Il Fauvismo, la rivoluzione del colore. Storia e stile dei Fauves


I Fauves proclamarono l’autonomia del colore dal disegno e dalla prospettiva rinascimentale, legato invece ai valori emotivi.

Il Fauvismo, dal francese “Fauvisme”, è stato uno tra i primi movimenti pittorici europei del XX secolo, che seguì e rinnovò le sperimentazioni tecniche e ricerche del Postimpressionismo della fine del XIX secolo. Sorto in Francia da un gruppo eterogeneo di artisti, il movimento fu di breve durata, dal 1905 anno della formalizzazione durante il Salon d’Automne al Grand Palais di Parigi al 1907 circa, pur stabilendo alcuni dei cambiamenti artistici più importanti del Novecento.

Sebbene il gruppo non abbia mai prodotto un manifesto con un programma estetico o politico comune, i pittori detti Fauves (“belve” o “selvaggi”), svilupparono obiettivi condivisi, e il loro contributo maggiore fu di separare il colore dal tradizionale scopo descrittivo e rappresentativo realistico, per renderlo uno strumento ed elemento visivo indipendente, guidato sulla tela da un sentimento primordiale. Un’altra delle priorità artistiche del Fauvismo fu inoltre l’indipendenza dal disegno nell’equilibrio generale della composizione nello spazio pittorico. La struttura all’interno del quadro era data da forme semplificate e colori saturi non necessariamente fedeli al mondo naturale né alla prospettiva rinascimentale.

Nell’uso e considerazione del colore, il Fauvismo riunì diversi pittori francesi di inizio secolo che andavano affermando la propria espressione personale e l’istinto individuale, al di là della teoria accademica, ispirati dalle sperimentazioni dei postimpressionisti Paul Cézanne, Paul Gauguin, Vincent van Gogh e Georges Seurat. Di Cézanne, considerato come il padre di tutte le avanguardie novecentesche, utilizzarono il modo di scomporre le immagini in piani di colore relativamente omogenei, ma dai contorni imprecisi; i limiti di ogni campo di colore non sempre coincidevano con i contorni degli oggetti rappresentati, così che l’immagine suggerita dalla costruzione cromatica poteva contraddire quella realistica. Dell’eredità del postimpressionismo, e in particolare della corrente dei neoimpressionisti come Seurat, la cui teoria del colore applicata con la tecnica del pointillisme, “puntillismo” o “puntinismo” era nota attraverso la mediazione di Paul Signac, c’è forte traccia nel gusto per i colori puri e per gli accostamenti, e di Gauguin e Van Gogh nell’espressività libera, che i Fauves amplificarono. L’esperienza diretta dell’artista con i suoi soggetti, la risposta emotiva alla natura e alla realtà circostante, l’intuizione individuale erano impiegati al servizio della rappresentazione: un albero poteva essere rosso, i cieli gialli e un volto umano avere intense macchie verdi o blu. La rappresentazione così conquistava una identità autonoma dall’aspetto delle cose che si offriva allo sguardo.

Alcuni dei Fauves, come Henri Matisse (Le Cateau-Cambrésis, 1869 – Nizza, 1954), Henri Manguin (Parigi, 1874 – Saint-Tropez, 1949) e Albert Marquet (Bordeaux, 1875 – Parigi, 1947) erano stati allievi alla Scuola di Belle Arti di Parigi dell’artista simbolista Gustave Moreau (Parigi, 1826 –1898) che professava appunto l’espressione personale quale attributo necessario di un grande pittore. Altri, come André Derain (Chatou, 1880 – 1954, Garches) e Maurice de Vlaminck (Parigi, 1876 – Rueil-la-Gadelière, 1958) che lavoravano insieme in un studio a Chatou, confluirono nei Fauves quali ferventi ammiratori della violenza espressiva à-la Van Gogh, insieme a un piccolo nucleo che si era stabilito nel villaggio portuale di Le Havre, Raoul Dufy (Le Havre, 1877 – 1953, Forcalquier), Othon Friesz (Le Havre, 1879 – Parigi, 1949) e Georges Braque (Argenteuil, 1882 – Parigi, 1963) seguirono Matisse, il più anziano tra loro e dalla personalità autonoma, considerato il “caposcuola” e il loro massimo rappresentante.Nel 1908 i componenti del gruppo si erano già avviati su strade diverse a ricerche in altre direzioni, per quanto le loro idee e opere fondamentali, che hanno ridefinito il colore e la forma puri come mezzi per comunicare lo stato emotivo dell’artista, influenzarono l’arte per decenni a venire, precorrendo le poetiche del Cubismo ed Espressionismo.

