Inchiesta su Pompei, parte III. Tra chiusure e gerarchie: Pompei può dare di più?


Il Grande Progetto Pompei è costato 105 milioni di euro, che spettavano non solo al Parco di Pompei, ma a tutti i nove siti dell'istituto. In che stato si trovano questi siti? Molti, purtroppo, a oggi non sono visitabili. Cosa ha dato quindi il Progetto al territorio?

Questa è la terza parte di un’inchiesta su Pompei, che nasce alla conclusione del Grande Progetto Pompei. Dopo esserci occupati del rapporto tra l’area archeologica e il territorio e della comunicazione del Parco, in questa ultima parte ci occuperemo, più nello specifico, del Grande Progetto costato 105 milioni di euro, nato nell’ambito del Fondo Europeo di Sviluppo Regionale.

Il “Grande Progetto per la tutela e la valorizzazione dell’area archeologica di Pompei” nasce nel 2013 quale “piano straordinario di intervento conservativo, tutela, restauro e valorizzazione del patrimonio archeologico di Pompei”. Il 18 febbraio scorso il ministro dei beni culturali Dario Franceschini poteva dichiarare che “i 105 milioni di euro previsti per il Grande progetto Pompei sono stati spesi tutti e bene. Adesso abbiamo stanziato altri 50 milioni di euro per proseguire i lavori perché a Pompei i lavori non finiranno mai, ci sono 22 ettari ancora da scavaree la città richiede manutenzione e ricerca continua. I risultati di questi anni sono sotto gli occhi di tutti”. Il progetto con cui sono stati ottenuti i fondi, però, non prevedeva di usarli in operazioni di scavo, perché, come abbiamo visto nella seconda parte dell’inchiesta, i soldi per la manutenzione non bastano mai. C’è anche dell’altro, però, di cui il ministro ha parlato raramente.

Pompei, via delle Scuole. Ph. Credit Carlo Pelagalli
Pompei, via delle Scuole. Ph. Credit Carlo Pelagalli


Pompei, il Foro. Ph. Credit Brunella Pastore
Pompei, il Foro. Ph. Credit Brunella Pastore


Pompei, la Basilica
Pompei, la Basilica


Veduta di Pompei. Ph. Credit Sébastien Amiet
Veduta di Pompei. Ph. Credit Sébastien Amiet

Il Parco di Pompei

Il Parco Archeologico di Pompei, a dispetto del nome, non comprende solo il sito di Pompei ma comprende nove diversi siti. Quattro di questi (Longola, il Castello di Lettere, Villa Sora e il Polverificio Borbonico) vengono inglobati nel Parco di Pompei nel momento in cui smette di essere Soprintendenza di Pompei, Oplontis, Boscoreale e Stabiae, nel 2014. Un’operazione che quindi pone Pompei come capofila di un raggruppamento di siti molto vari, che vanno dall’età del ferro alla modernità. Gli oltre cento milioni del Grande Progetto Pompei, secondo i propositi, avrebbero dovuto essere investiti in modo tale da consentire lo sviluppo dell’intera area vesuviana, in cui gli scavi di Pompei dovevano essere solo il volano principale. Proprio per questo, il comitato di gestione del Grande Progetto Pompei si compone tre ministri, il presidente di regione, il presidente di provincia e i sindaci di nove comuni dell’area vesuviana. Il comitato si è riunito tre volte nel 2015, una nel 2016 e una nel 2018. In quell’occasione, a proposito del Piano Strategico appena varato dal comitato, il ministro Franceschini dichiarava “in questi quattro anni è stata compiuta un’opera notevole sugli scavi di Pompei, riconosciuta in tutto il mondo. Ora si tratta di governare la crescita impetuosa del turismo internazionale per fare di quest’opera un durevole fattore di sviluppo per l’intero territorio”. Da quel giorno il comitato di gestione non si è più riunito, e i fondi sono finiti.

