Dalle tombe siriane ai musei occidentali: il traffico di antichità dopo la caduta di Assad


Il crollo del regime siriano e l’assenza di controlli alimentano il saccheggio sistematico dei siti archeologici. Mentre Facebook diventa il crocevia digitale del traffico illegale, il patrimonio culturale del Paese finisce nelle mani di collezionisti e musei stranieri.

Nelle notti buie di Palmira, gruppi di uomini armati di picconi, pale e martelli pneumatici si muovono silenziosi tra le rovine. L’obiettivo non è la memoria, né la conservazione del passato: cercano tesori sepolti, monete antiche, busti scolpiti, mosaici. Risalgono a oltre 2.000 anni fa, e sono rimasti sottoterra fino a oggi, quando la fine del regime di Bashar al-Assad ha lasciato un vuoto istituzionale e il patrimonio culturale siriano è diventato preda accessibile a saccheggiatori locali e trafficanti internazionali.

La scena si ripete ogni notte in diversi punti del Paese, ma a Palmira, città di origine ellenistica che risale al III secolo a.C., le ferite sono visibili a occhio nudo. Crateri larghi tre metri bucano il paesaggio desertico. Alcuni sono scavati a mano, altri con attrezzature professionali. Parliamo della stessa città che ha già conosciuto la devastazione nel 2015, quando lo Stato Islamico, considerandone le rovine simboli di idolatria, ne ha fatto saltare in aria numerose sezioni.

Mohammed al-Fares con un pezzo di ceramica distrutto dai saccheggiatori in un luogo di sepoltura alla periferia di Palmira. Foto: William Christou
Mohammed al-Fares con un pezzo di ceramica distrutto dai saccheggiatori in un luogo di sepoltura alla periferia di Palmira. Foto: William Christou

Le antiche cripte funerarie, che un tempo custodivano i resti di aristocratici e nobili dell’Impero, oggi sono oggetto di razzia da parte di una popolazione che cerca nelle tombe la sopravvivenza quotidiana. Il fenomeno non è nuovo, ma ha raggiunto livelli inediti da quando, nel dicembre scorso, i ribelli hanno definitivamente rovesciato Assad. Secondo i dati diffusi dall’Antiquities Trafficking and Heritage Anthropology Research Project (ATHAR), quasi un terzo dei 1.500 casi di traffico documentati in Siria dal 2012 si è verificato soltanto negli ultimi mesi. La Siria, incastonata al centro della mezzaluna fertile, è uno dei Paesi con la più alta concentrazione di reperti storici e archeologici del Medio Oriente. Mosaici, statue, iscrizioni, ceramiche: tutto ha un valore. E tutto può essere venduto.

Le motivazioni sono molteplici. Quali? Da un lato, l’impoverimento diffuso, secondo le stime, circa il 90% della popolazione vive in condizioni di povertà. Dall’altro, il crollo dell’apparato repressivo che, per decenni, aveva sorvegliato con severità i siti culturali. Senza più polizia archeologica, esercito o dogane in grado di controllare i flussi in uscita dal Paese, è aumentata l’attività di scavo non autorizzato, ma anche la sofisticazione dei canali di distribuzione dei beni saccheggiati. Molti di questi canali passano per i social network. Facebook, in particolare, è diventato il fulcro del mercato illegale dell’arte. Il progetto ATHAR ha raccolto oltre 26.000 immagini, screenshot e video pubblicati da utenti siriani o mediorientali che vendono manufatti culturali online. Le proposte spaziano da semplici monete romane a mosaici pavimentali completi, fino a busti in pietra o sarcofagi scolpiti. In un video risalente a marzo ad esempio, un uomo mostra con lo smartphone un mosaico ancora nel terreno raffigurante Zeus su un trono. In una foto successiva, la stessa opera appare già estratta e pronta per essere venduta. “Questo è solo uno dei quattro mosaici che abbiamo”, dichiara l’uomo nel video.

“Quando il regime (Assad) è caduto, abbiamo visto un enorme picco sul terreno. È stata una ripartizione completa di qualsiasi vincolo che avrebbe potuto esistere nei periodi del regime che controllavano il bottino”, ha detto Amr al-Azm, professore di storia e antropologia del Medio Oriente presso la Shawnee State University in Ohio e co-direttore del progetto ATHAR.

Un mosaico intatto offerto in vendita su un gruppo Facebook. Foto: su concessione del progetto ATHAR
Un mosaico intatto offerto in vendita su un gruppo Facebook. Foto: su concessione del progetto ATHAR