Henri Matisse, Lusso, calma e voluttà (1904; olio su tela, 98 x 118 cm; Parigi, Centre Pompidou)
Henri Matisse, Lusso, calma e voluttà (1904; olio su tela, 98 x 118 cm; Parigi, Centre Pompidou)
Henri Matisse, Gioia di vivere (1905-06; olio su tela, 174x238 cm; Merion, Barnes Foundation)
Henri Matisse, Gioia di vivere (1905-06; olio su tela, 174x238 cm; Merion, Barnes Foundation)
André Derain, Montagne a Collioure (1905; olio su tela, 81,3 x 100,3 cm; Washington, National Gallery)
André Derain, Montagne a Collioure (1905; olio su tela, 81,3 x 100,3 cm; Washington, National Gallery)

Il nome e la storia dei Fauves

Alcuni degli artisti confluiti nel movimento dipingevano opere considerate poi fauves già prima delle occasioni espositive che nel 1905 e nel 1906 ne determinarono la notorietà e che scatenarono reazioni scandalizzate del pubblico e della critica. Il nome “Fauves” infatti, che tradotto sta per “belve” o “selvaggi”, fu assegnato loro sarcasticamente dal critico d’arte Louis Vauxcelles (Parigi, 1870 – 1943) a seguito di una prima esposizione di opere di Matisse e gli altri al Salon d’Automne del 1905. Il Salon era stato fondato appena due anni prima, nel 1903, proprio per permettere agli artisti moderni di esporre liberamente, visto che il conservatorismo dell’ambiente accademico appariva insensibile alle novità e criticante. Il pittore Matisse ricordò l’episodio del 1905 con queste parole: “Derain, Manguin, Marquet, Puy ed altri avevano posto le loro opere vicine in una delle gallerie: uno scultore esponeva un busto infantile di stile italiano al centro della medesima galleria. Quando Vauxcelles entrò esclamò: ‘Diamine, Donatello tra le belve!’”.

A colpire fu la violenza nell’uso del colore innaturale, dirompente rispetto allo stile accademico e a quello degli impressionisti che, solo pochi anni prima, dichiaravano la volontà che “il dipinto riflettesse l’impressione visiva” del reale. Quei giovani pittori si ispiravano al postimpressionismo.

Ma la formazione del Fauvismo, che come si è detto non fu una corrente con un programma definito a priori, va fatta risalire e si deve al periodo tra il 1894 e il 1897, quando Matisse, Manguin, Marquet insieme ad altri come Charles Camoin (Marsiglia, 1879 – Parigi, 1965) e Georges Rouault (Parigi 1871 - 1958) si incontravano nell’atelier del pittore Gustave Moreau alla Ecole des Beaux-Arts, Scuola di Belle Arti di Parigi: gli acquerelli del maestro, a macchie di colore liberamente disposte e la linea dei suoi schizzi a olio costituirono un primo contributo alla formazione pittorica dei futuri fauves, che lo stesso Moreau stimolava alla ricerca libera, autonoma dalle convenzioni accademiche.

Tra il 1897 e il 1898 arrivarono a Parigi, oltre a Othon Friesz, l’olandese Kees van Dongen (Delfshaven, 1877 – Monte Carlo, 1968) e Jean Puy (Roanne, 1876 – Roanne, 1960), il quale entrò in contatto con Matisse e Derain: quest’ultimo, nel 1900, conobbe De Vlaminck e affittò con lui uno studio a Chatou, lungo la Senna, anche uno dei luoghi privilegiati degli impressionisti. I due sono stati spesso accomunati sotto la definizione di “Scuola di Chatou”. Matisse in qualità di artista più anziano e affermato, li frequentò, li sostenne e incoraggiò fino a quell’estate del 1905 in cui con Derain trascorsero a Collioure, porto a Sud della Francia, un periodo prolifico e rivoluzionario, perfezionando stili e tecniche e lavorando a numerosi dipinti significativi (si veda di Matisse il Ritratto di André Derain e dello stesso Derain il Ritratto di Henri Matisse).

In quella speciale congiuntura personale e artistica erano giunti a Parigi anche Dufy e Braque, più noto come uno dei membri fondatori del movimento cubista ma che iniziò come membro dei Fauves, che, incontrato Friesz, formarono il cosiddetto “Gruppo di Le Havre”, influenzati dalla pittura di Matisse. All’inizio del secolo, erano già in contatto fra loro gli artisti indicati come i Fauves, tutti d’accordo nella ricercare un nuovo modo espressivo: il rapporto con la realtà visibile non era più mimetico e la natura era intesa, in termini simbolisti, come repertorio al quale attingere per una libera interpretazione attraverso i valori emotivi di colori netti.

