Capolavoro di Bassano venduto al Getty, il Tar del Lazio dà ragione al Ministero della Cultura


Il Tar del Lazio ha dato ragione al MiC sul caso del capolavoro di Bassano, il “Miracolo delle quaglie”, venduto al Getty nel 2021: secondo il MiC la domanda d’esportazione ometteva diversi dati, e aveva dunque ordinato al Getty il rimpatrio del dipinto.

Il Getty Museum di Los Angeles farà in Italia il Miracolo delle quaglie di Jacopo Bassano, capolavoro acquistato il 18 ottobre del 2021 dal museo statunitense? Il Tar del Lazio si è occupato del caso che avevamo denunciato anche su queste pagine, con un articolo da cui era nata anche una interrogazione parlamentare, e ha dato ragione al Ministero della Cultura, che aveva ordinato al museo americano di far tornare l’opera in Italia.

Il dipinto, dal 1948 al 2006, era di proprietà del collezionista fiorentino Vittorio Frascione, celebre antiquario i cui eredi avevano venduto il dipinto a una società registrata a New York, la OMP Fine Art LLC. Poiché il quadro era dunque uscito dai confini nazionali, il Ministero della Cultura aveva rilasciato un attestato di libera circolazione affinché potesse essere esportato: l’attestato, nella fattispecie, era stato rilasciato dall’Ufficio Esportazione della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio delle province di Pisa e Livorno in data 2 gennaio 2018. Tuttavia, il 21 gennaio 2022, la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura annullava in autotutela l’attestato di libera circolazione e ordinava il rimpatrio del dipinto entro il termine di sessanta giorni, dando incarico al Comando Carabinieri Tutela Patrimonio e Culturale.

Il Ministero ha fatto sapere che l’attestato del 2018 era stato rilasciato in quanto, si legge nella sentenza del Tar, il dipinto era stato presentato all’Ufficio Esportazione “in condizioni conservative non buone, sporco e con una patina che, come si evincerebbe dalla peraltro pessima fotografia allegata all’istanza, ne avrebbe offuscato la conduzione e qualità pittorica in maniera importante, al punto da indurre la Commissione dell’Ufficio di Esportazione di turno il giorno 19 dicembre 2017 a ribassare il valore economico dell’opera dai 120.000,00 euro esposti nella denuncia ai 70.000,00 euro, ritenuti congrui nell’attestato di libera circolazione”. In più, pare che mancasse l’indicazione di paternità, cronologia, provenienza, committenza, notizie storico-artistiche e altre caratteristiche. Queste mancanze avrebbero indotto le commissioni istruttorie interpellate (ovvero la Commissione presso l’Ufficio Esportazioni e la Commissione consultiva all’esportazione) a rilasciare l’attestato di libera circolazione. Solo successivamente sarebbe emerso il valore del dipinto.

Jacopo Bassano, Il miracolo delle quaglie (1554; olio su tela, 150 x 235 cm; Los Angeles, Getty Museum)
Jacopo Bassano, Il miracolo delle quaglie (1554; olio su tela, 150 x 235 cm; Los Angeles, Getty Museum)

Chi ha venduto l’opera ha tuttavia impugnato il provvedimento di annullamento del ministero, adducendo diverse ragioni: la tardività dell’esercizio del potere di ritiro, l’assenza dell’obbligo giuridico di procedere alla “pulitura del dipinto”, prima di presentarlo per la richiesta di esportazione, così come di fornire indicazioni ulteriori e diverse da quelle indicate, come obbligatorie, nel modulo messo a disposizione dei richiedenti l’attestato (il ricorrente ha fatto presente che l’Ufficio Esportazioni avrebbe potuto o dovuto condizionare il rilascio del parere alla pulitura del dipinto o alla presentazione di una riproduzione fotografica di miglior qualità). E poi ancora, il ricorrente avrebbe indicato che si trattava di “soggetto biblico” “attr. a Bassano”, non avendo l’artista in questione attribuito alla sua opera alcun “titolo”, così come avverrebbe per tutte le opere d’arte antica, rispetto alle quali sarebbe la critica ad assegnare un appellativo (l’opera è infatti conosciuta con otto titoli diversi).