Come stanno, gli altri siti del Parco archeologico di Pompei? Il parco archeologico di Longola, inaugurato nel 2018, è rimasto visitabile a cura di volontari per pochi mesi e da allora è “temporaneamente chiuso per manutenzione”. Il Polverificio Borbonico, che doveva servire a “reperire nuovi e più idonei spazi da destinare a depositi all’avanguardia, archivi, laboratori, auditorium, spazi espositivi e uffici”, non è visitabile e nessun cantiere risulta essere partito. Villa Sora è chiusa, o meglio visitabile occasionalmente con l’aiuto di un gruppo di volontari. L’antiquarium di Boscoreale è stato visitabile fino alla chiusura di marzo 2020, ma da allora non ha mai riaperto, per motivi non noti. Oplontis è sempre stato visitabile, seppur necessitante restauri urgenti. Villa Arianna a Stabiae è visitabile, seppur tra 2018 e 2019 rimase chiusa per sei mesi dopo il crollo di una copertura a causa del maltempo. Il Castello di Lettere è visitabile, a cura del Comune. Mentre la Reggia di Quisisana a Castellammare di Stabia da pochi mesi è divenuta il museo locale. In conclusione, dei nove siti afferenti al Parco di Pompei quattro non sono visitabili in questo momento. O meglio, in questo preciso momento sono visitabili solo Pompei e il museo di Stabia, gli unici ad aver riaperto lunedì scorso, in una gerarchia di riaperture che anche a giugno aveva lasciato indietro i siti meno famosi.

Questa gestione gerarchica ha avuto delle conseguenze: nell’area vesuviana, la crescita esponenziale dei visitatori nei musei, dovuta a un trend internazionale favorevole (+27% tra 2014 e 2019, ma che si inserisce in una crescita costante dagli anni Novanta) non ha portato a una crescita diffusa del turismo sul territorio. Come accennato nella prima parte dell’inchiesta, i turisti si concentravano a Pompei per poi andarsene. L’area archeologica di Pompei ha visto tra 2014 e 2019 una crescita del 30% dei visitatori, ancor più alta della media nazionale, pur partendo dalla base, enorme, di 2,7 milioni di visitatori annui. Nessun altro sito afferente al Parco è cresciuto così tanto, in percentuale, pur partendo da numeri infinitamente più bassi (Boscoreale è passato da 11 a 14 mila visitatori, ad esempio). Non sono problemi legati all’istituzione del Parco di Pompei, né alla dirigenza attuale, ma colpisce che in questi anni abbiano finito per aggravarsi, nonostante la creazione di un’istituzione unitaria e la disponibilità di fondi ingenti. “Passare dalla Soprintendenza al Parco di Pompei ha aumentato la gerarchia tra i siti”, ci spiega un’utente abituale. E in effetti anche nel sito ufficiale del Parco, pompeiisites.org, per i visitatori è immensamente più facile reperire informazioni sulla loro visita all’area archeologica di Pompei che a ogni altri sito afferente al Parco. La domanda quindi è: cosa sta dando questa nuova organizzazione, e cosa hanno dato questi 105 milioni allo sviluppo del territorio? A chi scrive, e a chi è stato contattato per scrivere questa inchiesta, non è chiaro cosa abbia portato al territorio la concentrazione dell’attenzione mediatica e dei visitatori solo sull’area archeologica di Pompei.

Senza dubbio però tra chi ha guadagnato moltissimo da questo aumento esponenziale dei visitatori da 2,5 a 4 milioni in pochi anni a Pompei sono i concessionari dei servizi aggiuntivi, che nel Parco operano con tassi molto favorevoli, imposti quando i visitatori, vent’anni fa, erano molti meno, da allora rimasti stabili, nonostante il cambio d’appalto, quando cambio d’appalto c’è stato: Opera Laboratori Fiorentini gestisce biglietteria e accoglienza in regime di proroga dal 2004. A Pompei, fatto curioso, tutti i servizi sono appaltati ad aziende che hanno sede legale nel centro-nord del Paese. Per la ristorazione e la caffetteria, Autogrill tiene per sé il 100% dei guadagni; per le visite guidate alle scuole, per le prevendite online, per il bookshop, rispettivamente Coopculture, Ticketone e Artem tengono per sé il 90% degli introiti. Peraltro anche il neonato Museo di Castellammare di Stabia, nella Reggia di Quisisana, nasce con la biglietteria solo online appaltata a Ticketone (pesantemente multata martedì scorso per abuso di posizione dominante): fatto insolito per un piccolo museo locale. Ciò significa che i soldi che i visitatori spendono agli scavi di Pompei vanno solo in parte alla manutenzione del sito e agli stipendi dei lavoratori ivi impiegati, e lo spostamento delle biglietterie online andrà ad ampliare ancora questo vulnus.

