Dai traditori dell'articolo 9 all'Isis: è attacco all'arte. L'ultimo libro di Simona Maggiorelli


Una recensione di 'Attacco all'arte. La bellezza negata', l'ultimo libro di Simona Maggiorelli, giornalista d'arte e direttrice responsabile di Left.

Nell’autunno del 2015 Antonio Natali, che s’apprestava a cedere la direzione degli Uffizi ad Eike Schmidt, concesse una delle sue ultime interviste da direttore a una trasmissione della rete La 7: interrogato sul perché si distrugga l’arte (il riferimento era all’attentato mafioso dei Georgofili, che si portò via le vite di cinque persone, tra cui due bambine, una di nove anni e l’altra di cinquanta giorni, e seminò distruzione tra le opere degli Uffizi), Natali rispose affermando che, quando si cerca di colpire il patrimonio artistico, si mira ad annientare ciò che esso rappresenta in termini di cultura, di sentimenti, di affetti. Si cerca, in sostanza, di negare il valore sociale dell’arte, del patrimonio culturale, e di cancellare l’identità storica d’una comunità: obiettivi che da sempre hanno caratterizzato l’azione d’ogni integralismo, laddove per “integralismo” non s’intende soltanto quello più rozzamente barbaro di chi, come i fondamentalisti dell’Isis, demolisce templi e riduce a brandelli sculture con tritolo e picconi, ma anche quello più sottile e raffinato di chi indebolisce la tutela a colpi di decreti-legge, deregolamentazioni selvagge, tagli scriteriati a fondi e risorse.

Palmira (Siria), il tempio di Baal-Shamin prima che venisse completamente distrutto dall'Isis
Palmira (Siria), il tempio di Baal-Shamin prima che venisse completamente distrutto dall’Isis. Credit

Par quasi che esista un filo conduttore che scorre carsicamente tra i secoli e che, partendo dallo scempio dei templi pagani messo in atto dai cristiani del IV secolo e narrato dal sofista Libano di Antiochia, arriva fino ai giorni nostri, con i terroristi in turbante che radono al suolo i monumenti di Palmira, e i traditori in giacca e cravatta dell’articolo 9 della Costituzione che considerano il patrimonio culturale alla stregua d’un giacimento petrolifero da sfruttare senza requie. Da una parte la ferocia mirata e precisa che dà spettacolo abbattendo grandi monumenti e che però rivende subdolamente sul mercato nero i reperti più piccoli, che passano inosservati, e dall’altra la sistematica ignoranza di chi vorrebbe il patrimonio culturale totalmente asservito alle logiche del commercio. Sono situazioni distanti, estreme, diversissime, che non devono essere confuse, ma che sono tuttavia accomunate da un effetto che, nel primo caso, si configura come una volontà deliberata e, nel secondo, costituisce una logica conseguenza: si tratta di quella persecuzione nei confronti dell’arte che rappresenta l’oggetto principale della riflessione di Simona Maggiorelli nel suo ultimo libro, Attacco all’arte. La bellezza negata (Edizioni Asino d’Oro, 2017).

Lo storico dell’arte sudafricano David Freedberg ha scritto diverse pagine sull’iconoclastia, sulla censura e sulla distruzione delle immagini. In uno dei suoi saggi più recenti, uscito lo scorso anno, ha affermato che la storia delle immagini è, verosimilmente, anche la storia della loro capacità di suscitare sentimenti contrastanti come l’amore e la paura. Gli attacchi all’arte nascono, in sostanza, dalla paura nei confronti del potere che le immagini recano con sé: è quanto apprendiamo anche da ciò che succede attorno a noi. “Attraverso la demolizione del patrimonio culturale”, scrive Simona Maggiorelli, “i fondamentalisti mirano a raggiungere l’obiettivo perverso di distruggere la mente dei più giovani. Accanirsi contro opere d’arte è un mezzo per terrorizzare e procurare lesioni psichiche. Per colpire la giovane società araba più laica e aperta e al contempo quella occidentale riducono in macerie opere e monumenti che evocano la memoria di civiltà preislamiche in cui le persone erano libere dall’oppressione di un dio unico che pretende di essere la verità e obbliga a sterminare gli infedeli”. La scrittrice, competente e appassionata giornalista d’arte e cultura, da poco diventata direttrice responsabile del periodico Left, non si limita a descrivere quanto accade oggi nel mondo: merito del libro è quello di provare a sondare le scaturigini degli attacchi all’arte, di comprendere perché sia così diffuso un certo accanimento contro le immagini, come si colloca storicamente l’odierna distruzione. Una distruzione che spesso ha radici che affondano nella storia, secoli addietro: buona parte del volume cerca di ricostruire le origini della violenza, anche con l’aiuto di esperti, come la bizantinista Silvia Ronchey e la filosofa Maria Bettetini.

