Il settore dell’arte in Francia si solleva contro un progetto di legge che potrebbe colpire significativamente l’arte: si tratta della proposta di revisione dell’Imposta sul Patrimonio Immobiliare (IFI, impôt sur la fortune immobilière), che è dovrebbe adesso diventare, mantenendo la stessa sigla, una “Imposta sulla Fortuna Improduttiva” (impôt sur la fortune improductive). Questo prelievo, istituito nel 2018 in sostituzione dell’Imposta di Solidarietà sulla Fortuna (ISF), a suo tempo criticata dal governo come dannosa per l’economia nazionale, mantiene la soglia di applicazione, è una tassa che viene applicata alle persone fisiche il cui patrimonio netto imponibile supera 1,3 milioni di euro. La revisione intende disincentivare specifici investimenti classificati come “improduttivi” – tra cui la speculazione immobiliare o i piazzamenti di rendita – e che, secondo gli estensori, offrono un contributo limitato o nullo al dinamismo economico del tessuto nazionale.
L’adozione della nuova patrimoniale non comporterebbe solo un cambio di nome, ma soprattutto un ampliamento della base imponibile. Sebbene l’aliquota sia stabilita all’1% sulla fortuna improduttiva, il patrimonio preso in considerazione, a seguito della revisione, non sarebbe più limitato esclusivamente ai beni immobiliari, ma andrebbe a includere diversi attivi finanziari scarsamente investiti nell’economia reale, come ad esempio i fondi in euro delle assicurazioni vita, gli attivi digitali, tra cui le criptovalute, e alcuni beni di lusso selezionati, come gli yacht, i jet privati, le automobili da collezione e, appunto, le opere d’arte. Al momento la proposta di legge è in fase di discussione al Parlamento francese: l’emendamento alla legge sull’imposta sul patrimonio, incluso nella legge di bilancio, è stato approvato alla Camera grazie a una maggioranza insolita, composta dai centristi di MoDem, dal partito socialista e dall’estrema destra di Rassemblement National, mentre si sono espressi contro La France Insoumise (sinistra radicale), i Verdi, il partito di centro-destra Horizons e i Republicains, tutti per motivi diversi, spesso anche opposti. Il governo ha espresso parere sfavorevole, poiché ritiene che siano ancora poco chiare le conseguenze sul bilancio.
Proprio l’inclusione delle opere d’arte nella base imponibile della nuova Imposta sulla Fortuna Improduttiva ha scatenato una forte reazione e preoccupazione nel mondo culturale e patrimoniale. Il Syndicat des Négociants en Art (SNA), il sindacato dei mercanti d’arte, ha immediatamente lanciato un allarme sulle possibili conseguenze economiche e culturali di una tale misura, evidenziando come essa metterebbe a rischio la vitalità del mercato dell’arte e la capacità di influenza internazionale della Francia. Il SNA e il Comité Professionnel des Galeries d’Art (CPGA), insieme ad altre organizzazioni, ritengono che la qualificazione delle opere d’arte come “attivi improduttivi” derivi da una “profonda incomprensione del ruolo essenziale che esse svolgono”, scrivono in una nota. Le opere d’arte, ricorda la sigla, contribuiscono attivamente alla vitalità culturale ed economica del Paese: alimentano il mercato, promuovono il mecenatismo e arricchiscono il patrimonio nazionale.
Le conseguenze paventate dal mondo dell’arte sono molteplici. Vi è il timore di una probabile fuga di collezioni e patrimonio al di fuori del territorio francese, un rallentamento del dinamismo economico e culturale dell’intero settore, e un significativo indebolimento delle istituzioni museali, che verrebbero private di importanti donazioni e di dations (il pagamento di imposte attraverso la cessione di opere d’arte). Imponendo un dispositivo fiscale di questo tipo, la Francia rischierebbe, secondo il settore dell’arte, di compromettere uno dei suoi maggiori vantaggi strategici: il suo prestigio culturale e l’attrattività a livello internazionale.
Il Syndicat des Négociants en Art ha richiamato pertanto i politici al buon senso e alla responsabilità, ricordando che la difesa della cultura implica la protezione di un intero ecosistema professionale. Questo ecosistema comprende, oltre ai collezionisti, le gallerie, i mercanti, gli artigiani, i restauratori, i trasportatori, le case d’asta e tutti i mestieri collaterali associati al mercato dell’arte.
Anche il Comité Professionnel des Galeries d’Art (CPGA) si è mobilitato con urgenza per tutelare l’esenzione fiscale dei beni culturali e la stabilità del mercato francese.
Su iniziativa del CPGA, si è formata una vasta coalizione, composta da quasi trenta organizzazioni del mondo dell’arte, che ha elaborato una dichiarazione congiunta e l’ha trasmessa alle autorità pubbliche. Questa coalizione include, tra gli altri, il SLAM (Syndicat national de la Librairie Ancienne et Moderne), la CEA (Compagnie des Experts en Art et Antiquités), l’UFE (Union Française des Experts en objets d’art) e la FNEPSA (Fédération Nationale d’Experts Professionnels Spécialisés en Art).
