La Cattura di Cristo di Odessa. Ecco come procede il restauro dell'opera


Nuove immagini, in anteprima, del restauro della “Cattura di Cristo” di Odessa, che procede a rilento ma sta andando avanti. Sull'opera si riapre il dibattito attributivo: è un'opera di Caravaggio o no?

Forse parlare del restauro di un quadro in questi giorni per qualcuno potrebbe essere fuori luogo e inopportuno viste le cose molto più importanti che il paese sta affrontando, ma se ci riflettiamo un attimo una similitudine con il nostro “stare in attesa di questi giorni” la possiamo decisamente ritrovare: in questo caso si tratta di una magnifica tela del Seicento, forse addirittura del Caravaggio, che nella lontana Odessa in Ucraina sta aspettando di ritornare alla propria vita. Sospesa nella sua funzione principale, quella di essere esposta e farsi ammirare da vicino dal suo pubblico, poter essere testimone della maestria e dell’ingegno del suo autore, insegnare e descrivere quel mondo che rappresentava, in qualche modo ritroviamo la stessa condizione di sospensione che stiamo sperimentando in questi giorni. Senza poter vedere se non a distanza, senza poter insegnare o imparare con le nostre scuole e università necessariamente chiuse, sospesi anche noi in tante delle nostre prerogative fondamentali di confronto, con al massimo la possibilità di surrogare tutto ciò in maniera più o meno reale attraverso l’uso di strumenti elettronici (e in tal senso in queste ore fioccano le iniziative in rete o attraverso i media di visite virtuali a siti archeologici o a intere gallerie d’arte). Ma in qualche modo questo tipo di iniziative sicuramente lodevoli potrebbero, per alcuni, acuire questa sensazione di sospensione senza fine.

Da Caravaggio, Cattura di Cristo (inizio XVII secolo; olio su tela, 134 x 172,5 cm; Odessa, Museo d'Arte Occidentale e Orientale)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo (inizio XVII secolo; olio su tela, 134 x 172,5 cm; Odessa, Museo d’Arte Occidentale e Orientale)

Ma in fondo questa premessa più o meno condivisibile è solo per descrivere come un restauro di un’opera d’arte sia questo. È sospendere quella tela o quell’affresco da tutte le sue funzioni, e ciò avviene perché tutto è programmato, reso necessario dal passare degli anni (è come fare il nostro tagliando della vettura, o come se per qualche acciacco o per l’età che naturalmente avanza inesorabile avessimo bisogno di un check o di qualche cura), non è una cosa drammatica, è soltanto “da fare”, al massimo da sopportare. Ma è drammatico quando lo dobbiamo fare perché un qualcosa che non controlliamo ci costringe a farlo, e in questo caso qualsiasi intervento diventa lungo, faticoso e complicato.

Il restauro di questa tela, la Cattura di Cristo del Museo d’arte Orientale e Occidentale di Odessa è proprio uno di questi casi: difficile, a lungo atteso e anche decisamente complesso. Non a caso ci ritroviamo a parlarne a distanza di soltanto quasi otto mesi e anche stavolta non vi potrò dare la notizia che il lavoro iniziato nell’estate del 2018 è terminato.

Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (luglio 2019)

La storia di questo quadro, certamente come tante altre opere d’arte in questi secoli, non è stata semplice, e ancora oggi non se ne conoscono molte parti, certo è che per i periodi che abbiamo potuto documentare in questi anni quelli vissuti in questo secolo e in quello scorso sono decisamente sfortunati.

