Importante scoperta a Verona, dove la storica Federica Gigante, che sta svolgendo un post-dottorato al Christ College di Cambridge, ha scoperto un raro astrolabio presso la Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo. Si tratta di uno strumento astronomico adattato, tradotto e corretto nel corso dei secoli da utilizzatori musulmani, ebrei e cristiani in Spagna, Nord Africa e Italia. Un astrolabio è un modello bidimensionale portatile dell’universo che sta nella mano dell’utente e consentiva di calcolare il tempo, le distanze, tracciare la posizione delle stelle e, secondo le credenze antiche, persino prevedere il futuro, formulando un oroscopo.
Federica Gigante è esperta di astrolabi islamici (è anche curatrice delle collezioni islamiche presso l’History of Science Museum di Oxford): è riuscita a datare e localizzare la creazione di quello che adesso è ormai “l’astrolabio di Verona” studiandone le caratteristiche fondamentali. L’astrolabio presenta una “rete”, un disco forato che rappresenta una mappa del cielo. Dallo stile dell’incisione sull’astrolabio e dalla disposizione delle scale sul retro, Gigante lo ha abbinato a strumenti realizzati nel territorio di Al-Andalus, ovvero la Spagna dominata dai musulmani nell’XI secolo. E analizzando la posizione delle stelle sulla rete, è possibile calcolare che furono collocate nella posizione che avevano le stelle alla fine dell’XI secolo, rendendola una delle prime opere conosciute del suo genere realizzate in Spagna. La posizione delle stelle corrisponde molto fedelmente alla posizione degli indicatori stellari delle reti della fine dell’XI secolo, in particolare della rete dell’astrolabio di Oxford di Ibrāhīm ibn Saʿīd al-Sahlī realizzato a Toledo nel 1068 d.C. È quindi probabile che le la rete originale risalga alla fine dell’XI secolo (o quanto meno si basava sulle coordinate stellari del tempo). Infine, lo stile calligrafico della rete è compatibile con un oggetto realizzato nel XI/XII secolo, dando così ulteriore credito alla datazione.
L’astrolabio, secondo la storica, potrebbe essere stato realizzato a Toledo in un’epoca in cui la città era un fiorente centro di convivenza e scambio culturale tra musulmani, ebrei e cristiani. I nomi ebraici in caratteri arabi incisi sull’astrolabio suggeriscono che circolasse nella comunità ebraica sefardita in Spagna, che parlava la lingua araba. Una seconda targa, aggiunta successivamente, reca iscrizioni del Nord Africa, suggerendo che a un certo punto della sua vita l’oggetto venne forse usato in Marocco o in Egitto.
“Quando ho visitato il museo e ho studiato l’astrolabio da vicino, ho notato che non solo era ricoperto di iscrizioni arabe splendidamente incise, ma che potevo scorgere deboli iscrizioni in ebraico. Le distinguevo solo nella luce radente che entrava da una finestra. Pensavo che forse stavo sognando, ma continuavo a vedere sempre di più. È stato molto emozionante. Aggiunte e traduzioni ebraiche suggeriscono che a un certo punto l’oggetto lasciò la Spagna o il Nord Africa e circolò tra la comunità ebraica della diaspora in Italia, dove l’arabo non era compreso e veniva invece usato l’ebraico”.
La Verona del XII secolo ospitò infatti una delle comunità ebraiche più antiche e importanti d’Italia. Si ritiene che l’astrolabio sia entrato nella collezione del nobile veronese Ludovico Moscardo (1611–1681) prima di passare per matrimonio alla famiglia Miniscalchi (gli inventari seicenteschi della famiglia Moscardo contengono riferimenti a più astrolabi, ma a quanto è dato sapere soltanto quello della Fondazione Miniscalchi-Erizzo è giunto sino ai giorni nostri). Nel 1990 questa famiglia ha fondato la Fondazione Museo Miniscalchi-Erizzo dove oggi è conservato l’astrolabio. “Questo non è solo un oggetto incredibilmente raro. È un’importante testimonianza dello scambio scientifico tra arabi, ebrei e cristiani nel corso di centinaia di anni”, ha detto Gigante.
