Napoli, restaurato il ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura di Tiziano


È finito il restauro del Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura, opera di Tiziano conservata al Museo Nazionale di Capodimonte di Napoli reso possibile grazie al contributo di privati.

È stato presentato stamattina all’Istituto Centrale per il Restauro di Roma il restauro del Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura, opera di Tiziano Vecellio del 1546. Il dipinto fa parte della raccolta farnesiana del Museo e Real Bosco di Capodimonte di Napoli, giunta in città con l’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734), grazie al dono della collezione della madre Elisabetta Farnese. La figura fiera e altera di Pier Luigi Farnese (1503-1547), primogenito di papa Paolo III, si impone alla vista con autorità e forza, chiusa nella sua smagliante armatura da condottiero con la bandiera che richiama la carica di Gonfaloniere e generale dell’esercito pontificio, assegnatagli dal padre Papa Paolo III Farnese nel 1545, insieme con quella, prestigiosissima, di duca di Parma e Piacenza. Tiziano, ritrattista della famiglia Farnese, coglie Pier Luigi in un profilo di tre quarti, cattura gli effetti della luce che scintilla sulla sua armatura con inimitabile maestria.

L’opera sarà in mostra, a partire dal 18 marzo 2022 presso il Complesso Monumentale della Pilotta a Parma nell’ambito della mostra I Farnese. Architettura, Arte, Potere, patrocinata dal Ministero della Cultura e inserita nei progetti di Parma Capitale italiana della Cultura 2020+21, esposizione a cui il Museo e Real Bosco di Capodimonte contribuisce in maniera rilevante con il prestito di un nucleo significativo di dipinti, armature e preziosi oggetti della Wunderkammer Farnese. Il restauro del dipinto è inserito nel progetto Rivelazioni. Finance for Fine Arts di Borsa Italiana, avviato dal Museo e Real Bosco di Capodimonte nel 2018. Grazie al meccanismo dell’art bonus, tre aziende campane (Tecno, Pasell e Graded), tutte inserite nel programma Elite di Borsa Italiana per imprese con alto potenziale di crescita, hanno potuto finanziare la campagna di indagini diagnostiche e il restauro dando vita a un modello integrato di mecenatismo, promosso e sostenuto dall’Advisory Board del Museo e Real Bosco di Capodimonte, presieduto da Giovanni Lombardi, che ha portato al restauro di altri importanti dipinti.

Il Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura dopo il restauro
Il Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura dopo il restauro

L’opera

Il Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura di Tiziano Vecellio fa parte della raccolta farnesiana del Museo e Real Bosco di Capodimonte, giunta a Napoli con l’ascesa al trono di Carlo di Borbone (1734) e il dono della collezione della madre, Elisabetta Farnese. Il nucleo di dipinti realizzati per i Farnese da Tiziano, ospite della corte a Roma nel 1545, comprende alcuni fra i più celebri ritratti di tutta la pittura del Cinquecento europeo, in massima parte conservati a Capodimonte. La dinastia dei Farnese, originata dalla piccola nobiltà laziale della Tuscia non fu sempre schierata dalla parte della Chiesa, al punto che Pier Luigi Farnese, al servizio di Carlo V nel 1527, partecipò al sacco di Roma, approfittando dell’occasione per salvaguardare il Palazzo Farnese, mentre suo fratello Ranuccio proteggeva utilmente Clemente VII, che si era rifugiato a Castel Sant’Angelo. Questa ambiguità opportunistica accompagnava gli incessanti cambiamenti di alleanza nella politica dell’epoca. E si può percepire proprio in quest’opera dove l’ampio stendardo, segnato dall’emblema di Gonfaloniere della Chiesa (il padiglione camerale con le chiavi incrociate) evidenzia l’importante carica ricevuta nel 1537 dal padre di Pier Luigi, papa Paolo III Farnese.

