Camminando per il centro storico di Firenze è facile imbattersi in palazzi che sulla facciata, ad altezza bacino, presentino delle piccole porticine incorniciate dalla pietra come fosse il portone d’ingresso, con tanto di chiavistello, in miniatura. Non siamo in presenza della porta di casa dei lillipuziani e non è una trovata moderna: quella infatti non è una porta, ma il passaggio attraverso cui si scambiava del vino con il minimo contatto possibile dai tempi del granduca di Toscana Francesco I (1541 – 1587), figlio di Cosimo I de’ Medici ed Eleonora di Toledo. I nobili proprietari dei palazzi in città infatti erano possidenti terrieri nel contado fiorentino che per gentile concessione del Granduca potevano vendere al dettaglio la bevanda dei loro vitigni a patto che fosse in modica quantità. Quantità identificata in un fiasco dell’epoca (che conterrebbe un litro di oggi), che passava giusto giusto nell’apertura di circa 30 cm per 20 circa delle porticine, anche se sono di varia grandezza (“Piccoli sportelli a 3 piedi da terra nel muro delle case dove si ha del vino da vendere hanno 4 pollici di larghezza e 11 di altezza, sono tappati da una porticina di latta e un battente per chiamare, ci si può passare solo una bottiglia”: così ne parlava nel suo taccuino nell’anno 1764 l’abate Pierre Augustin Boissier de Sauvages, nato ad Alès nel 1710 e morto nel 1795, grande naturalista che ha studiato l’allevamento dei bachi da seta che venne a Firenze accolto nell’Accademia dei Georgofili). Non erano osterie o enoteche, attenzione: erano i palazzi dei produttori che vendevano direttamente ai consumatori bypassando l’intermediazione di osti e botteghe potendo quindi offrire il vino a prezzo concorrenziale. Un paio di fiorini, di solito. La stanza dentro la quale si affacciava solitamente era collegata alla cantina del signore del palazzo. Un’usanza andata avanti fino alla fine dell’Ottocento, dopodiché sono andate in disuso fino al totale oblio anche per i fiorentini stessi: nessuno si ricordava a cosa servissero fino a quando non è nata una associazione, Associazione culturale “Buchette del vino”, che ha voluto censirle e studiarne la storia dando quindi spinta alla loro valorizzazione. Complice anche il lockdown da Covid, quando alcuni esercenti fiorentini riscoprirono questo modo di consegnare la merce come quando ci fu la peste a Firenze (nell’anno 1634, appena finita la peste a Firenze, l’accademico fiorentino Francesco Rondinelli redige una “Relazione del contagio” dove descrive l’efficacia anti-contagio degli “sportelli” del vino: un documento di grande importanza per la storia delle buchette, trovato e raccontato da Diletta Corsini). L’eco fu tale che all’estero hanno iniziato a parlarne e oggi davanti alle buchette dove ci sono dei locali (una decina) c’è la fila di turisti che aspetta di ricevere il suo calice di vino dalla finestrella. Talmente famosa che alcuni esercenti vorrebbero bucare il muro per farla dove non c’è e anche all’estero hanno copiato l’idea. Per farci raccontare questo spaccato di vita fiorentina abbiamo intervistato il presidente dell’associazione buchette del vino Matteo Faglia, che ha svolto il meritorio compito di schedarle e geo-referenziarle sul sito con una foto e una spiegazione per una delle oltre 180 censite.
Che dimensioni hanno?
Le misure delle buchette sono quelle che permettevano il passaggio del fiasco in posizione verticale (fino all’800 erano senza tappo!). La dimensione del fiasco è andata crescendo nei secoli, all’inizio la capienza era di poco più di un litro e i finestrini più antichi misurano circa 20 cm di base per 30 di altezza.
Prima del vostro interessamento c’erano documenti o studi su questo?
Molto pochi, un paio di libri che riportavano meno di 100 referenze, nessun elenco ufficiale neanche in Soprintendenza.
Alcune di esse hanno una targhettina di ottone: come si è arrivati a brandizzarle? La Soprintendenza che dice?
Le targhe vengono apposte, con il consenso dei proprietari, sulle buchette riconosciute nella loro autenticità dalla nostra Associazione che ha ottenuto dalla Soprintendenza il nullaosta per questa attività. Servono a dar loro un nome e un’identità, rispondendo alla curiosità di chi passando si interroga su di loro.
Quali sono i palazzi con la finestrella? C’è un elenco? Erano tutti nobili?
Di tutte le finestrelle c’è documentazione nel nostro sito www.buchettedelvino.org dove è possibile consultarne l’elenco aggiornato e la galleria fotografica completa. Inoltre gestiamo su Google una mappa interattiva (con più di 2 milioni di visualizzazioni) dove sono riportate le posizioni di tutte le buchette del vino.
Adesso cosa c’è nei locali che affacciano dalla finestrella?
La maggior parte delle buchette si presenta oggi tamponata oppure con una porticina di legno che non si apre più sull’interno. In corrispondenza, quelle che una volta sono state le stanze del vinaio, sono oggi per lo più camere o soggiorni di comuni appartamenti.
Quanti ristoranti o locali ci sono con la finestrella?
Dopo la recente pandemia alcuni locali dotati di un’originale buchetta del vino hanno deciso di ripristinarla e di usarla per la somministrazione di calici di vino, con grande successo di pubblico sia italiano che straniero. Quelli operativi in questa attività sono ad oggi una decina.
C’è stato chi si è appropriato dell’idea talmente gli era piaciuta di farla ex novo in epoca moderna?
Visto il successo, molti locali che non hanno una buchetta storica stanno provando a richiedere al Comune il permesso per crearne una nuova, ma senza ottenere il via libera. C’è chi ha provveduto comunque a ritagliarsene una, ovviamente non autentica, nella vetrina del locale.
Sono conosciute anche all’estero?
Le file che si formano quotidianamente davanti alle buchette riaperte sono composte da turisti prevalentemente stranieri. L’interesse all’estero per questa particolarità molto fiorentina è crescente, noi lo vediamo dagli accessi al sito (circa la metà vengono da fuori Italia) e dalle vendite del nostro libro in lingua inglese sia nelle librerie in città che su Amazon.
Ci sono finestrelle che sono andate perdute perché sono state chiuse o murate?
Più che chiuse o murate alcune buchette sono state proprio rimosse durante lavori di ristrutturazione dell’immobile. Quasi sempre per far posto a contatori del gas o dell’acqua.
Ce ne sono alcune più particolari o che hanno un aneddoto da raccontare?
In questi anni siamo riusciti a salvarne diverse dalla rimozione o da danneggiamenti: come quando in corrispondenza di una di queste finestrelle sono state collocate le prese d’aria di un condizionatore oppure quando la buchetta è stata spostata di 5 metri più in là perché i proprietari preferivano averla in salotto piuttosto che in camera. Se potessero parlare, molte buchette del vino avrebbero senza dubbio tanti curiosi aneddoti da raccontare, compresi rocamboleschi furti messi a segno da agili e “sottili” ladruncoli, come quello avvenuto in via dello Sprone nel secolo scorso e come quelli raccontati nel manuale “Il giudice criminalista” del 1638.
L'autore di questo articolo: Andrea Laratta
Giornalista. Amante della politica (militante), si interessa dei fenomeni generati dal turismo, dell’arte e della poesia. “Tutta la vita è teatro”.