Importante scoperta a Pompei: ritrovata una stanza degli schiavi


Importante scoperta a Pompei, nello scavo di Civita Giuliana: è stata ritrovata infatti una stanza degli schiavi, simile a quella rinvenuta nel 2021, ma con arredi diversi, che può quindi fornirci preziose informazioni (che le fonti scritte non riportano) sulla vita degli schiavi.

A Pompei, nella villa romana di Civita Giuliana (circa 600 metri fuori dalle mura della città), è stato ricostruito l’arredo di una stanza assegnata agli schiavi. Gli arredi sono stati ricostruiti con la tecnica dei calchi, esistente solo a Pompei e dintorni: materiali quali mobili e tessuti, nonché corpi di vittime dell’eruzione del 79 d.C., sono stati coperti dalla nube piroclastica, divenuta poi terreno solido mentre la materia organica decomposta ha lasciato un vuoto nel terreno: un’impronta che, riempita di gesso, ha rivelato la sua forma originaria. Con questo metodo è stato dunque possibile ricostruire gli arredi della stanza in questione. Il metodo per ottenere calchi in gesso da oggetti organici decomposti che lasciano un vuoto nella cenere fu applicato sistematicamente per la prima volta da Giuseppe Fiorelli nel 1863, anche se sono attestati tentativi precedenti, e i calchi di mobili sono tra i primi esempi

La nuova stanza, denominata “ambiente “A”, non è una scoperta del tutto nuova, dal momento che era già stato ritrovato un ambiente simile, nonostante questo nuovo ambiente si presenti diverso da quella già noto, come ambiente “C”, ricostruito a novembre 2021, in cui erano posizionate tre brande e che fungeva al tempo stesso da ripostiglio. Quello che è emerso adesso fa pensare a una precisa gerarchia all’interno della servitù. Le stanze degli schiavi scavate dal 2021 hanno fornito infatti una visione unica delle condizioni di vita delle persone che nell’antichità finivano in schiavitù. Di conseguenza, intravediamo una qualità “virtualmente fotografica” (così il direttore del Parco Archeologico di Pompei, Gabriel Zuchtriegel, nell’articolo scientifico pubblicato sull’e-journal del Parco) della vita di un gruppo di persone che raramente compaiono nelle fonti scritte, e se lo fanno è quasi esclusivamente da una prospettiva elitaria.

Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A

La stanza “c” è stata scavata nell’autunno 2021 ed è diventata nota come la “stanza degli schiavi” di Civita Giuliana. Come gli altri ambienti della servitù finora portati alla luce, misurava circa 16 metri quadrati. “Entrando dal portico che circonda il cortile, dove era stata parcheggiata la carrozza”, prosegue Zuchtriegel, “un visitatore si sarebbe affacciato alla parete di fondo dell’edificio, da dove un’unica finestra, piuttosto piccola e nella parte alta del muro, illuminava la stanza. Le pareti in opus reticulatum, databili alla fine del I secolo a.C., non erano intonacate, ad eccezione di una macchia bianca sotto la finestra. Al centro, un chiodo era stato conficcato nel muro. La lampada a olio che pendeva da esso è stata trovata rotta sul pavimento sottostante. La funzione di questo pezzo di intonaco doveva dunque essere quella di riflettere e amplificare la scarsa luce della lampada”. Poiché l’ambiente “c” è stato riempito fino all’altezza di circa 1 m dal piano di calpestio con lo strato piroclastico che aveva avvolto tutto come una calda nube di cenere per poi solidificarsi, conservando così le impronte di materiali organici da tempo decomposti, gran parte dei mobili lignei e i tessuti potrebbero essere ricostruiti, come detto sopra, come calchi in gesso.