Simona Maggiorelli, Attacco all'arte. La bellezza negata
Simona Maggiorelli, Attacco all’arte. La bellezza negata (L’Asino d’oro edizioni, 2017)

Il viaggio parte da lontano, almeno dal fatidico 313 dopo Cristo, quando l’imperatore Costantino si convertì al cristianesimo, e i cristiani cominciarono la loro ascesa verso il potere, trasformandosi da perseguitati a persecutori e scagliandosi con inaudita brutalità contro i simboli delle altre religioni, distruggendo opere pregevoli, demolendo edificî sacri, cercando di cancellare ogni testimonianza della religiosità pagana. L’avversità nei confronti delle immagini, memore della condanna ebraica e della diffidenza platonica, giunse a interessare la stessa arte cristiana, e l’iconoclastia, nell’VIII secolo, arrivò ad assumere proporzioni gigantesche: tutto l’impero d’Oriente fu in balia della furia iconoclasta che, oltre ad abbattersi sulle immagini, colpiva anche chi era sospettato di adorare o di possedere raffigurazioni di Gesù e della Madonna. Le devastazioni si placarono solo nell’843, quando, dopo decennî di discussioni sulle immagini, fu stabilita la linea ortodossa, che prevedeva “icone fisse, immagini ieratiche disincarnate e astratte” e che costituì la base per la nascita dell’arte bizantina. Non mancò tuttavia chi, nei secoli successivi, continuò a scagliarsi contro il culto delle immagini (Simona Maggiorelli elenca gli esempî di Clemente di Alessandria, di sant’Agostino, di Bernardo di Chiaravalle, e dei padri della chiesa che nel Medioevo, quando s’era ormai diffusa l’idea dell’arte come "Bibbia dei poveri", continuavano a suggerire una sorta di controllo sulla diffusione delle immagini). Atteggiamenti simili interessarono (e continuano a interessare) anche il mondo islamico che, pur avendo sempre dimostrato tolleranza nei confronti dell’arte figurativa (“larga parte della tradizione islamica è disseminata di rappresentazioni della natura, soprattutto alberi e fiori, come simbolo della bellezza del creato”, e non mancano neppure rappresentazioni della figura umana, nudi inclusi), ha spesso dovuto fare i conti con interpretazioni intransigenti ed estremiste dei testi sacri. Ma si tratta di un problema comune a tutte le religioni monoteiste.

Dall’iconoclastia in nome di Dio al degrado dell’eredità culturale in nome dell’austerità o in nome della fede nella dottrina dei giacimenti culturali, il passo è breve. E per Simona Maggiorelli, nell’Italia dell’ultimo ventennio almeno s’è operato un attacco chirurgico nei confronti dell’arte: “Un’aggressione silenziosa, non attuata con trapani e dinamite alla maniera dell’Isis, ma lucida e mirata. E quel che è più incredibile è che i ‘mandanti’ sono dentro le forze di governo. Assistiamo così a uno Stato che si suicida, che cancella la propria storia, distruggendo la cultura della tutela che è stata inventata in Italia, molto prima che nascesse lo Stato unitario. E poi è stata presa a modello in molte parti del mondo”. Ripercorrendo la gloriosa storia della tutela in Italia e dei suoi grandi protagonisti (Raffaello Sanzio, Antonio Canova, Rodolfo Siviero e altri), il libro tocca tutti i temi più pressanti, ai quali largo spazio s’è dato e si continua a dare anche su questa rivista (oltre che su un libro interamente dedicato al tema). Dalla crociata di Matteo Renzi contro le soprintendenze, dal silenzio-assenso introdotto dalla legge Madia, passando per i tagli inferti al Ministero dei Beni Culturali, per l’odioso decreto Sblocca-Italia (definito a suo tempo come “il più grave attacco al sistema della tutela del paesaggio e del patrimonio culturale mai perpetrato da un governo della Repubblica”) e arrivando sino al sacco dei Girolamini, quella che Simona Maggiorelli traccia è una storia dell’attacco alla tutela, un compendio delle più nefaste azioni contro il patrimonio culturale messe in atto da governi d’ogni colore, un’amara rievocazione di molte battaglie perse.

E neppure nel minuzioso esame che l’autrice opera sui fatti più recenti viene meno l’intento di risalire alle "radici dello scempio“, come da titolo di una delle sezioni più significative del libro. L’involuzione, secondo Simona Maggiorelli, ebbe inizio nel momento in cui la locuzione ”beni culturali“, forgiata negli anni Settanta per dare un nome il più possibile neutro al dicastero che avrebbe dovuto occuparsi della tutela, ”cominciò a indicare solo il valore economico del patrimonio". Viene individuata anche una data che avrebbe sancito l’inizio della decadenza: il 1991, anno in cui il governo Andreotti, su idea del ministro del Tesoro, Guido Carli, cercò di istituire una Immobiliare Italia s.p.a. che avrebbe dovuto cedere buona parte del patrimonio immobiliare pubblico. Carli non ebbe fortuna, ma ci riuscì una decina d’anni dopo Giulio Tremonti con la sua Patrimonio s.p.a. (rivelatasi poi un’idea fallimentare, dacché lo Stato non riuscì a incassare i proventi che ci s’attendeva): da lì in avanti è stato un susseguirsi di tagli (continuiamo a subire tuttora gli effetti della mannaia che discese con violenza sul bilancio del Ministero sotto la guida di Sandro Bondi, il quale non oppose la benché minima resistenza), esternalizzazioni, privatizzazioni, mala gestione, senza che a nulla valsero gli appelli delle figure preminenti della vita intellettuale italiana.