“Da vent’anni lavoriamo per un oligopolio di cooperative e aziende private”, dicono gli operatori organizzati nel sindacato COBAS-Lavoro Privato. Con l’aumento del turismo e dei biglietti staccati, i loro stipendi non sono aumentati. Chiedono da mesi un incontro con la dirigenza del Parco e l’internalizzazione: “perché il MiBACT pensa ad assumere disoccupati di lungo corso attraverso i centri per l’impiego, invece di risolvere la nostra situazione?”. A sito chiuso, per mesi erano tutti in cassa integrazione, misera, e in costante ritardo di tre o quattro mesi, ma ora le cose non sono cambiate: lavorano in pochi, per poche ore, mentre i servizi vengono forzosamente ridotti proprio per risparmiare su di loro. Sono più di un centinaio i lavoratori impiegati a Pompei come esternalizzati e che da decenni operano a Pompei continuando a rischiare il posto a ogni cambio d’appalto.

Se per loro di stabilizzazione non si parla, è arrivata invece per la la segreteria tecnica del Parco e i collaboratori assunti a tempo determinato nel 2013, stabilizzati con un concorso ad hoc bandito nel 2018. Ed ecco che Pompei si trova dotata di ciò che la maggior parte dei siti culturali italiani non hanno: personale tecnico interno a sufficienza. Perché un simile concorso sia stato previsto proprio per Pompei invece che per tutta la pubblica amministrazione, non è dato sapere.

Il Castello di Lettere. Ph. Credit Tito Abbagnale
Il Castello di Lettere. Ph. Credit Tito Abbagnale


Reggia di Quisisana
Reggia di Quisisana. Ph. Credit


Antiquarium di Boscoreale
Antiquarium di Boscoreale. Ph. Credit


Villaggio di Longola
Antiquarium di Boscoreale. Ph. Credit

Pompei come fine o come mezzo?

A 270 anni dalla scoperta, Pompei continua a dare tantissimo all’Italia e al mondo. Questo è fuor di dubbio. Per il ministro Franceschini oggi è un “modello gestionale e un punto di riferimento internazionale” (4 luglio 2020) nonché “esempio virtuoso per la ripresa” (26 dicembre 2020). Però Pompei in questi ultimi anni, allontanandosi radicalmente dallo “stato di assedio” di 15 anni fa (utilizzando una espressione di Repubblica) ha anche preso molto, da sito unico e straordinario quale è: molti fondi, molto spazio mediatico, assunzioni straordinarie e introiti legati al turismo di massa. Sta nascendo a Pompei un circolo virtuoso di ricerca, valorizzazione, conservazione e cooperazione con il territorio, come prevedevano i 105 milioni di investimento europeo, tale da giustificare l’ulteriore stanziamento ministeriale di 50 milioni?

Con otto siti del Parco su nove oscurati a livello mediatico (anche in modo curioso: il documentario RAI Stanotte a Pompei era girato in tutta l’area vesuviana, ad esempio, ma senza dichiararlo nel titolo), quattro mai aperti, servizi appaltati ad aziende lontane, un territorio circostante che non frequenta il sito, lavoratori che guadagnano 7 euro l’ora, ampie parti del sito scavate ma non visitabili, a forte rischio degrado, il Parco che riapre i siti gerarchicamente e i soldi del Grande Progetto Pompei che sono finiti, è legittimo chiederselo. La domanda quindi è: Pompei può dare di più? Dà al territorio, all’archeologia globale e ai contribuenti italiani più di quanto prende? Al termine di questa inchiesta, è la riflessione che lasciamo aperta.


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Leonardo Bison

L'autore di questo articolo: Leonardo Bison

Dottore di ricerca in archeologia all'Università di Bristol (Regno Unito), collabora con Il Fatto Quotidiano ed è attivista dell'associazione Mi Riconosci.



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