Dipinto in Italia nel periodo barocco nei primi anni del XVII secolo si è ritrovato a Parigi nella sontuosa dimora di uno dei più interessanti collezionisti di tutti i tempi, Alexander Petrovich Basilewsky, proveniente da una delle tante magnifiche collezioni nobiliari romane: i Mattei forse, o i Colonna-Barberini. Catapultato, presumibilmente alla metà dell’Ottocento, come tante opere d’arte italiane, a Parigi, che sempre di più in quegli anni era diventata il crocevia delle grandi case d’asta dove ogni giorno si battevano in vendita capolavori provenienti da tutta Europa. Presumibilmente quei circa vent’anni nella multicolore città sulla Senna furono i migliori anni di questa splendida opera, esposta nel grande palazzo detto Hotel Basilewsky, in Avenue de Trocadero. Ma già nel 1868 il grande collezionista stanco dei quadri, e nella necessità di avere denaro da spendere, tanto allora era attirato in maniera quasi mistica dall’arte medievale cristiana, tentò di liberarsi di tutta la sua quadreria. La Cattura di Cristo, anzi meglio Le Baiser de Judas (questo il suo titolo francese), non fu venduta o forse non si volle vendere: infatti solo due anni dopo, nel 1870, è uno dei cinque quadri che vengono donati all’Accademia delle Belle Arti di San Pietroburgo dal fratello del futuro zar Alessandro III, registrato come dono al gran principe Vladimir Alexandrovich proprio dal nostro Alexander Basilewsky. Dono importante, di grande valore, che però nel giro di pochi anni ritorna con grandi interessi al donatore, visto che la sua imponente collezione d’arte medievale-cristiana viene acquistata proprio dalla famiglia reale dei Romanov per l’astronomica cifra di 5 milioni e 448 mila di franchi.

Il quadro sembrava aver trovato una sua collocazione ideale: l’Accademia delle Belle Arti era un luogo prestigioso, il fratello dello zar, il principe Vladimir, ne era il presidente, della collezione conosciamo il catalogo del 1874 (il primo che cita Le Baiser de Judas) che contava ben 450 opere di artisti stranieri; l’Accademia era il luogo dove venivano formati i giovani artisti russi alla conoscenza dell’arte occidentale prima che i migliori di loro fossero inviati a compiere il Grand Tour.

Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)

Ma evidentemente Le Baiser de Judas non doveva rimanere a lungo a San Pietroburgo, già nei primi anni del Novecento l’opera è trasferita in un’altra città, Odessa. L’altra città nuova creata dai Romanov, dalla zarina Caterina II, ma con ben altre vocazioni rispetto alla imperiale San Pietroburgo. Odessa era il grande sbocco al mare dell’impero: il Mar Nero. Una città commerciale, una prestigiosa porta verso l’Occidente, costruita soprattutto da architetti italiani come la capitale, ma con uno spirito diverso, più multietnica ed aperta. La città era per i molti che attraccavano ai suoi moli il biglietto da visita per una Russia che continuava ad essere un paese arretrato, ma con tanta voglia di “apparire”: e cosa di meglio poteva esserci se non un grande museo nel quale erano esposte grandi opere provenienti da tutto il mondo, e perciò quel quadro allora attribuito al Caravaggio, insieme a tante altre pregevoli opere d’arte presenti sul territorio russo, lì viene destinato.

La storia è ben conosciuta: solo qualche anno dopo, uno dei primi focolai della rivoluzione si sviluppò proprio a Odessa, poi la prima guerra mondiale, la rivoluzione bolscevica e poi ancora la seconda guerra mondiale e l’invasione romena-nazista della città, e la tela scompare. Solo nel 1945 dopo quattordici mesi dalla liberazione della città la tela, insieme ad altre quattordici opere, viene riconsegnata dalla Chiesa Cattolica al Soviet della Regione. Il suo primo restauro a Mosca durato ben quattro anni (1951-1955), poi un altro nel 1974 per correggere alcuni problemi non risolti nel primo intervento, e poi nel 2006 un brevissimo intervento conservativo al Museo, e poi nel luglio 2008 il furto.