L’analisi di Simona Maggiorelli, infine, non risparmia neanche l’arte contemporanea. M’è capitato di leggere, qualche giorno fa, un pungente e pregno articolo di Tiziano Scarpa su Artribune a proposito della Biennale di Venezia: lo scrittore discuteva di come il contenuto della riflessione dell’artista si sia spostato dall’opera al suo processo di realizzazione o di ideazione. Scarpa passava poi a domandarsi se non occorra, a un certo punto, riconoscere che il vero valore risiede in ciò che segue la fase preparatoria dell’opera, nel risultato di questo processo di trasformazione. Il punto è che, secondo lo scrittore, l’arte avrebbe raggiunto un livello di sfiducia nell’affermazione (affermazione che spesso viene ridotta a mero mezzo adoperato, quando non sfruttato, per raggiungere un determinato effetto, sia esso un successo, una vendita, l’imposizione d’una politica o d’un prodotto) tale da costringere gli artisti a includere nell’opera stessa la fase condizionale, a guisa di garanzia di bontà o di sincerità, onde riacquistare credito agli occhi del pubblico. Il fatto è che molti artisti, specie quelli di maggior successo, sono stati inglobati da un “sistema economico-finanziario che li divora e li metabolizza”, e che avrebbe minato l’autorevolezza della loro posizione enunciativa. Ecco: la disamina di Simona Maggiorelli si concentra proprio sulle origini di questa perdita di credibilità, su quel sistema economico-finanziario che sarebbe uno dei maggiori responsabili dell’attacco all’arte contemporanea. “Per gli artifici della finanziarizzazione dell’arte contemporanea conta la spettacolarizzazione, il gigantismo, la dismisura, in spregio alla crisi”. E questo anche a scapito dell’effetto finale: l’elevazione dell’opera d’arte a status symbol avrebbe comportato la distruzione d’ogni significato, unita a un impoverimento culturale diffuso. Certo: si potrebbe forse rimproverare all’autrice un trasmodato pessimismo (ne è probabilmente indice anche l’eccesso di credito accordato all’ormai famoso articolo di Vargas Llosa uscito la scorsa estate su El País: uno dei pezzi più qualunquisti che si siano letti sull’arte contemporanea in tempi recenti), ma l’analisi coglie bene il segno. E, di conseguenza, potrebbe generare sconforto nel lettore.

Esistono però vie d’uscita: ma da dove può venire la salvezza? Considerando un lato eminentemente “pratico”, e pensando soprattutto a quanto la tutela, la conservazione (e financo la valorizzazione) stanno subendo nel nostro paese, i primi spunti per la ripartenza potrebbero giungere dalla società civile, sostiene la giornalista: “alcuni episodi accaduti anche all’interno delle istituzioni mostrano che, se ci fosse davvero la volontà politica, si potrebbe produrre un concreto cambiamento”. E gli episodî che possono confortare sono diversi: emblematici, in particolare, l’acquisizione della Reggia di Carditello e il coraggio dei bibliotecari dei Girolamini. È tenendo a mente esempî simili che occorre ripartire. Su un piano più “teorico”, per uscire dalle maglie di un’arte contemporanea che soffoca il significato perdendone in credibilità, giunge in soccorso il capitolo conclusivo, un’intervista al compianto psichiatra Massimo Fagioli. L’invito, condensando al massimo, è quello di risalire ai primordî della storia dell’arte, quando un “genio” (il termine è di Fagioli), “maschio o femmina” che fosse, ebbe l’idea di tracciare segni sulla parete d’una caverna, sancendo la nascita della prima forma d’arte nota: occorrerà poi ripercorrere i secoli che da quel momento ci separano, al fine di ricercare la “pulsione”, la “vitalità”, il “movimento” che dovrebbero caratterizzare il fare artistico, troppo spesso (specialmente negli ultimi tempi) soggiogato, tornando a citare l’autrice di Attacco all’arte, alla “dimensione del calcolabile”. Il discorso critico, in sostanza, dovrà essere in grado di far tornare l’espressione ad assumere un ruolo centrale. Tuttavia, quale sia la strada, ci si troverà senz’altro d’accordo sul fatto che sia oltremodo pressante la necessità di riflettere su una nuova critica d’arte che, consapevole del proprio ruolo civile, riesca a ricucire lo strappo tra arte (contemporanea) e senso di cittadinanza.

Simona Maggiorelli
Attacco all’arte. La bellezza negata
L’Asino d’oro Edizioni, 2017
175 pagine
15,30 euro


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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