Le testimonianze raccolte mostrano anche casi in cui i saccheggiatori trasmettono in diretta Facebook gli scavi, chiedendo consiglio ad altri utenti su dove scavare o come valutare i reperti appena emersi. La vendita diretta inizia sul social network e spesso prosegue con la consegna degli oggetti oltre confine, attraverso reti criminali che operano tra Siria, Giordania e Turchia. Una volta superate le frontiere, le antichità vengono munite di documenti falsi che ne attestano una provenienza legale. Dopo un periodo di “quarantena” nel mercato grigio dell’arte, riemergono nelle aste ufficiali o nelle collezioni private di Stati Uniti ed Europa. La risposta delle autorità siriane è stata finora limitata. Il nuovo governo ha infatti promesso incentivi a chi restituisce i reperti e ha previsto pene fino a 15 anni di reclusione per i trasgressori. In ogni caso, le risorse a disposizione sono esigue e le priorità del Paese, ricostruzione urbana, emergenza umanitaria, consolidamento politico, lasciano in secondo piano la tutela del patrimonio archeologico. Alcuni residenti, come Fares, tornato recentemente a Palmira dopo anni di sfollamento, tentano di opporsi ai saccheggi organizzando ronde notturne per sorvegliare le rovine. Ma le pietre frantumate ai piedi dell’Arco di Trionfo e i sarcofagi devastati della Tomba dei Tre Fratelli ricordano che la devastazione è già avvenuta, e prosegue.

“Questi diversi strati sono importanti, quando le persone li mescolano insieme, sarà impossibile per gli archeologi capire cosa stanno guardando”, ha detto Mohammed al-Fares, residente a Palmira e attivista della ONG Heritage for Peace, mentre si trovava nei resti di un’antica cripta riesumata dai saccheggiatori.

“Lo stanno facendo giorno e notte. Ho paura per la mia sicurezza, quindi non mi avvicino a loro”, sostiene un ricercatore con il cane da guardia a Salamiya.

Intanto, nei negozi di Damasco e Homs sono comparsi metal detector professionali, come l’XTREM Hunter, venduto a oltre 2.000 dollari, cifra inaccessibile per la maggior parte dei siriani, ma non per coloro che intravedono nella caccia all’antico una possibile via d’uscita dalla miseria. Gli annunci pubblicitari sui social mostrano utenti comuni scoprire vasi, monete e utensili sepolti, alimentando il mito dell’arricchimento facile. Non tutti i saccheggiatori sono improvvisati. Alcuni operano come parte di vere e proprie organizzazioni, capaci di spostare rapidamente oggetti anche voluminosi come mosaici o sculture. A Tall Shaykh Ali, sito dell’età del bronzo nella Siria centrale, ad esempio, un attivista ha documentato con un video la distruzione sistematica di tombe e strutture. Ogni pochi metri, buchi profondi cinque metri costellano il terreno, scavature che richiedono l’impiego di macchinari pesanti. In altri casi, i mosaici sono stati rimossi integri dal suolo, senza danni visibili, segno dell’intervento di personale qualificato.

I sarcofagi nella Tomba dei Tre Fratelli a Palmira furono decapitati durante il dominio dell'IS. Foto: William Christou / The Guardian
I sarcofagi nella Tomba dei Tre Fratelli a Palmira furono decapitati durante il dominio dell’IS. Foto: William Christou / The Guardian

“Gli ultimi tre o quattro mesi sono stati la più grande ondata di traffico di antichità che abbia mai visto, da qualsiasi paese”, aggiunge Katie Paul, co-direttrice del progetto ATHAR e direttrice del Tech Transparency Project. “Questo è il più veloce che abbiamo mai visto vendere manufatti. Prima, ad esempio, un mosaico che veniva venduto da Raqqa impiegava un anno. Ora, i mosaici vengono venduti in due settimane. Il traffico di beni culturali durante il conflitto è un crimine, qui hai Facebook che agisce come veicolo per il crimine. Facebook sa che questo è un problema”.

Inoltre, Paul ha precisato di tenere sotto osservazione decine di gruppi dedicati al commercio di antiquariato su Facebook, alcuni dei quali superano i 100.000 iscritti; il principale conta circa 900.000 membri. Le autorità internazionali e le grandi piattaforme digitali hanno reagito con ritardo. Facebook ha annunciato nel 2020 un divieto assoluto di vendita di beni archeologici, impegnandosi a rimuovere ogni contenuto in violazione della policy. Ad ogni modo, secondo gli esperti del progetto ATHAR, l’applicazione di tali regole è sporadica e inefficace. Meta, la società madre di Facebook, ha evitato di commentare i risultati dell’inchiesta. Il flusso di beni continua. Le antichità siriane si muovono attraverso le frontiere, assumono una nuova identità nei documenti, e finiscono nelle vetrine delle case d’asta di Londra, Parigi, New York. Il ciclo può durare anche 10 o 15 anni, tempo sufficiente per rendere irrintracciabile la provenienza originaria. I pezzi vengono “ripuliti”, legalizzati e venduti a prezzi astronomici a collezionisti o istituzioni culturali che, spesso inconsapevolmente, alimentano il mercato. Il dibattito si sposta allora fuori dalla Siria. Secondo gli esperti, il solo modo per arginare il fenomeno è intervenire sulla domanda, responsabilizzando gli acquirenti occidentali e obbligando le case d’asta a verificare la provenienza dei beni. Ma i precedenti mostrano che la regolamentazione internazionale fatica a seguire la velocità del traffico, e i controlli sui documenti sono spesso formali.


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Noemi Capoccia

L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia

Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.




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