Un nuovo documento appena scoperto getta luce sul cognome del Giorgione


A Venezia, un’archivista di Castelfranco Veneto, Francesca Bortolanza, ha scoperto un documento che consente di fare nuova luce sul vero cognome del Giorgione, l’autore della Tempesta: la sua famiglia sarebbe stata quella dei benestanti Barbarella, adesso ci sarebbe la conferma.

Un’importante scoperta, che porta la firma dell’archivista Francesca Bortolanza, consente di fare luce su di un annoso problema della storia dell’arte veneta: il cognome del Giorgione (Castelfranco Veneto, 1478 - Venezia, 1510), l’autore della Tempesta, nome illustre del Rinascimento veneto. Nell’archivio di Stato di Venezia, Bortolanza, originaria di Castelfranco Veneto, ha infatti scoperto un documento che conferma l’appartenenza di Giorgione alla facoltosa famiglia Barbarella, che confuta così le informazioni scritte da Giorgio Vasari, che nelle Vite (1568) descriveva il Giorgione come di “umilissima stirpe”. Più attendibili fonti ebbe Carlo Ridolfi, che ne Le meraviglie dell’arte (1648) riportava la notizia secondo cui l’artista fosse originario “da famiglia comoda di Vedelago”, rendendo pure conto della lapide commemorativa della famiglia Barbarella (che lo annoverava l’artista tra i suoi membri) murata nel vecchio duomo cittadino. Il documento trovato da Bortolanza nel fondo veneziano Giudici di Petizion è oggetto del saggio pubblicato nel numero 192 della rivista open source Engramma, diretta da Monica Centanni.

Secondo Bortolanza, la scoperta metterebbe la parola fine alla diatriba sulle origini del pittore, facendo vacillare notevolmente la tesi della storica Renata Segre risalente al 2011, quando la stessa aveva individuato in un “Giovanni Gasparini”, mai comparso prima in alcun documento ritenuto rilevante, il padre del Giorgione. Il nome si trovava nell’introduzione a un inventario datato 14 marzo 1511, certamente relativo ai beni del defunto Zorzi da Castelfranco “pictor”, nel fondo veneziano Giudici del Proprio. L’istanza era stata mossa dal notaio castellano Francesco Fisolo, “uti heres” dalla defunta Ale(x)andra, vedova di Giovanni Gasparini, per recuperare la dote della stessa, dovutale dopo la morte del coniuge. Diritto trasmesso all’erede dopo la di lei dipartita.

Giorgione, La tempesta (1502-1505 circa; olio su tela, 83 x 73 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)
Giorgione, La tempesta (1502-1505 circa; olio su tela, 83 x 73 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)

All’opposto, altri studiosi, su tutti Lionello Puppi, sostenevano che il testo presentasse degli errori di trascrizione e di interpretazione: il nome Ale(x)andra del documento poteva essere l’errata trascrizione di “Altadona”, madre di “Zorzi Barbarella” in base a riscontri documentali resi noti nel catalogo della mostra di Castelfranco edito nel 2009. Quanto a “Gasparini”, interpretato come cognome, si poteva ipotizzare che si trattasse del nome “Gasparino” declinato al caso genitivo. Il nome del padre di Giovanni Barbarella, marito di Altadona, sarebbe stato dunque Gasparino, come provano atti notarili quattrocenteschi conservati a Bassano.

Il nuovo documento veneziano del fondo Giudici di Petizion (competenti in materia sia di dote che di commissariae, ossia gestione dei beni lasciati dai defunti, anche di quelli morti senza aver fatto testamento), di sei giorni successivo all’inventario ed evidentemente in stretta relazione con esso, testimonia che l’istanza del già citato Francesco Fisolo era stata fatta “vigore dotis” di Altadona da Castelfranco: il tentativo di recupero della dote, motivazione alla base dell’ordine di inventariare i beni del pittore, era pertanto relativo al risarcimento dotale spettante ad Altadona, vedova di Giovanni [Barbarella] del fu Gasparino. Non di un’Aleandra, presunta matrigna del Giorgione, vedova di Giovanni Gasparini. Verso la fine dell’atto si trova scritto che “ser Franciscus Fisulo de Castro Francho habuerit et receperit omnia bona predicte domine Altedone [in precedenza: de Castro Francho] vigore dotis ipsius”. La terminazion è del 20 marzo 1511 e secondo l’autrice della scoperta permette di sciogliere i precedenti dubbi: il nome “Altadona” (che non era comune neppure a quei tempi) era stato trascritto erroneamente in Aleandra nella premessa dell’inventario del 14 marzo 1511; il notaio Francesco Fisolo ottiene dunque i beni in virtù della rivendicazione della dote di Altadona. È probabile che Francesco Fisolo fosse l’erede di Altadona, non si sa in base a quale vincolo di parentela. Tuttavia la formula “uti heres” nella premessa all’inventario del fondo Giudici del Proprio è utilizzata frequentemente in atti del medesimo fondo quando è un procuratore a rivendicare i beni della dote, agendo per conto dell’erede. Quel che più conta è che si sia dimostrato che l’istanza di Francesco Fisolo, partita l’8 marzo da Castelfranco, era legata alla rivendica dei beni “vigore dotis” di Altadona, non di una tale Aleandra vedova di Giovanni Gasparini, presunta matrigna del pittore secondo Segre.

“Grazie ai documenti ritrovati nel fondo Notarile a Bassano del Grappa e nella serie Estimi della Podesteria di Castelfranco a Castelfranco Veneto”, scrive Bortolanza nel saggio su Engramma, “si può affermare con certezza che lo Zorzi pittore dell’inventario citato del fondo Giudici del Proprio fosse figlio di Altadona, la quale fu moglie del notaio Giovanni Barbarella del fu Gasparino. Il cerchio, dunque, si chiude definitivamente, provando l’appartenenza del Giorgione alla famiglia Barbarella”.


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