Il Ministero della Cultura si è dunque costituito in giudizio ribadendo che il ricorrente, per tramite dell’intermediario incaricato della vendita, “avrebbe sottaciuto”, si legge nella sentenza del Tar, “elementi determinanti nell’esatta identificazione dell’opera d’arte da esportare - presentata in pessimo stato di conservazione – quali il ’titolo’ nonché la relativa provenienza”. Queste circostanze, secondo il Ministero, dovevano essere palesate, tanto più che chi ha venduto l’opera, fa sapere il Tar, ha rapporti di parentela con l’antiquario Vittorio Frascione che acquistò l’opera nel 1948 “tenendola gelosamente custodita sino alla sua morte, avvenuta nel 2006 e, dunque, non consentendone l’esposizione per quasi sessant’anni”. Di conseguenza, “Ne sarebbe conseguita una limitata ’riconoscibilità’ dell’opera ’a prima vista’, anche da parte degli addetti ai lavori, di talché tanto la presentazione della stessa in uno stato di conservazione migliore quanto la completa descrizione del relativo ’titolo’ e della ’provenienza’ - oltre che l’indicazione delle ’notizie storico-artistiche’, ’bibliografia’ e ’altre caratteristiche’” sarebbero stati ancor più doverosi poiché decisivi nella valutazione nell’interesse culturale particolarmente importante.

Un interesse che peraltro, fa sapere il Tar, è stato pienamente apprezzato dal curatore di pittura del Getty, Davide Gasparotto (peraltro originario proprio di Bassano del Grappa“, per il quale l’opera ”incarna perfettamente il genere a cui Bassano deve la sua fama: la rappresentazione di temi biblici dal carattere pastorale, dove dettagli realistici della vita quotidiana prendono corpo in composizioni di grande raffinatezza formale. Prevalgono le ombre nere, e i colori brillano attraverso spessi strati di pigmento. I dettagli della superficie, disegnati con precisione, sfocano in passaggi applicati con pennellate più sciolte. Questa semplicità quasi brusca ma altamente calcolata conferisce al quadro un’aura misteriosa e poetica" (queste le dichiarazioni di Gasparotto sul Miracolo delle quaglie quando l’acquisto venne presentato dal Getty). Si tratterebbe, dunque, di un quadro unico nella produzione di Bassano, per la rarità del soggetto, l’originalità della composizione e la finissima qualità esecutiva.

Il 22 marzo 2022, la Direzione Generale Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Ministero della Cultura emetteva dunque un provvedimento di diniego al rilascio dell’attestato di libera circolazione e contestuale avvio del procedimento per la dichiarazione di interesse culturale. Provvedimento che veniva tuttavia nuovamente impugnato: secondo il ricorrente, l’Italia, si legge nella sentenza, “custodirebbe la più alta concentrazione al mondo di opere del Bassano, visibili anche in numerose collezioni pubbliche sicché l’espatrio dell’opera in contestazione non determinerebbe alcun pregiudizio per il patrimonio culturale nazionale, rappresentando piuttosto un’opportunità per accrescere all’estero la notorietà di Jacopo Bassano”. Secondo il ricorrente sarebbe stata questa “l’implicita e sottintesa valutazione sottesa al rilascio” dell’attestato di libera circolazione, “sostanzialmente ritirato per effetto di una politica gestoria dei beni culturali, non opponibile al ricorrente, con valenza retroattiva”. Il provvedimento veniva dunque impugnato anche dal Getty Museum, che rilevava peraltro, oltre al vizio sulla tempestività dell’annullamento e ad altri elementi ravvisati anche del venditore (per esempio il fatto che l’opera del Bassano non potrebbe definirsi “rara”), anche l’“assoluta carenza di potere del Ministero per extraterritorialità degli effetti del Decreto, con particolare riferimento alla comunicazione di preavviso di diniego, alla richiesta di rimpatrio e di recupero indirizzata al Comando Carabinieri TPC”, e il difetto del “requisito di territorialità dell’azione amministrativa rispetto ad un bene che si trova all’estero di proprietà di un soggetto straniero”. Inoltre, il Comando Carabinieri Tutela del Patrimonio Culturale, osservava il Getty, non avrebbe potere in territorio straniero.

Il Tar, come anticipato, ha dato ragione al Ministero. Secondo il tribunale amministrativo, “in ragione del rapporto intercorrente tra il Ministero della Cultura e le relative articolazioni periferiche, rientra tra i poteri del primo anche quello di avocare a sé - eventualmente previo annullamento, come nel caso in esame, di un attestato già rilasciato dall’Ufficio Esportazioni - la competenza circa la valutazione dei presupposti per il rilascio ovvero per il diniego dell’attestato di libera circolazione”: di conseguenza è infondata la censura dei ricorrenti secondo i quali il ministero, oltre a non poter annullare l’attestato rilasciato, non avrebbe parimenti avuto la competenza a denegare il rilascio di un nuovo attestato. Il Tar ha poi giudicato “fuori fuoco” il principio di territorialità dell’azione amministrativa, “la cui applicazione non consentirebbe alla p.a. di annullare un’autorizzazione, quale l’attestato di l.c., che ha già prodotto l’effetto di legittimare l’esportazione di un’opera d’arte ’italiana’ all’estero, nella specie al di fuori del territorio dell’Unione Europea, tanto più in considerazione della sopravvenuta acquisizione della disponibilità giuridica, oltre che materiale, della stessa da parte di un soggetto giuridico di diritto straniero”. Anzi, proprio il principio di territorialità determina “in senso diametralmente opposto a quanto sostenuto dai ricorrenti, il necessario rimpatrio dell’opera d’arte in contestazione”. Il diritto europeo consente la circolazione dei beni culturali all’interno del territorio dell’Unione a condizione che siano legittimamente e definitivamente usciti dal territorio nazionale di provenienza, nel quale devono rientrare, in caso di illegittima fuoriuscita degli stessi.

