Princeton toglie l'obbligo di studiare greco e latino perché razzisti? Non proprio


Circola in Italia la voce secondo cui il Dipartimento di Studi Classici di Princeton ha rimosso l’obbligo del greco e del latino perché materie razziste. Ovviamente non è così, ma la questione è comunque molto delicata. 

Il Dipartimento di Studi Classici della prestigiosa università di Princeton, negli Stati Uniti, ha eliminato l’obbligo di studiare il latino e il greco per i suoi studenti: la decisione del consiglio di facoltà è stata presa ad aprile ma è stata resa nota solo negli ultimi giorni. I corsi di base richiedevano infatti una verifica delle competenze intermedia in greco e in latino per accedere ai corsi specialistici: questa verifica è stata eliminata. Il motivo? Lo spiega la stessa università in una nota: in pratica, si vuole favorire l’accesso di studenti che, prima dell’università, non avevano mai studiato il greco e il latino. “Le nostre conversazioni con gli studenti del primo livello”, si legge nel comunicato, “hanno rilevato che un requisito linguistico minimo agisce come deterrente per potenziali specializzandi e non è efficace come mezzo per indurre gli studenti a intraprendere lo studio del greco antico o del latino. Riteniamo che un approccio basato sull’inclusione e sulla persuasione sarà più efficace nell’incoraggiare lo studio della lingua rispetto a uno basato sulla coercizione”.

Prima, tendenzialmente, il dipartimento di studi classici era frequentato per lo più da studenti in arrivo da scuole dove il greco e il latino erano materie di studio (negli Stati Uniti si tratta quasi sempre di scuole di élite), e con questa mossa l’università spera pertanto di allargare la base dei suoi studenti. “Siamo fiduciosi”, si legge nella nota, “nell’attrattiva che lo studio del greco antico e del latino conserva, e vediamo i nostri cambiamenti come un mezzo per far crescere il campo (incluso lo studio delle lingue) rimuovendo le barriere all’ingresso”.

Insomma: stando così le cose, ufficialmente non viene eliminato l’obbligo di dare gli esami di greco e latino perché sarebbero materie razziste, secondo i travisamenti che sono arrivati in Italia, ma perché probabilmente è visto come razzista il sistema che porta gli studenti che non studiano greco e latino a scuola a scartare gli studi classici all’università. È quanto dice alla rivista Princeton Alumni Weekly il direttore degli studi di primo livello, Josh Billings, secondo il quale la decisione è “dettata dall’urgenza” di affrontare il “razzismo sistemico dell’università” e “gli eventi attorno alla questione della razza avvenuti la scorsa estate”. “Pensiamo che avere nuove prospettive in questo campo di studi lo renderà migliore”, ha detto Billings. “Avere studenti che arrivano qui e che potrebbero non aver studiato materie classiche al liceo, e quindi potrebbero non aver affrontato prima il greco e il latino, potrebbero dare vita a una comunità intellettuale più vibrante”.

E c’è poi il fatto che, secondo i nuovi orientamenti dell’università, gli studi classici sarebbero considerati in una maniera molto più ampia. È la linea sposata dalla rivista The Daily Princetonian, il quotidiano indipendente degli studenti di Princeton: “Alcuni sostengono che il latino e il greco antico siano il nucleo dei classici e che questo cambiamento curricolare vanifichi lo scopo dello studio”, si legge in un editoriale firmato da Emma Treadway, direttrice della testata. “Ma per me, definire lo studio dei classici come lo studio del latino o del greco antico è incredibilmente limitante. La conoscenza di queste lingue migliora sicuramente lo studio del mondo antico, ma i classici sono molto più grandi di così. In realtà, studiare i classici significa esplorare il mondo antico del Mediterraneo, del Nord Africa, della Gran Bretagna e oltre. Studiare i classici significa immergersi nella filosofia, nella storia e nell’archeologia. E, probabilmente più importante, studiare i classici significa capire come il mondo di ieri ha contribuito e rafforzato le dure realtà di razza e misoginia di oggi”.