Il restauro del dipinto è iniziato soltanto nell’estate del 2018 quando il Tribunale, che lo considerava prova del delitto, dopo dieci anni permette di mettere mano all’opera di ripristino e come già documentato nell’articolo dell’agosto del 2019 le condizioni del quadro erano decisamente pessime. Fino a giugno del 2019, si è lavorato per unire e suturare le parti della tela dipinta rimaste attaccate al telaio con quelle della tela portata via. Un’operazione complessa e delicata, che gli specialisti ucraini hanno deciso di eseguire collocando le parti su una superficie uniforme di carta Kraft utilizzando colla naturale di storione. I quattro lati sono stati rinforzati con strisce di materiale sintetico (copolimero poliammide), un’operazione ben riuscita che ha escluso la necessità di effettuare una nuova reintelatura di tutta l’opera, e soprattutto la sicurezza nell’operazione di inserimento della tela sul telaio. Al momento della mia prima visita all’Istituto di Restauro di Kiev insieme a Giulia Silvia Ghia (visita favorita dall’autorevole intervento della professoressa Francesca Cappelletti e del direttore dell’Istituto Superiore per la Conservazione e il Restauro Luigi Ficacci), presente anche l’ambasciatore italiano, abbiamo potuto constatare lo stato dei lavori eseguiti che al momento non sembravano trovare particolari difficoltà.

Nel mese di febbraio di quest’anno mi è stato permesso dalla direttrice dell’Istituto di Restauro di Kiev, Svitlana Stryelnikova, di poter riesaminare l’opera a distanza di quasi otto mesi. L’ho trovata stabilizzata: i restauratori ucraini hanno fatto la scelta di applicare nelle zone abrase “stucco di colore bianco” che ha ricomposto le parti dove la superficie pittorica si era completamente persa. Una serie di prove di pulitura sono state svolte per verificare la rimozione in sicurezza (testando solventi diversi) dell’elevata quantità d’interventi di restauro precedenti che in alcuni casi non hanno rispettato i colori originari del dipinto. Ovviamente tutto ciò dovrà essere preceduto dall’asportazione delle vernici superficiali applicate nel tempo, che a detta degli esperti del laboratorio in alcune parti sono decisamente abbondanti e ossidate: questa operazione è fondamentale per rendere visibile la vera cromia dell’opera.

Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)


Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)
Da Caravaggio, Cattura di Cristo, dettaglio del dipinto durante il restauro (febbraio 2020)

Una visita complessivamente soddisfacente, che può registrare alcuni passi in avanti seppur ancora limitati, soprattutto per chi come me e come tanti, primi fra tutti i colleghi del Museo di Odessa, freme per rivedere il quadro di nuovo nel suo splendore. Certo il lavoro da fare è ancora lungo e soprattutto molto delicato, perché tra poco arriverà il momento della ricostruzione pittorica delle parti mancanti, non dimenticando che questa tela potrebbe essere attribuita al Caravaggio. Per gli esperti dell’Istituto per il Restauro di Kiev sarebbe una prima volta in assoluto su una tela di tale portata, visto che tutti gli interventi di restauro effettuati in questi anni sulla Cattura di Cristo, quello del 1974 e quello del 1951-55 furono effettuati al Centro di Restauro Grabar di Mosca.

Mi auguro e, anzi, sono sicura che questa operazione raggiungerà il suo completamento, forse con una previsione temporale più lunga di quanto ci si potesse aspettare, ma la passione e la tenacia degli specialisti ucraini sarà premiata. Anche perché il completamento del restauro è solo l’inizio di un percorso che vede ancora un grosso nodo da sciogliere, quello della definizione da parte del Tribunale di Kiev dello status di questa opera. Come già citato l’opera è sotto la giurisdizione del giudice competente del processo, il restauro è stato effettuato solo con una deroga temporanea a tale status giuridico.

Se tutti questi sforzi di ricerca, di sensibilizzazione internazionale alla fine del restauro non portassero alla “liberazione dal vincolo giudiziario”, questa splendida opera dopo un furto, dieci anni senza interventi, mesi e mesi di lavori di restauro e anni di dubbi sulla sua vera attribuzione sarà ancora una volta e chissà per quanto tempo di nuovo “sospesa”.

Spero perciò che la comunità scientifica internazionale si sensibilizzi sempre di più attraverso un supporto tecnico-scientifico ad hoc in questo delicato momento del restauro e poi ancora per permettere che la Cattura di Cristo torni a vivere, e per vivere un’opera ha solo un modo: essere esposta al proprio pubblico.


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L'autrice di questo articolo: Nataliia Chechykova

Storica dell'arte, Consulente per l’Arte Italiana del Museo di Odessa.



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