Ancora, per il Tar “l’annullamento dell’attestato rende contraria a diritto la permanenza all’estero del bene e, come tale, comporta l’obbligo di rientro sulla base della legge della Repubblica”. Inoltre il tribunale, tenendo conto del fatto che dal 1948 il dipinto non venne più esposto, ritiene condivisibile l’affermazione dell’amministrazione secondo cui, se all’Ufficio Esportazioni fossero state fornite tutte le informazioni in suo possesso in ordine alla committenza dell’opera, alla sua storia collezionistica, perfettamente ricostruibile dal 1948 in avanti, ad almeno uno dei vari titoli con la quale è nota alla critica dell’arte, nonché al fatto di essere egli stesso erede di quell’antiquario dalla cui collezione privata l’opera proviene, l’Ufficio Esportazioni di Pisa avrebbe avuto tutti gli elementi per rendersi conto che il dipinto posto alla sua attenzione non coincideva con un anonimo “soggetto biblico”, attribuito ad un non meglio precisato artista denominato “Bassano”, per come si è limitato a dichiarare chi ha venduto l’opera in sede di richiesta dell’attestato, identificandosi piuttosto nell’importante opera d’arte di Jacopo da Bassano oggetto di causa. In altri termini, se fossero state fornite tutti gli elementi su provenienza, notizie storico-artistiche, bibliografia e altre caratteristiche, la Commissione di esperti sarebbe stata messa nelle oggettive condizioni di “sospettare” quale fosse l’esatta identità dell’opera d’arte postale in visione e, quindi, anche di richiederne un intervento di “pulitura”, considerato lo stato in cui è stata presentata presso l’Ufficio Esportazioni, pacificamente ammesso anche dal ricorrente. Con questi elementi, il Ministero avrebbe avuto i “segnali di allarme”, necessari a sufficienti a disporre supplementi istruttori, tra cui anche la eventuale ripulitura dell’opera.

Secondo il Tar appare anche “condivisibile l’addebito operato dal Ministero della Cultura a carico del ricorrente, secondo cui l’atteggiamento complessivamente reticente da questi tenuto in sede di richiesta dell’attestato, certamente colposo - se non preordinato ad approfittarsi della scarsa conoscenza del dipinto da parte degli ’esperti’ – ha contribuito, in modo determinante, all’errore valutativo in cui è incorsa l’amministrazione nel non accorgersi che si stava trattando del dipinto”. Una conferma indiretta giungerebbe dal fatto che il ricorrente ha presentato il dipinto quale anonimo “soggetto biblico” senza ulteriori specificazioni. Secondo il Tar, insomma, “l’errore valutativo commesso dall’Ufficio Esportazioni, in sede di rilascio dell’attestato di libera circolazione, è imputabile con causalità efficiente esclusiva ovvero, comunque, determinante, al comportamento complessivamente tenuto” da chi ha venduto l’opera.

Infine, sulla rarità e sulla qualità del dipinto, una prima conferma arriva secondo il Tar dalle stesse parole di Gasparotto, mai smentite da nessuno dei due ricorrenti (il venditore e il Getty), e in più secondo la relazione storico artistica allegata al diniego di rilascio dell’attestato di libera circolazione l’opera viene non solo giudicata di grande qualità, ma anche rara, dal momento che è reputata opera che si colloca “all’inizio di quel percorso che riporta Bassano dalle eleganze raffinate della Maniera al recupero di brani di realtà che aveva già sperimentato, utilizzando quell’esperienza per dare alla sua pittura una corporeità luminosa che diverrà la sua sigla nei successivi quarant’anni di attività. Questo momento rappresenta un’assoluta rarità nel suo catalogo perché segnato da non più di cinque dipinti, di cui uno solo, L’adorazione dei pastori della Galleria Borghese, è in collezione pubblica italiana”.

La sentenza del Tar non scrive l’ultima parola: si può facilmente immaginare che questo è solo l’inizio di un più che probabile braccio di ferro tra il Getty e il Ministero della Cultura, che potrebbe proseguire al Consiglio di Stato.


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