Con la sua tonalità carica e i suoi caldi riflessi, contribuisce a mettere in risalto il volto pallido e scavato del duca malato, su cui risalta la violenza emotiva dello sguardo, con gli occhi vivacissimi e la bocca sottile e tesa, specchio del temperamento cruento e risoluto e della personalità trasgressiva e dissacratrice, quasi presago della morte violenta che lo avrebbe colpito a seguito di una congiura ordita contro di lui nel 1547, un anno dopo l’esecuzione del ritratto. Tiziano probabilmente dipinse questa tela a Venezia intorno al 1546, dopo il suo ritorno da Roma su invito di Papa Paolo III. Un probabile contatto tra Pier Luigi e Tiziano dovette avvenire in Emilia nel 1543, poiché il duca non era presente a Roma durante il soggiorno di Tiziano a Roma. In questo dipinto, Tiziano dipinge Pier Luigi in un profilo di tre quarti, suggerendo quasi il passaggio dalla contemplazione all’azione, amplificato dal gesto della mano destra che afferra il bastone, simbolo del suo comando militare, mentre l’altra stringe nell’ombra il manico di un pugnale pronto ad essere afferrato. L’armatura indossata da Pier Luigi Farnese, nel ritratto eseguito da Tiziano non è di rappresentanza, ma assimilabile alle tipiche armature d’uso militare dell’epoca. Molto semplice la decorazione, che si risolve in un annerimento totale delle superfici, con bordure ribassate e dorate ad evidenziare i margini delle lame metalliche. Una piccola decorazione incisa all’acquaforte sembra sottolineare lo scollo alla maniera francese. Forti analogie si possono individuare con l’armatura molto simile indossata da Alfonso d’Avalos nell’Allocuzione dipinta dallo stesso Tiziano ed oggi al Prado. Il caschetto del soldato portastendardo è ornato da un motivo a voluta che ritroviamo sui caschetti a tre creste della Guardia Farnesiana in ferro sbalzato e dipinto, oggi conservati nell’Armeria del Museo e Real Bosco di Capodimonte.

Il restauro

Il Ritratto di Pier Luigi Farnese in armatura presentava condizioni di leggibilità compromesse da una notevole presenza di piccole lacune e abrasioni diffuse e dall’alterazione degli strati protettivi, colle e vernici, applicati nel restauro precedente. L’opera era già stata restaurata in precedenza, nel 1957, sempre presso l’Istituto Centrale per il Restauro, all’epoca diretto da Cesare Brandi, nell’ambito della complessiva revisione conservativa dei capolavori del museo napoletano allorché Bruno Molajoli ne dispose il trasferimento nella reggia di Capodimonte. Il dipinto, che necessitava di un consolidamento degli strati pittorici, all’epoca venne foderato con colla di pasta e poi montato su un innovativo sistema di tensionamento, costituto da un telaio ligneo con espansione a molle, in fase di sperimentazione, che si è rivelato nel tempo assai efficace. Vennero rimosse le vecchie ridipinture, quindi si eseguirono operazioni di presentazione estetica molto limitate, secondo l’impostazione estremamente rigorosa che all’epoca era perseguita presso l’Istituto, lasciando a vista parte delle lacune della pellicola pittorica. Il Laboratorio Dipinti su tela dell’Istituto Centrale per il Restauro dal 2005 sta portando avanti un progetto di revisione dei restauri condotti dall’Istituto nel corso degli anni Cinquanta del Novecento, per valutarne la stabilità e l’efficacia nel tempo. È apparso dunque la sede più idonea per affrontare questo nuovo intervento, che ha risposto all’esigenza di verificare l’efficacia dei provvedimenti strutturali presi nel 1957 e rivedere criticamente la presentazione estetica, anche alla luce dello stato di conservazione dei materiali di restauro. Il problema principale dell’opera era legato alla fruibilità dell’immagine, inficiata dalla presenza delle numerose perdite della pellicola pittorica che avevano portato la tela di supporto a vista.

