte come epocale forma di aggiornamento del fare creativo. Al di là dell’effettiva inclusione di nuovi media tecnologici negli arsenali operativi degli artisti, i risvolti estetici, filosofici ed epistemologici delle più recenti scoperte scientifiche si sono rivelati negli ultimi anni determinanti nel plasmare visioni del mondo a vario titolo improntate ai canoni di compresenza, infinitezza e incontrollabilità suggeriti dalle ricadute, in gran parte precluse alla verifica dei nostri sensi, delle teorie da cui derivano sulla nostra percezione del mondo.

La questione più interessante che si pone in arte non è dunque tanto quella di applicare metodologie e processi elaborati in seno alla sperimentazione scientifica e tecnologica, quanto della possibilità di tradurre in esperienza sensibile ed esteticamente coerente le intuizioni fondanti di una Weltanschauung nata dalle ceneri dell’ormai sorpassato pensiero determinista. Molti dei concetti chiave di tali espressioni artistiche, come l’incidenza dell’osservatore nel modificare l’oggetto della sua attenzione, la simultaneità di più realtà parallele e l’interconnessione tra elementi in apparenza distanti, entanglement in fisica, sono riferimenti diretti alla meccanica quantistica, di cui quest’anno si celebra il primo centenario. Molti e importanti sono gli artisti che traggono linfa da queste suggestioni, come ad esempio Tomás Saraceno (San Miguel de Tucumán, 1973), le cui “sculture-ragnatela” rappresentano sistemi in fragile equilibrio associati alla teoria delle stringhe (modello fisico secondo il quale le particelle elementari non sono punti, ma piccole stringhe vibranti) oppure Yuko Mohri (Kanagawa, 1980) attualmente protagonista a Pirelli HangarBicocca di una prestigiosa mostra intitolata proprio Entanglements, a evocare come ogni esistenza appartenga a un sistema regolato da legami invisibili e interazioni a distanza. Per non parlare di Pierre Huyghe (Parigi, 1962), che lo scorso anno a Venezia, in occasione della mostra Liminal aveva trasformato gli spazi espositivi di Punta della Dogana in un tecno-ecosistema capace di evolversi sopra e sottotraccia rispetto alle percezioni dell’osservatore grazie all’interazione tra differenti forme di vita, oggetti inanimati e tecnologie. Tuttavia, anche nelle pratiche artistiche più lungimiranti, il riferimento alla fisica quantistica rischia di risolversi in una seduzione epidermica, che elude in suggestione concettuale e poetica l’indagine sulla portata epistemologica dei paradigmi scientifici. Non si sottrae a questo confronto, anzi vi si fonda, l’installazione immersiva We Felt A Star Dying di Laure Prouvost (Croix, 1978), presentata alle OGR Torino dopo il debutto berlinese presso gli spazi industriali di Kraftwerk, concepita come tentativo rigoroso e insieme visionario di materializzare in un ambiente-corpo accogliente e reattivo le interdipendenze caratterizzanti i sistemi quantistici. Il progetto nasce da un percorso di ricerca biennale che ha visto l’artista affiancare il filosofo Tobias Rees e lo scienziato Hartmut Neven, fondatore e direttore del Google Quantum AI Lab di Santa Barbara, in California, campus nato dalla collaborazione tra Google, NASA Ames Research Center e Universities Space Research Association, specializzato nello sviluppo di computer quantistici e nell’ottimizzazione dell’intelligenza artificiale.

Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti

L’artista francese, la cui pratica è da sempre votata alla costruzione di universi immaginari dove la normatività logica si sfalda in traslazioni metaforiche, sovrapposizioni narrative, epifanie poetiche e sovvertimenti gerarchici, individua il nucleo generativo di questo progetto nell’intuizione che questi computer avveniristici, a differenza delle macchine deterministiche dell’era industriale, contemplano l’imprevedibilità e l’instabilità non come difetti da correggere ma come condizioni ontologiche di funzionamento, mettendo radicalmente in crisi le nostre nozioni (e possibilità) di controllo. L’opera si dispiega nel monumentale Binario 1 delle ex Officine Grandi Riparazioni, la cui possente architettura novecentesca in mattoni enfatizza per contrasto l’eterea delicatezza dei prodotti delle manifatture contemporanee. L’allestimento trasforma questo guscio industriale in un ambiente multisensoriale dove video, suoni, sculture cinetiche e sollecitazioni olfattive si intrecciano in un suadente invito a disimparare le coordinate percettive della quotidianità e ad aprirsi a una comprensione osmotica.