Un articolo scientifico sulla scoperta è stato pubblicato il 1° marzo sulla rivista Nuncius. L’astrolabio, si legge nell’articolo, ricorda da vicino le raccomandazioni prescritte dall’eclettico ebreo spagnolo Abraham Ibn Ezra (1089–1167) nel più antico trattato sopravvissuto sull’astrolabio in lingua ebraica, scritto nel 1146 proprio a Verona. Il trattato di Ibn Ezra presuppone una conoscenza preesistente dell’astrolabio presso la comunità ebraica veronese, dimostrando che lo strumento doveva essere già popolare. Non parla di un oggetto particolare, ma di un tipo generico di astrolabio, probabilmente del tipo che circolava nella Verona del XII secolo tra la comunità ebraica. Lo strumento che descrive era inciso in arabo, era originariamente un oggetto musulmano e presentava linee di preghiera musulmane, ed è stato creato per i territori sotto il dominio musulmano, come il nostro astrolabio: tutte caratteristiche riscontrabili nell’astrolabio di Verona.
Per via della sua provenienza, l’astrolabio di Verona è ritenuto uno dei primi astrolabi islamici documentati nell’Italia della prima età moderna ancora conservati oggi. È composto dalla madre, da due piastre, di cui una sostitutiva, e da una rete. Mancano l’alidada, lo spillo e il cavallo. L’astrolabio non è datato, ma è firmato sul retro con quella che sembra un’aggiunta successiva (fig. 10). La firma, che “per Isḥāq […]/l’opera di Yūnus”, comprende anche una vistosa cancellazione della parola che segue il nome del dedicatario, suggerendo che un possibile patronimico sia stato volontariamente cancellato. I due nomi, Isḥāq e Yūnus, cioè Isacco e Giona in inglese, potrebbero essere nomi ebraici scritti in caratteri arabi, dettaglio che potrebbe far pensare che l’oggetto circolasse ad un certo punto all’interno di una comunità ebraica sefardita in Spagna, dove l’arabo era la lingua franca. La scrittura rotonda e corsiva della firma è in netto contrasto con le incisioni cufiche più piccole sul resto dell’oggetto, segnalando così la presenza di una mano diversa.
Poi, durante la sua storia, l’astrolabio dovette passare nelle mani di un proprietario che aggiunse numeri occidentali, probabilmente un parlante di lingua latina o romanza. Il motivo per cui le aggiunte di numeri occidentali sono molteplici e addirittura in disaccordo tra loro è più difficile da spiegare poiché la mano che li intaglia sembra coerente ovunque: dato che alcune sono semplici traduzioni e non modificano il valore dei numeri arabi, mentre altre differiscono da esso, si può ipotizzare che un utilizzatore non arabo e non ebreo le abbia aggiunte probabilmente quando l’oggetto era già in Italia, e che la presenza di più valori mostra l’utilizzatore alle prese con la lettura del valore sullo strumento, piuttosto che su quello arabo.
L’astrolabio di Verona appare, quindi, come una sorta di palinsesto che rivela i bisogni e le mani di più utenti utilizzatori attraverso l’aggiunta, la modifica e la cancellazione di informazioni in esso contenute. L’astrolabio originale è un raffinato strumento medievale andaluso, realizzato nella penisola islamica spagnola nell’XI secolo, che in seguito passò nelle mani di uno o forse più proprietari ebrei così come di uno o più proprietari italiani. È probabile che i numeri ebraici aggiunti e le traduzioni, così come i numeri occidentali, fossero già in vigore prima del 1672 quando l’oggetto entrò nel Museo Moscardo. Ludovico Moscardo non era un astronomo e le aggiunte e le modifiche sono più compatibili con la mano di un professionista che con quella di un collezionista. Quel che è certo è che l’astrolabio veronese si distingue come un notevole esempio di oggetto la cui storia rimane leggibile sulla sua superficie attestando i contatti e gli scambi tra arabi, ebrei ed europei in epoca medievale e moderna.