Iperqualificati, sfruttati, malpagati. 8 lavoratori della cultura su 10 guadagnano meno di 15mila euro l'anno


Sconcertanti i risultati dell’inchiesta di ’Mi Riconosci’ sul lavoro nella cultura: 8 lavoratori su 10 guadagnano meno di 15mila euro l’anno.

Iperqualificati ma sfruttati, malpagati, privi di stabilità, incapaci di costruire un futuro sereno: questo è il triste quadro di molti professionisti della cultura, secondo i dati raccolti dal movimento Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali, che ha dedicato l’inchiesta Il lato oscuro dei beni culturali alle condizioni di lavoro di chi opera nel settore della cultura. E i risultati sono tutt’altro che confortanti.

L’indagine è stata condotta su 1.546 professionisti. “Lo sviluppo e la sistemazione dei dati”, ci fa sapere Daniela Pietrangelo di Mi Riconosci, “hanno richiesto molto tempo. È stato abbastanza complesso cercare di dare ordine ad a una situazione incredibilmente complessa e articolata come quella del lavoro culturale, che si basa su tante forme di contratto in uso, capire chi non ha un contratto come viene inquadrato. I mezzi da noi utilizzati per la raccolta dati sono molto semplici, non disponiamo di programmi specifici. Abbiamo raccolto i dati, li abbiamo ripuliti, e abbiamo provato ad incrociare alcune risposte per avere un quadro molto più dettagliato.Abbiamo poi letto le oltre 350 testimonianze che le lavoratrici e i lavoratori ci hanno lasciato a fine questionario, molte davvero toccanti. Ci hanno raccontato le tante difficoltà, l’impossibilità di continuare a svolgere lavori sottopagati, molti svolgono più mansioni senza alcun riconoscimento neppure economico, molti lamentano ore fuori busta paga che non vengono calcolate nello stipendio; stress da turni massacranti con pause pranzo pressoché investimenti, c’è chi è costretto a mangiare a terra e molto altro”.

I dati riguardano professionisti di tutte le età. L’11% ha tra i 19 e i 26 anni, il 65% ha tra i 27 e i 39 anni, la fascia tra i 40 e i 49 anni è del 16%, sono il 6% i professionisti tra i 50 e i 59 anni mentre gli ultrasessantenni intervistati rappresentano il 2% del campione. Come anticipato, le qualifiche sono molto alte: il 56% degli intervistati ha una laurea specialistica o magistrale, il 15% ha terminato gli studi presso una scuola di specializzazione, il 3% ha un titolo post lauream, l’8% un dottorato di ricerca, l’1% ha un diploma di un’Accademia di Belle Arti o comunque di un istituto AFAM, mentre è laureato alla triennale il 17% del campione. Per quanto riguarda il luogo di lavoro: il 29,33% lavora al museo, il 15,94% in biblioteca, il 15,7% presso privati (fondazioni, cooperative, associazioni, società ecc.), l’11,84% in un cantiere, il 5,37% in archivio, il 4,74% presso altri enti pubblici (per esempio comuni, province, regioni), il 4,55% in un parco archeologico, il 3,64% all’università, il 2,28% a teatro, l’1,73% presso una soprintendenza, l’1,46% a scuola, l’1,46% presso uno spazio espositivo, l’1% in una galleria d’arte, lo 0,27% presso un parco naturale, lo 0,82% presso altre sedi. Degli intervistati, il 28% ha riferito di lavorare in più luoghi di lavoro in contemporanea. Nel 33,58% dei casi il datore di lavoro è una cooperativa, nel 23,74% un ente privato di altra natura, nel 23,30% un ente pubblico, nel 13,98% si tratta di enti misti, nel 5,18% di fondazioni onlus o no profit, altri datori rappresentano invece lo 0,22%.

Nel 75% dei casi i lavoratori intervistati hanno un contratto. Lavora a tempo indeterminato il 34,17% degli intervistati. Tutti gli altri hanno contratti a termine o di diversa natura: contratti a tempo indeterminato per il 22,26%, a chiamata per il 10,56%, co.co.co. per il 9,04%, a progetto il 6,70%, il 6,17% è in servizio civile, stage per il 5,65%, borsa di ricerca per il 2,35%, apprendistato per l’1,48%, interinale o in somministrazione l’1,22%. I lavoratori privi di contratto (il 25% degli intervistati) lavora con partita IVA nel 33% dei casi (una scelta obbligata dal datore di lavoro per il 78% degli intervistati), dietro prestazione occasionale nel 53%, a rimborso spese nel 13%, in altre forme per l’1% dei casi.