Sempre Treadway plaude alla decisione dell’università sottolineando, come detto, il fatto che è vista come un’opportunità per gli studenti svantaggiati: “Non sto sostenendo che il latino o il greco antico siano irrilevanti per il classicista moderno”, afferma. “Io stesso sono arrivata ai classici (e a Princeton) attraverso le lingue, e continuo a credere nei profondi benefici che offrono. Il dipartimento di studi classici, sopprimendo il requisito linguistico per gli specializzandi, non ne ignora l’importanza: stanno, piuttosto, incoraggiando fortemente gli studenti a continuare a seguire questi corsi. Tuttavia, per alcuni studenti, l’assenza del requisito linguistico offre ampio spazio per approfondire sottocampi unici e inesplorati, molti dei quali non sono centrati sullo studio della lingua. Io stessa sto esplorando i collegamenti tra i classici e la politica educativa americana, e la flessibilità del dipartimento mi ha permesso di esplorare appieno questo interesse. Altri critici si sono chiesti come questo cambiamento migliorerebbe il campo o perché è necessario introdurre nuove prospettive in primo luogo. Risponderò dalla mia esperienza: in breve, il requisito linguistico può essere un ostacolo significativo per gli studenti provenienti da contesti svantaggiati”.

Ci sono però anche punti di vista molto critici: tra questi, quello di John McWhorter, linguista della Columbia University. “Fino a oggi, gli studenti di primo livello che volevano laurearsi in materie classiche dovevano accedere alla specializzazione almeno con un livello intermedio di latino o greco”, ricorda in un articolo sulla rivista The Atlantic. “Adesso quegli studenti non dovranno più nemmeno imparare nessuna delle due lingue per ricevere una laurea in lettere classiche. Questo è un tipico esempio di un’università che si affretta ad apportare cambiamenti politici con il pretesto di promuovere l’equità razziale, con tentativi che però sembrano più promuovere il razzismo che sradicarlo. La motivazione ufficiale della nuova policy non menziona esplicitamente argomenti di carattere razziale”. McWhorter riferisce di aver avuto a questo punto uno scambio con Billings, che ha detto: “uno studente che non ha studiato latino o greco ma che, mettiamo, ha competenze in letteratura danese, secondo me potrebbe rilevare questioni interessanti nei testi classici e sarebbe in grado di fare ricerche altrettanto interessanti sui modi in cui i testi classici sono stati letti e discussi in Danimarca”. Secondo McWhorter non è una forzatura, ma a suo avviso la nuova direzione intrapresa da Princeton ha ragioni più profonde. Lo studioso fa riferimento a una dichiarazione generale sul sito del Dipartimento di Studi Classici, dove si legge che “la storia del nostro dipartimento testimonia il posto dei classici nel lungo arco del razzismo sistemico”, e che intento del dipartimento è quello di creare “opportunità per l’avanzamento di studenti e (futuri) colleghi provenienti da ambienti storicamente sottorappresentati all’interno della disciplina”.

Ma a suo avviso la decisione rischia di rivelarsi un boomerang, in quanto disincentiverebbe lo studio del latino e del greco (secondo McWhorter la rimozione dell’obbligo non è di per sé un incentivo allo studio), e soprattutto sarebbe animata da un razzismo non minore di quello che vuole combattere. “I professori”, afferma il linguista, “possono pensare al cambiamento come una risposta al razzismo, ma l’intenzione implicita (risparmiare agli studenti neri lo sforzo di imparare il latino o il greco) può essere interpretata come razzista stessa”. Insomma: “la nuova posizione di Pricenton equivale a dire che il latino e il greco sono troppo difficili per gli studenti neri”. Ci sono poi problemi di ordine pratico: “Tutti i classicisti riconoscono che, in realtà, è necessario conoscere le lingue per comprendere appieno i testi”, spiega. “Questo vale anche per altre letterature. Ad esempio, leggere Guerra e pace tradotto, come hanno fatto molti lettori americani durante la pandemia di coronavirus, spesso significa perdere le sfumature russe che vengono evitate dal traduttore. Il greco antico era pieno di particelle che trasmettevano cose che l’inglese spesso fa solo con intonazione o implicazione".

La discussione, insomma, è aperta, ma di sicuro negli Stati Uniti ha preso una piega più raffinata rispetto a quella che sta prendendo in Italia.

Nella foto: l’università di Princeton

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