Anche nel caso della nuova stanza “A” non sono state ritrovate tracce di intonaco a coprire le pareti in opus reticulatum: come è stato a lungo osservato, gli alloggi della servitù a Pompei sono spesso riconoscibili per l’assenza di decorazioni parietali. E anche dentro la stanza “A” sono stati ritrovati dei giacigli. La trama larga della rete in corda del letto è perfettamente osservabile dal calco in gesso così come la coperta lasciata disordinata sul letto. Come con gli altri letti di questo tipo, non sembra che ci fosse un materasso su questo letto. I resti (legno carbonizzato) di una grande mensola a forma di L sono stati scoperti sopra il letto sulla parete ovest. Un grande cesto di vimini trovato al centro della stanza nella cinerite doveva essere stato un tempo sullo scaffale, ma è stato scagliato via dall’ondata piroclastica. Al suo interno erano contenuti due cesti più piccoli, tutti conservati come calchi in gesso. Sullo scaffale che circondava la stanza sono stati trovati tazze, piatti e vari altri pezzi di stoviglie.

Lungo la parete nord è venuto alla luce un letto di tipo diverso. È noto come “letto a spalliera” ed è un giaciglio più comodo rispetto al grabatus, dal greco κράββατος, un letto molto meno confortevole, privo di materasso. Un termine antico per definire il letto a spalliera era lectus cubicularis, perché era usato per riposare nel cubiculum (camera da letto), a differenza del lectus trilinaris su cui si adagiavano i convitati durante i pasti e le feste. Almeno due delle fiancate lignee caratteristiche di questo tipo di letto sono identificabili grazie alla macchia lasciata sul frassino dai contorni dipinti di rosso dei rettangoli che un tempo decoravano le pannellature. Il letto è stato gravemente danneggiato dai tunnel scavati nell’antica villa dai tombaroli. Tuttavia, le dimensioni possono essere ricostruite in modo preciso: il materasso era a circa 0,30 m dal piano di calpestio, mentre i pannelli raggiungevano un’altezza di almeno 0,95 m dal piano di calpestio. Il letto era lungo circa 1,80 me largo 1 m. Nell’angolo nord-est della stanza si trova un’anfora verticale di tipo Dressel 25 incuneata tra la parete e il letto. Lungo la parete est sotto la finestra, che si trova a 2,20 m sopra il livello del pavimento, si trovano due piccoli armadi uno accanto all’altro. Quello più settentrionale misura 0,83 m di altezza, 0,95 m di lunghezza, 0,56 m di profondità. Conteneva alcuni oggetti metallici tra cui una lama di coltello e una piccola falce attualmente in fase di analisi e conservazione. L’armadio più piccolo è alto 1,10 m, lungo 0,68 m e profondo 0,33 m. Entrambi gli armadi, sebbene danneggiati dai cunicoli di saccheggio, mostrano di essere stati realizzati con assi di legno lunghe e strette come mostra il calco in gesso. Di fronte a loro si trova una panca molto semplice con quattro gambe, alta circa 0,36 m, lunga 1,60 me larga 0,24 m. Nell’angolo sud-est ci sono due anfore Dressel 2-4 di cui una è stata trovata tappata con un ciottolo. Un mucchio di pali di legno è appoggiato al muro; accanto ad esse, un’altra anfora, capovolta, attende di essere completamente scavata. Davanti alle anfore nell’angolo sud-est si trovano i vari calchi in gesso di elementi lignei non immediatamente riconoscibili e forse caduti dal ripiano sovrastante. Tra questi si riconosce una lama rettangolare in ferro di una zappa.

Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A

Cosa ci dicono queste stanze, così ben conservate, sugli alloggi degli schiavi che le prove scritte e archeologiche disponibili sulla vita materiale degli schiavi romani non hanno ancora rivelato? “Saremo in grado di rispondere pienamente a questa domanda solo dopo il completamento dello scavo”, afferma Zuchtriegel. “Tuttavia, possiamo già trarre alcune conclusioni preliminari dai dati finora emersi. Da un lato, i quartieri degli schiavi della villa di Civita Giuliana non danno l’impressione di un edificio carcerario che impediva la fuga degli schiavi. Per quanto ne sappiamo, nessuna grata di ferro bloccava le finestre, certamente piccole. Né le porte delle singole stanze né il passaggio che conduceva dalla stalla verso l’esterno del complesso sembrano essere stati chiusi con serrature: non sono state trovate tracce in questo senso. Allo stesso tempo, è perfettamente riconoscibile la piccola serratura della cassetta rinvenuta al centro dell’ambiente ‘C’, suggerendo quindi che le serrature in ferro delle porte, se presenti, si sarebbero conservate. Questo, d’altro canto, potrebbe aiutare a spiegare la situazione all’interno del complesso della villa. Poiché non sembrano esistere barriere fisiche insormontabili per impedire la fuga dei lavoratori schiavi che vivevano nella villa, dovevano esistere altri meccanismi di controllo. Far vivere e dormire gli schiavi in gruppi di due o tre in una stanza poteva forse essere adatto a questo scopo. La comunità degli schiavi, infatti, non solo favoriva la creazione di amicizie e famiglie (sebbene gli schiavi non potessero formalmente sposarsi), ma permetteva anche di instaurare forme di mutuo controllo. Il lectus cubicularis nella stanza ‘A’ potrebbe essere appartenuto a un servitore in una posizione alquanto elevata, forse una specie di sorvegliante. A tali schiavi spesso venivano concessi privilegi al fine di renderli alleati affidabili del padrone, ad esempio consentendo loro di vivere con una schiava in un matrimonio di fatto. La promessa di manomissione, divenuta abbastanza comune nel primo periodo imperiale, contribuì anche a spronare gli schiavi, soprattutto quelli più anziani, a schierarsi con il padrone nel compito di controllare la comunità degli schiavi piuttosto che con gli schiavi fuggiaschi o addirittura ad assumersi il rischio di fuggire essi stessi, soprattutto con prospettive incerte, dato che la sopravvivenza al di fuori della sfera della villa potrebbe rivelarsi ancora più atroce e dure punizioni per le fughe. Oltre a riflettere possibili vincoli di parentela tra gli schiavi, le camere doppie e triple potevano essere conformi alla necessità di stabilire un costante controllo reciproco tra i lavoratori schiavizzati, anche nelle ore notturne. Il permettere ai capomastri e agli altri schiavi di formare famiglie è infatti presentato da Varrone (De re rustica, 1.17.5) non solo come un mezzo per premiarli e per aumentare la forza lavoro (i figli nati da donne schiave erano automaticamente schiavi essi stessi), ma anche esplicitamente come un modo per renderli “più attaccati al patrimonio” . Quindi, per avere un quadro d’insieme, dovremmo aggiungere un’atmosfera di sospetto all’immagine di semplicità e intimità offerta dalle stanze degli alloggi degli schiavi della villa. C’era certamente la solidarietà, forse anche l’amicizia e l’amore (legami che spesso duravano dopo la liberazione dello schiavo), ma doveva esserci anche la paura e il terrore di essere accusati davanti al padrone da un compagno di schiavitù. Osservando le stanze infestate dai roditori di Civita Giuliana, siamo invitati ad apprezzare come, nonostante tutto, le persone che vi abitano abbiano faticato a mantenere un minimo di dignità e comodità. Ma non dobbiamo dimenticare il silenzio e l’isolamento in cui i vincoli della schiavitù hanno spinto queste persone, forse ancor di più in quanto questi legami non erano fisici (data la mancanza di finestre con grate, serrature delle porte e così via) ma invisibili e quindi potenzialmente pregiudicando ogni autentica forma di comunicazione”.

Il microscavo di vasi e anfore provenienti dall’ambiente “C” ha nel frattempo rilevato la presenza di almeno tre roditori: due topolini in un’anfora e un ratto in una brocca, posizionata sotto uno dei letti e dalla quale sembra che l’animale cercasse di scappare quando morì nel flusso piroclastico dell’eruzione. Dettagli che sottolineano ancora una volta le condizioni di precarietà e disagio igienico in cui vivevano gli ultimi della società dell’epoca.

Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A
Pompei, la stanza degli schiavi nota come ambiente A

L’esplorazione archeologica della villa di Civita Giuliana, già oggetto di scavi nel 1907-‘08, ebbe inizio nel 2017 in base a una collaborazione tra il Parco Archeologico di Pompei, quale ente competente per la tutela dell’area circostante la città antica, e la Procura della Repubblica di Torre Annunziata, che insieme ai Carabinieri aveva scoperto un’annosa attività di scavi clandestini nell’area della Villa, poi sgominata e perseguita sia penalmente che civilmente.

La villa di Civita Giuliana, situata a circa 600 metri a nord dell’antica Pompei, fu scoperta e parzialmente scavata negli anni 1907-1908. Nel 2017 il Parco Archeologico di Pompei ha iniziato a collaborare con la locale Procura della Repubblica che stava indagando sugli scavi illegali nell’area. Come risultò, i proprietari di una casa situata sul luogo dell’antica villa avevano scavato una rete sotterranea di cunicoli per saccheggiare sistematicamente il sito e privarlo di affreschi e preziosi reperti destinati ad essere contrabbandati all’estero e venduti sul mercato antiquario. Lo scavo archeologico della villa, iniziato sotto la direzione dell’allora direttore Massimo Osanna, è tuttora in corso e ha portato a una serie di scoperte inattese. Tra questi una stalla dove è stato possibile realizzare un calco in gesso di un cavallo, i resti di una carrozza cerimoniale (pilentum) decorata con medaglioni e appliques in argento e bronzo, e due vittime dell’eruzione del Vesuvio.

“Quanto ricostruito conferma la necessità di proseguire la ricerca scientifica in un luogo che, grazie all’opera della magistratura e dei Carabinieri, è stato strappato al saccheggio e al traffico illecito di beni archeologici per raccontare momenti notevoli della vita quotidiana dell’antichità. Quel che si sta apprendendo sulle condizioni materiali e sull’organizzazione sociale dell’epoca apre nuovi orizzonti agli studi storici e archeologici. Pompei rappresenta un unicum che tutto il mondo ci invidia. Conclusa l’operazione Grande Pompei, progettiamo nuove iniziative e nuovi finanziamenti per proseguire nella ricerca e nella tutela”, dichiara il Ministro della Cultura, Gennaro Sangiuliano.

“Siamo impegnati a continuare le ricerche e progettare la fruizione di un luogo che, come nessun altro del mondo antico racconta la quotidianità degli ultimi”, dichiara il direttore Zuchtriegel. “In occasione della riapertura dell’Antiquarium di Boscoreale il prossimo autunno, prevediamo una sala per informare il pubblico sugli scavi in corso, gli stessi che, sotto la direzione del mio predecessore, Massimo Osanna, hanno portato alla scoperta del carro cerimoniale recentemente in mostra a Roma, alle Terme di Diocleziano. Vorrei ringraziare, oltre alla squadra impegnata nello scavo archeologico, la Procura guidata da Nunzio Fragliasso per l’eccellente lavoro svolto”.

Per il Direttore Generale Musei, Massimo Osanna: “Le ricerche a Civita Giuliana sono un esempio virtuoso di tutela e valorizzazione del nostro patrimonio. Una salda collaborazione tra il Ministero della Cultura, la Procura di Torre Annunziata e le Forze dell’ordine hanno già permesso di riportare alla luce un complesso imponente e i suoi straordinari arredi, tra cui il Carro della sposa. Le nuove acquisizioni confermano la rilevanza del progetto. Tali attività porteranno, spero presto, a restituire alla comunità pompeiana e ai pubblici tutti, un’area archeologica di grande importanza che racconta un altro tassello della biografia di persone, di diverse classi sociali, che hanno vissuto 2000 anni fa”.


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