Gli operatori del settore sottolineano, nella loro dichiarazione, che la vitalità dell’ecosistema culturale si basa sulla circolazione delle opere e sull’impegno degli attori privati. In Francia, le opere non costituiscono un capitale sterile ma sostengono l’intero ecosistema della diffusione e della creazione, che include artisti, esperti, gallerie, case d’asta, restauratori, artigiani e trasportatori specializzati. Il mercato dell’arte genera più di 5 miliardi di euro in vendite, supportando l’attività di circa 30.000 artisti francesi e creando, secondo la coalizione dei contrari, oltre 60.000 posti di lavoro diretti ai quali si aggiungono più di 100.000 impieghi indiretti, raggiungendo un livello paragonabile a quello del settore editoriale o della pubblicità. Le entrate fiscali prodotte dal settore provengono prevalentemente dall’attività economica e dai posti di lavoro che essa sostiene. Una contrazione del mercato, causata dalla tassazione, porterebbe inevitabilmente a un calo del fatturato delle strutture culturali ed economiche, con conseguente diminuzione dell’occupazione e perdite fiscali stimate tra i 245 e i 457 milioni di euro, o addirittura tra i 305 e i 578 milioni di euro includendo tutte le industrie ausiliarie. La stabilità fiscale è, pertanto, considerata un interesse nazionale vitale, oltre che culturale.
I professionisti evidenziano anche un paradosso fondamentale: se l’imposta mira a reindirizzare il risparmio verso investimenti produttivi o a contrastare l’ottimizzazione fiscale, nella pratica essa penalizzerebbe indistintamente un settore la cui prosperità dipende dalla circolazione delle opere. Per quanto riguarda la tassazione delle holding patrimoniali, che mira a evitare l’utilizzo di strutture societarie per ospitare attivi privati senza attività economica, l’estensione ai beni culturali non terrebbe conto del reale funzionamento del mercato. Molti collezionisti a livello globale utilizzano infatti persone giuridiche, quali fondazioni o società familiari, per ragioni legate alla conservazione, alla gestione patrimoniale, al prestito o alla trasmissione delle opere. Assimilare queste modalità di detenzione a pratiche abusive equivarrebbe, secondo il CPGA e le sigle associate, a sanzionare un utilizzo comune e trasparente, indispensabile per la circolazione dei beni d’arte. Tassando il patrimonio culturale, le misure mancherebbero il loro bersaglio, indebolendo al contempo l’ecosistema creativo.
Uno degli allarmi più significativi riguarda la probabile fuga delle collezioni e del patrimonio fuori dal territorio francese. In un momento in cui la Francia sta recuperando terreno rispetto a Londra nel sistema post-Brexit, l’introduzione di una tassa sulla detenzione di opere spingerebbe, secondo il comitato dei contrari, i collezionisti a organizzare le loro transazioni, depositi e strutture di conservazione verso giurisdizioni percepite come fiscalmente più ospitali, come il Regno Unito, la Svizzera o gli Stati Uniti. Se tale imposta fosse adottata, la Francia diventerebbe l’unica grande piazza del mercato dell’arte, diversamente da Hong Kong, Stati Uniti e Regno Unito, a imporre una tassazione patrimoniale sulla semplice detenzione di opere. Le conseguenze immediate potrebbero includere il calo delle vendite, l’esternalizzazione delle collezioni, la perdita di mandati per esperti e case d’asta francesi, e la rilocalizzazione delle aste a New York o Londra. Questo shock fiscale rischierebbe di annullare la dinamica di ripresa del settore, nonostante i segnali positivi registrati di recente.
C’è poi l’argomento della minaccia diretta al patrimonio nazionale e all’arricchimento delle collezioni pubbliche. Ogni anno, le collezioni nazionali e territoriali si arricchiscono di circa 250 milioni di euro in opere, provenienti da lasciti, donazioni, dations e mecenatismo privato. Senza questi trasferimenti, molti capolavori non sarebbero accessibili al pubblico. Esempi storici che hanno costruito la ricchezza delle collezioni francesi, dalle dations fondatrici del Museo Picasso ai contributi essenziali per il Louvre e Orsay, testimoniano l’importanza cruciale di questi trasferimenti.
L’introduzione della tassa provocherebbe, secondo il CPGA, un probabile ritiro dei mecenati privati, i quali sono spesso grandi collezionisti e attori chiave nella formazione delle future collezioni pubbliche. La loro assenza determinerebbe un impoverimento immediato del patrimonio nazionale, che lo Stato non sarebbe in grado di compensare autonomamente; ad esempio, il budget annuale per l’acquisizione del Museo Nazionale d’Arte Moderna è limitato a soli due milioni di euro.
Inoltre, indebolendo gli intermediari (gallerie, antiquari, case d’asta, esperti), verrebbe colpita la creazione artistica vivente. Tali attori finanziano infatti la produzione degli artisti, ne garantiscono la visibilità e sostengono la protezione sociale degli autori. Un calo delle vendite si tradurrebbe in una diminuzione dei contributi dei diffusori, delle imposte sulle società, dei contributi sociali, della percezione dell’IVA e, in ultima analisi, delle risorse pubbliche: l’imposta, in sostanza, distruggerebbe la sua stessa base imponibile.
Infine, si aggiunge una notevole difficoltà pratica: l’unicità delle opere rende la loro valutazione estremamente complessa, dipendente da quotazioni variabili e mercati fluttuanti. Stabilire basi imponibili per tali beni genererebbe contenziosi amministrativi considerevoli, con costi che probabilmente supererebbero il modesto rendimento fiscale previsto. Studi precedenti, condotti in occasione di tentativi passati di includere le opere nell’ISF, avevano già indicato che le entrate sarebbero state marginali, limitandosi a qualche decina di milioni di euro, equivalenti all’1-2% del gettito totale di allora. La dichiarazione si conclude con un appello solenne ai decisori politici affinché escludano in modo esplicito gli oggetti d’arte, di collezione e d’antiquariato dall’imposta.
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