Al centro dello spazio immerso nel buio si muove The Beginning, scultura cinetica dotata di cinque bracci assimilabili a tentacoli o a petali a seconda del grado di dispiegamento, fragili e imprevedibili nella loro morfologia ibrida tra crescita organica e costruzione tecnologica. A differenza delle autistiche macchine industriali del passato, questa presenza scultorea vibra con una sensibilità propria, autonoma anche rispetto alla volontà dell’artista: il suo nucleo termico registra le variazioni infinitesimali di calore dell’ambiente circostante, traducendole in sincronie di movimenti intermittenti che incarnano l’essenza dei sistemi quantistici dove tutto si dispiega secondo correlazioni multiple e inattese. Tale coreografia in apparenza aleatoria risponde in realtà con precisione a stimoli ambientali impercettibili all’essere umano, come le fluttuazioni energetiche e le interferenze dei raggi cosmici che costantemente ci attraversano senza che ne abbiamo consapevolezza, rendendo tangibile come ciò che siamo abituati a considerare realtà, nella visione dell’artista, sia solo una porzione limitata degli infiniti esistenti oltre il confine delle nostre percezioni sensoriali ordinarie. Le sculture sospese della serie Cute Bits, titolo scherzoso nell’assonanza con i qubit, unità fondamentali dell’informazione quantistica, incarnano invece il principio dell’entanglement attraverso oscillazioni ritmiche speculari che le connettono anche quando appaiono fisicamente distanti, materializzando quel misterioso fenomeno per cui particelle intrecciate mantengono correlazioni istantanee indipendentemente dalla distanza che le separa. Questi conglomerati eterogenei, sospesi e fluttuanti in uno spazio indeterminato, evocano al tempo stesso detriti stellari e frammenti di macchinari obsoleti, in un immaginifico amalgama di terra e cielo, materia organica e minerale. Avvicinandosi con la cautela che si riserverebbe a un essere ferino, si avvertono profumi metallici mescolati a voci sussurrate, in balia dei quali la comprensione intellettuale si converte in sincronizzazione corporea.

Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti
Laure Prouvost, We felt a star dying (2025), veduta degli allestimenti alle OGR di Torino. Foto: Andrea Rossetti

Su questa base si innesta il cuore dell’ambientazione, un fluire di immagini metamorfiche di una realtà che sfugge a ogni stabilità rappresentativa. Il video We Felt a Star Dying, protetto da un baldacchino traspirante di veli che si abbassano fino a sfiorarti il volto con i loro invisibili prolungamenti frangiati, si guarda da sdraiati, in una postura vulnerabile che evoca l’atto ancestrale di scrutare il cosmo. È composto da filmati catturati attraverso microscopi, droni e termocamere intersecati a immagini elaborate dal computer quantistico che si dissolvono e si ricompongono sotto l’effetto del rumore ambientale. Raggi cosmici, fluttuazioni di calore e campi magnetici influenzano l’opera nello stesso modo in cui interferiscono con il funzionamento delle macchine quantistiche reali, generando uno stato oscillante tra sincronicità e disintegrazione, tra apparizione e scomparsa, eco di un universo in perpetua palpitazione. Il concetto di rumore, che nella fisica classica viene considerato come disturbo da eliminare per garantire la precisione delle misurazioni, diventa qui principio generativo e nuova soggettività multipla in quanto agency non umana interferente con l’immagine e con il montaggio video. La colonna sonora, realizzata da KUKII, fonde canti devozionali provenienti da diverse tradizioni spirituali del mondo con cori scritti da Prouvost e Paul Buck. L’artista identifica nella musica l’esperienza sensibile più prossima alla dimensione quantistica, poiché il suono ci attraversa facendoci vibrare all’unisono con frequenze eccedenti la nostra coscienza, in un’osmosi tra comprensione razionale e immersione sensoriale. L’intelligenza artificiale utilizzata nel progetto, addestrata su dati manipolati da fenomeni quantistici, è stata qui utilizzata per replicare nel video lo stesso tipo di interferenza provocato dalle radiazioni che a tratti disturbavano il funzionamento del computer durante le sessioni di lavoro al Google Quantum AI Lab.

Il titolo della mostra, We Felt a Star Dying, allude proprio all’esplosione di una stella morente a milioni di anni luce di distanza, una radiazione cosmica per noi impercettibile, ma capace di destabilizzare i calcoli del macchinario quantistico come una tempesta. Questa costitutiva vulnerabilità diventa nelle mani dell’artista un’opportunità per riconfigurare l’immaginabile, oltre che dimostrazione tangibile dell’allacciamento di queste macchine a un articolato sistema cosmico dove ogni elemento è agganciato a più campi di forze invisibili ma operative. Insistendo su un inafferrabile crocevia tra arte, filosofia e fisica, la mostra si configura come esperienza di una grammatica visiva e sensoriale calibrata sulla percezione pre o post logica. Se, come sostiene il filosofo Tobias Rees, i processi quantistici ci affrancano dalle opposizioni binarie che hanno strutturato il pensiero occidentale degli ultimi secoli, Prouvost abbraccia questa liberazione epistemologica e la rende attraversabile, trasformando lo spazio in un incubatore di presenze dove l’alba di una nuova epoca tecnologica coincide paradossalmente con il recupero di sensibilità arcaiche. La trasfigurazione poetica operata dall’artista ricolloca l’esperienza estetica al centro della comprensione del mondo, restituendo all’arte la funzione di strumento capace di generare saperi alternativi alla razionalità funzionale senza subordinare il rigore teoretico all’edonismo percettivo.


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