Proprio Matisse era approdato allo stile fauves dopo aver sperimentato vari approcci di rifiuto alla rappresentazione tradizionale dello spazio (Lusso, calma e voluttà del 1904 dimostra chiaramente l’influenza del neoimpressionismo di Seurat) e sebbene non abbia mai praticato esplicitamente il puntinismo, le sue osservazioni su questa tecnica lo portarono a sviluppare il proprio concetto di struttura del colore e di spazio pittorico. È nel 1905 che Matisse visitò lo studio di Chatou, dove rimase fortemente colpito dai colori puri dei due pittori Derain e de Vlaminck, e i diversi loro dipinti di quell’anno confluiranno poi all’annuale Salon d’Automne al Grand Palais di Parigi, dove si distinsero per le tele vividamente colorate con pennellate spontanee e corpose (Matisse partecipò con il suo famoso Donna con cappello).

Il successo del Fauvisme fu pressoché immediato, a differenza dell’impressionismo, per esempio, e generò contatti con galleristi, mercanti e collezionisti e perfino il governo francese acquistò opere fauves fin dai primi Salons. Un segno indubbio di quel nuovo rapporto tra arte e mercato che si andava stabilendo a cavallo tra il sec. XIX e il XX e che ha caratterizzato, da allora, la produzione artistica. L’anno di piena manifestazione del movimento è il 1906, che segna un’ulteriore intensificazione del cromatismo, il Fauvisme trionfa al Salon des Indépendants, Matisse vi espone La gioia di vivere e da quell’esperienza ai suoi modi espressivi si ispireranno anche altri pittori come il russo Vasilij Kandinskij. Anno, il 1906, in cui contemporaneamente a Dresda erano esposte opere del gruppo tedesco “Die Brϋcke”, che diede origine all’espressionismo tedesco da cui i Fauves si differenziarono per una minore angoscia esistenziale, un minore intento polemico e critico nei confronti della società e, allo stesso tempo, un maggiore interesse proprio per il colore.

La loro arte fu esposta in altre mostre, in particolare al Salon des Indépendants del 1907, dove l’attrazione principale fu una grande sala soprannominata “La Tana dei Fauves”. Ma al contempo il carattere relativamente unitario del Fauvismo si affievolì e nel 1908 molti dei pittori già lavoravano altro in diverse direzioni artistiche. Sarà la dirompenza del Cubismo (è del 1907 Les demoìselles d’Avignon di Picasso) a rompere le fila del movimento. Nonostante la loro breve esistenza come gruppo unito, in soli quattro o cinque anni si era sviluppato un programma estetico ricco di ripercussioni. Il colore, discostandosi dall’apparenza delle cose, finì con l’alterare lo spazio della pittura, tra primo piano e sfondo, in una indefinitezza tra i limiti geometrici delle architetture dipinte. Il dissociarsi del disegno dal colore aprì le porte alla rivoluzione cubista. Gli scritti Notes d’un peintre, “Appunti di un pittore” di Matisse pubblicati nel 1908 servirono come registrazione formale di molti degli obiettivi e delle idee condivise dai Fauves.

André Derain, I bacini di Londra (1906; olio su tela, 65,7 x 99,1 cm; Londra, Tate Modern)
André Derain, I bacini di Londra (1906; olio su tela, 65,7 x 99,1 cm; Londra, Tate Modern)
Maurice de Vlaminck, La Senna a Chatou (1906; olio su tela, 81,6 x 101 cm; New York, Metropolitan Museum)
Maurice de Vlaminck, La Senna a Chatou (1906; olio su tela, 81,6 x 101 cm; New York, Metropolitan Museum)
Maurice de Vlaminck, Il circo (1906; olio su tela, 60 x 73 cm; Collezione privata)
Maurice de Vlaminck, Il circo (1906; olio su tela, 60 x 73 cm; Collezione privata)

Lo stile dei maggiori esponenti Fauves

I Fauves furono tutti, anche se in maniera differenziata, concentrati sul colore come mezzo di espressione personale e strumento per la costruzione delle immagini pittoriche, dove gli elementi compositivi corrispondevano al posizionamento dei vari colori scelti, piuttosto che corrispondere a un sistema prospettico o al disegno. Fu abolito il chiaroscuro che creava l’effetto di profondità, in favore di una stesura a macchie pastose, apposte direttamente dal tubetto sulla tela, utili a creare e scandire le proporzioni nel dipinto, in nome di un ordine interno della composizione che rispecchiasse le suggestioni emotive. Nella loro comune preoccupazione per l’espressione attraverso il colore e la forma, questi artisti furono generalmente meno interessati alla novità dei loro soggetti: ritratti, paesaggi, paesaggi marini e figure in interni non precisati.