Veniamo ora alle retribuzioni: la maggioranza, il 62%, guadagna meno di 12 euro l’ora, il 45% meno di 8 euro. In particolare: il 34,02% guadagna tra i 4 e gli 8 euro, il 28,28% tra gli 8 e i 12 euro, l’11,54% meno di 4 euro, l’8,17% tra i 12 e i 16 euro, il 4,41% tra i 16 e i 20 euro. Solo il 6% guadagna più di 20 euro l’ora: il 2,46% tra i 25 e i 30 euro, il 2,40% tra i 20 e i 25 euro, l’1,04% tra i 30 e i 40 euro, lo 0,58% tra i 40 e i 50 euro, lo 0,19% più di 50 euro. Molto bassi anche i guadagni annui: l’80% dichiara meno di 15 mila euro (il 38% meno di 5mila euro l’anno, il 25% tra i 5 e i 10mila euro, il 17% tra i 10 e i 15mila euro). Guadagni tra i 15 e i 20mila euro per l’11% degli intervistati, tra i 20 e i 30mila euro per l’8%, tra i 30 e i 40mila euro per l’1%. Mediamente guadagna di più chi riesce ad avere committenti di diversa natura. I più svantaggiati secondo la ricerca risultano invece i lavoratori in forza presso amministrazioni pubbliche e cooperativa, che secondo Mi Riconosci fanno largo uso di manodopera a bassissimo costo, con paghe anche di meno di 4 euro l’ora. Le più marcate disuguaglianze si hanno invece presso chi lavora per fondazioni o no profit, dove si trovano lavoratori che percepiscono meno di 4 euro l’ora a fianco di chi invece guadagna anche tra i 40 e i 50 euro l’ora. Tendenzialmente, è stato rilevato che i titoli di studio non sono una garanzia di paghe migliori. Infine, il 75% dichiara di ricevere paghe regolari da contratto, mentre solo il 59% dichiara di aver lavorato per un monte ore corrispondente a quello per cui si è ricevuta la paga. Solo il 40% dichiara che il proprio titolo professionale e le proprie competenze corrispondono alle mansioni svolte (in parte per il 42%, no per il 18%).

“L’obiettivo di questa inchiesta”, ci ha dichiarato Ester Lunardon, anche lei attivista di Mi Riconosci, “è sicuramente quello di puntare i riflettori su questa realtà, che è sconvolgente, e che tuttavia a lungo è rimasta sconosciuta ai non addetti ai lavori: certo, tutti coloro che lavorano nel settore conoscono la situazione, ma quando qualcuno che non è del settore viene a sapere, ad esempio, che l’80% delle persone che lavorano nella cultura guadagna meno di 15mila euro l’anno, allora la reazione più diffusa è quella dello stupore, prima ancora dell’indignazione, perché si tratta proprio di una realtà che è stata a lungo lasciata nell’ombra. Ed è anche per questo che abbiamo deciso di titolare l’inchiesta Il lato oscuro nei beni culturali”.

Sono dati che colpiscono, le fa eco Pietrangelo. “Ci chiediamo perché nessuno controlla tutto ciò? Perché pur avendo un contratto specifico, un buon contratto, questo non viene imposto per legge? È assurdo che si facciano gli interessi sempre e solo delle imprese culturali. Chi tutela e difende i lavoratori?”.

I dati di Mi Riconosci verranno presentati in un calendario d’incontri in giro per l’Italia: le prime date sono il 4 novembre a Viterbo, il 5 a Roma, l’8 ad Ancona, il 13 a Matera e a Cagliari, il 14 a Padova, mentre altri incontri saranno annunciati a breve sulla pagina Facebook del movimento. Dall’inchiesta emergono anche tre richieste avanzate dai professionisti della cultura: una norma che limiti l’uso del volontariato, un nuovo regolamento che riveda i criteri di appalti ed esternalizzazioni, l’applicabilità del giusto contratto collettivo nazionale del lavoro per i lavoratori del settore cultura. “C’è una proposta di legge”, aggiunge Lunardon, “che abbiamo avanzato e che è stata a lungo ignorata, ma continuando a parlare dell’argomento e cercando l’attenzione dei media noi ribadiamo il fatto che la necessità di regolamentare il volontariato è sempre più evidente. E poi anche un nuovo gran parte dei problemi e delle condizioni di lavoro nostre derivano proprio dall’esternalizzazione, dal sistema di appalti che non prevede alcuna tutela per i lavoratori. Infine, chiediamo delle regole anche per l’applicazione dei giusti contratti collettivi nazionali: il contratto Federculture, che pure esiste, viene applicato solo nel 7% dei casi”.

“La nostra inchiesta”, conclude Pietrangelo, “seppure si basi su un piccolo campione, è comunque significativa. E ci stupisce molto che un’analisi di questo tipo non sia stata condotta e richiesta da chi dovrebbe controllare e tutale le nostre condizioni di lavoro. Ora ci aspettiamo una presa di posizione forte da parte della politica e del Ministro e che si creino leggi sensate”.

Iperqualificati, sfruttati, malpagati. 8 lavoratori della cultura su 10 guadagnano meno di 15mila euro l'anno
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