L’intervento attuale è stato preceduto da un’ampia campagna diagnostica, realizzata da Emmebi Diagnostica Artistica, Arsmensurae e dal Laboratoire d’Archéologie Moléculaire et Structurale (LAMS) di Parigi. Ricerche con metodologie avanzate che hanno permesso di acquisire nuove informazioni sulla tecnica esecutiva del dipinto, utili ad affrontare al meglio il delicato restauro. La riflettografia infrarossa a luce riflessa e in trans-irradianza, indagini che consentono di vedere al di sotto degli strati pittorici superficiali, hanno restituito tracce del disegno soggiacente e di alcuni pentimenti. L’indagine MA–XRF, che restituisce in gradazioni di grigio la presenza di ciascun elemento chimico, è stata eseguita sull’intera superficie dipinta e ha rivelato importanti informazioni sulla tecnica esecutiva di Tiziano. L’artista imposta la composizione a partire da un disegno piuttosto sottile di contorno, che l’infrarosso rileva, per esempio, lungo i profili della mano sinistra del soldato, degli occhi e dell’orecchio di Pier Luigi Farnese. Alla precisione dei tratti fisionomici si accompagna la definizione più libera dell’abbozzo per quanto riguarda la posa del condottiero e l’ambientazione. Il braccio destro presenta una prima redazione più sollevata con la mano che si direbbe poggiare su un piano, piuttosto che stringere il bastone del comando. Questa inedita lettura viene suggerita proprio dalla mappatura della superficie dipinta attraverso l’indagine MA –XRF, che ha permesso di tracciare la distribuzione degli elementi chimici. Tale indagine consente di ricostruire sia le modifiche in corso d’opera, sia le originarie componenti cromatiche, rese di difficile interpretazione dal precario stato di conservazione e dalle alterazioni subite da alcuni pigmenti. È il caso del verde ormai annerito di cui è costituito il corpetto del soldato, rilevato dettagliatamente dall’immagine della distribuzione del rame, che evidenzia anche il pigmento a base di rame (azzurrite) impiegato per l’intonazione blu dell’armatura. La presenza di diversi elementi, rivelati dalla Macro XRF, e dall’indagine iperspettrale, rende evidente la complessità della stesura pittorica, che impiega nell’armatura biacca, bianco di calcio, terre, azzurrite, nero d’ossa.

Nel Laboratorio di Indagini Biologiche dell’ICR sul supporto originale sono state inoltre condotte analisi microscopiche al fine di riconoscere le fibre tessili costitutive, identificate con fibre di lino (Linum usitatissimum L.). Il Laboratorio di fisica dell’ICR ha invece studiato e valutato il livello del tensionamento applicato al dipinto. Il sistema, di tipo ‘elastico’, è predisposto per limitare la forza di attrito e conferire una adeguata libertà di movimento al supporto, permettendo al dipinto di scorrere e modificare le proprie dimensioni in conseguenza delle variazioni dei parametri ambientali. Durante le fasi di restauro è stata prelevata una molla metallica elicoidale e sottoposta a prova di trazione per calcolare il valore di tensionamento lineare applicato al dipinto, che è risultato non uniforme. Si è pertanto intervenuti per eseguire piccole modifiche e renderlo ottimale, senza apportare variazioni alla configurazione della struttura e dei meccanismi ormai storicizzati.

Per quanto riguarda l’intervento sulla superficie pittorica, verificata l’efficienza dell’adesione della foderatura a colla di pasta, le condizioni conservative strutturali si sono rivelate sostanzialmente buone. Dal punto di vista dell’immagine il dipinto si presentava invece molto danneggiato. L’intervento è stato diretto al risanamento dei difetti di coesione della pellicola pittorica, alla rimozione delle vernici del precedente restauro, ormai ossidate, e all’assottigliamento delle colle impiegate per la foderatura del 1957. È stata quindi affrontata la presentazione estetica dell’opera, ripensando la reintegrazione delle lacune e delle abrasioni allo scopo di recuperare una figurazione più leggibile per una migliore fruizione dell’immagine, eseguendo velature “sotto tono” nelle lacune in cui affiorava la tela e nelle zone abrase.


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