Quando i Fauves apparvero sulla scena artistica parigina, l’idea più rivoluzionaria di paesaggio fino a quel momento corrispondeva a quella sviluppata dagli impressionisti: aria aperta, tavolozza chiara e immediato riflesso sulla tela dell’impressione visiva diretta. Tutto ciò era già stato posto in discussione da artisti quali Gauguin e Van Gogh che, nella diversità della loro ispirazione, avevano dipinto paesaggi intensamente soggettivi, di forte carica simbolica. Mentre gli impressionisti e i postimpressionisti avevano raffigurato scene della vita fuori porta e poi urbana moderna, come i viali, i caffè e gli ambienti di Parigi e dintorni, per i Fauves l’impatto visivo della composizione cromatica ebbe il primato su ogni possibile narrazione o simbolismo.

La pittura dei Fauves fu intensamente vitale e pressoché non angosciosa. A partire dal caposcuola Matisse che si allontanò gradatamente dall’uso di sfumature sottili di colori misti e nel suo periodo “selvaggio” lavorò con tinte piatte brillanti e dirompenti. “La componente espressiva del colore”, affermava sulla scia degli insegnamenti di Moreau, doveva “emerge in modo puramente istintivo”, e la scelta era data “dall’osservazione, l’emozione, l’esperienza sensibile”.

Nell’opera del 1904 Lusso, calma e voluttà, chiaramente influenzata dal puntinismo di Seurat nell’uso di piccoli tocchi di colore, ma con la quale Matisse rivisitò questa tecnica, c’è un forte contrasto tra la violenza espressiva e la serenità idillica del soggetto dipinto. Tratto dalla poesia Invito al viaggio di Charles Baudelaire, è un armonioso paese ideale dove appunto “tutto è ordine e bellezza, lusso, calma e voluttà” e dove gli aranci, i gialli, i verdi e altri colori mantengono tutti i propri posti discreti sul piano dell’immagine, non fondendosi mai del tutto come nel puntinismo. Così ne La gioia di vivere del 1906, forse l’opera fauvista più nota di Matisse dai forti contrasti visivi che sembrano vibrare, i nudi di Matisse sono in una beatitudine sensuale, collegati tra loro e al paesaggio da una sinuosa rete di linee curve e di colori vivaci non naturali. Opera capitale del Novecento questa, come Les Demoiselles d’Avignon (1907) di Picasso, per via della rivisitazione espressiva compiuta dall’artista della figura umana e proprio del paesaggio.

Negli stessi anni delle prime sperimentazioni di Matisse con le tecniche postimpressioniste, fecero lo stesso anche i due pittori Derain e de Vlaminck che poi svilupparono un loro interesse comune per colori audaci e una particolare pennellata. I dipinti fauvisti di Derain traducono ogni tono di un paesaggio attraverso pennellate vigorose lunghe e corte, rispetto agli agitati vortici intensi invece di de Vlaminck.

Derain, come Matisse, fu noto per il suo uso di tinte pure e di forme semplificate e interpretò il paesaggio discostandosi dalle precedenti raffigurazioni. Nelle famose Montagne a Collioure (1905) usò pennellate isolate, influenzate dalla pittura divisionista, per strutturare gli alberi e il terreno del suo paesaggio e nella veduta de I bacini di Londra per esempio, tela del 1906, il soggetto quasi banale dei barconi, ciminiere e marinai fu rivoluzionato dalla colorazione non verosimile, dell’acqua e il cielo verdastri, e per una ardita inquadratura dall’alto. Alla ricchezza del colore, Derain unì un notevole senso della misura e una visione meditata della realtà naturale, a differenza di de Vlaminck appassionato e impulsivo, che più di ogni altro suo contemporaneo sentì l’influenza della tecnica immediata e intensa di Van Gogh. Per La Senna a Chatou, sempre del 1906, Vlaminck usò l’impasto, modalità praticata da molti Fauves, con spesse macchie di pittura poi spazzolate insieme in brevi tratti per creare l’effetto del movimento, utilizzando per l’acqua e il cielo una gamma di blu e verdi oltre ad abbaglianti riflessi bianchi e contrasti di rossi e arancioni, per un effetto finale di luminosità e movimento vibrante, in cui i dettagli e la prospettiva tradizionali lasciano il posto a un senso di vivace piacere.

Il circo, un paesaggio di periferia ancora del 1906, presenta pennellate cariche e colori stridenti, che seguono le direttrici degli oggetti raffigurati creando come un’onda, affermando una espressione incontrollata di vitalità, che, lui stesso scriveva, gli veniva “dal cuore e dalle viscere senza preoccupazioni di stile".Questa tendenza a distorcere le forme con i colori per esprimere sensazioni interiori, ebbe una determinante influenza sugli espressionisti.


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