Man Ray a Palazzo Reale: quando l'errore diventa linguaggio. Com'è la mostra


Un artista che ha sperimentato, che ha scoperto, che ha sbagliato, che ci ricorda dove nasce il nostro gusto per i dettagli estremi in fotografia, da dove arrivano i selfie di oggi. Man Ray: ecco com’è la mostra di Palazzo Reale a Milano. La recensione di Silvia De Felice.

La fotografia, fin dalle sue origini, ha invitato alla sperimentazione. Sovrapposizioni, sovraesposizioni, incidenti tecnici che si trasformano in nuovi codici espressivi, derivazioni impreviste del linguaggio principale. Man Ray è stato maestro assoluto di queste scoperte, a partire dalla solarizzazione che consiste nell’esporre un’immagine alla luce durante lo sviluppo, creando così contrasti insoliti e contorni marcati. La lettura odierna, talvolta forzatamente incline al politically correct, tende ad attribuire a Lee Miller, in quanto figura femminile da rivalutare, parte del merito di questa tecnica. La mostra a Palazzo Reale restituisce invece con onestà i fatti: pare che Lee Miller abbia acceso per errore la luce nella camera oscura durante lo sviluppo. Il vero merito spetta al caso, e a Man Ray quello di aver trasformato quell’errore in un linguaggio.

Lo stesso vale per le “rayografie”, che prendono il nome dal fotografo e che nacquero quando, lavorando in camera oscura, scoprì che oggetti posati direttamente sulla carta fotosensibile imprimevano le loro ombre sotto la luce, generando immagini tanto strane quanto divertenti. Stranezza e divertimento: i pilastri del surrealismo di cui Man Ray fu protagonista e che contribuì in modo determinante alla rivoluzione, ma anche alla liberazione, del linguaggio artistico.

Ma Man Ray è stato molto più di questo, come dimostra una retrospettiva vasta e articolata. Man Ray. Forme di luce, curata da Pierre-Yves Butzbach e Robert Rocca e promossa dal Comune di Milano – Cultura, è prodotta da Palazzo Reale e Silvana Editoriale. La mostra, aperta al pubblico fino all’11 gennaio 2026, presenta circa trecento opere tra fotografie vintage, disegni, litografie, oggetti e documenti.

Serviva una mostra su un artista di questo calibro? Io credo di sì. Lo diamo troppo per scontato. Serve per ricordarci dove è iniziato il nostro gusto di tagliare i selfie fino a mostrarne solo un dettaglio estremo, di giocare con i filtri di Instagram per modificare le immagini fino a renderle quasi irriconoscibili, di sovrapporre ritagli, seppur virtuali.

Nato a Philadelphia nel 1890 come Emmanuel Radnitzky, adotta il nome Man Ray – “Uomo Raggio di Luce” – quando frequenta gli ambienti intellettuali di New York. Nel 1921 si trasferisce a Parigi dove diventa protagonista della rivoluzione artistica delle avanguardie. Amico di pittori, scrittori, intellettuali, la sua vita si intreccia con gli eventi della storia e con personaggi che come lui l’hanno cambiata. Picasso, Matisse, Schönberg, Stravinskij. E poi tante donne, che hanno avuto un peso tale nella sua esistenza da meritare ciascuna uno spazio in questa esposizione. Le donne hanno un ruolo di comprimarie nella storia di quel periodo, eppure, anche dal posto secondario che viene loro riservato, intrecciano vicende, orientano ispirazioni.

Pur muovendosi in un contesto storico segnato da forti squilibri di genere, Man Ray, come evidenzia Raffaella Perna nel catalogo della mostra, si è distinto per aver riconosciuto la forza creativa e il talento delle donne. Dunque nella mostra c’è una sezione per Kiki, regina di Montparnasse, modella e amante, di cui Man Ray celebra il corpo, le forme morbide e la voglia di mostrarsi al mondo che è al centro di un’opera unica come Le Violon d’Ingres. Poi Nusch, al secolo Maria Benz, compagna di Paul Éluard, con cui costruisce opere-poesie. E poi c’è Lee Miller, allieva, assistente, musa e amante. Unica, forse, ad avere la forza di costruire una propria storia autonoma dall’uomo che l’ha introdotta, guidata, e le ha insegnato il mestiere. I ritratti di Man Ray a Lee Miller catturano l’essenza della loro relazione, delle sperimentazioni che hanno condiviso e della bellezza di una donna che come modella e fotografa è diventata per sempre parte della Storia.

Man Ray ha ritratto tutti quelli che hanno incrociato il suo percorso e ha ritratto se stesso, giocando con ruoli e personalità, oltre che con la tecnica fotografica.

In questa mostra ci sono anche le sue sperimentazioni cinematografiche, il design, la moda. Suo è uno dei ritratti più celebri di Coco Chanel, nera su fondo bianco, bianchissimo, con le sue collane di perle e la sigaretta col bocchino. E quando la mostra sembra finita c’è ancora tanto da vedere. È un percorso fatto di immagini che sono penetrate così profondamente nell’immaginario collettivo, da averci fatto dimenticare chi fosse l’autore.

La più nota delle fotografie di Man Ray, un dettaglio di un occhio che piange lacrime di perle di vetro, conosciuto appunto come Lacrime di vetro, è stato soggetto di tante interpretazioni, ma in realtà nasce come scatto pubblicitario, quello per il mascara Cosmecil di Arlette Bernard che era accompagnato dallo slogan “Piangete al cinema, piangete a teatro, ridete fino alle lacrime, senza timore per i vostri begli occhi”.

Forse il percorso espositivo avrebbe potuto beneficiare di un filo conduttore più unitario, ma probabilmente non è possibile racchiudere Man Ray nello spazio di una sola narrazione. Del resto, questa varietà rispecchia la ricchezza di esperienze e la personalità poliedrica dell’artista, che sfugge a qualsiasi inquadramento, ad ogni tentativo di trovare un fil rouge nel suo percorso che non sia quello di sperimentare, continuamente, sfidando il linguaggio codificato.

“Questa esposizione non è rivolta al grande pubblico, neppure ad un piccolo numero abbastanza generoso da accettare le idee di un individuo. Non posso pensare né sentire per molti, e sono incapace di collaborare con più di un’altra sola persona. Questa esposizione è offerta da una persona a un’unica altra persona, a te che sei qui. Tutto il resto è una semplice questione di scambio”: questo era l’avviso collocato all’ingresso della mostra di Man Ray al Musée national d’art moderne di Parigi nel 1972. Un avvertimento che resta valido anche oggi, davanti a queste forme di luce.


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Silvia De Felice

L'autrice di questo articolo: Silvia De Felice

Da venti anni si occupa di produzione di contenuti televisivi per Rai in ambito culturale e ha ideato Art Night, programma di documentari d'arte di Rai 5. L'arte e la cultura in tutte le sue forme la appassionano, ma tra le pagine di Finestre sull'Arte può confessare il suo debole per la fotografia.



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