Dieci giorni fa, l’11 giugno, il Gruppo Apollo, un’associazione che riunisce antiquari, gallerie d’arte moderna e contemporanea, collezionisti, imprese della logistica d’arte e case d’asta di tutta Italia, ha diffuso un comunicato in cui rivolgeva un appello al governo italiano per abbassare l’imposta sul valore aggiunto (IVA) per la vendita delle opere d’arte, seguendo quanto hanno fatto la Francia e la Germania, che rappresentano i primi due mercati d’arte nell’Unione Europea, subito seguiti dall’Italia. La Francia, in particolare, ha stabilito per le vendite di opere d’arte un’aliquota IVA ridotta al 5,5% su tutte le transazioni a partire da gennaio 2025, mentre la Germania, nei primi giorni di giugno 2024, si è accodata ai vicini inserendo un’imposta del 7% nella legge fiscale del 2024 (anche in questo caso applicabile da gennaio 2025): l’aliquota ridotta sostituisce quella piena che in Francia è del 20% e in Germania è del 19%.
La tesi del Gruppo Apollo è che le aliquote attualmente in vigore in Italia, se non modificate, creeranno per il nostro paese una situazione di svantaggio rispetto a Francia e Germania dove il regime fiscale per chi vuole acquistare opere d’arte è molto più conveniente: di conseguenza, afferma il gruppo che rappresenta gli interessi dell’industria dell’arte italiana, le imposte estere, più vantaggiose rispetto a quelle italiane, non possono far altro che frenare il trasferimento di opere d’arte in Italia, dal momento che “qualsiasi collezionista che volesse importare o acquistare un’opera nell’Unione Europea”, è la tesi del Gruppo Apollo, “non lo farebbe certamente in Italia”.
In Italia al momento vigono due aliquote: quella ordinaria del 22% e quella agevolata del 10%. L’aliquota agevolata è applicata a tutte le transazioni del mercato primario (le opere che l’artista cede direttamente al collezionista) e alle importazioni (ovvero le opere acquistate fuori dall’Unione Europea e portate all’interno del territorio dell’Unione), come stabilito dall’articolo 39 del D.L. 41 del 1995, convertito in Legge n. 22 del 22 marzo 1995, che prevede che l’IVA al 10% venga applicata alle “importazioni di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione”, nonché alle “cessioni degli oggetti d’arte effettuate dagli autori o dai loro eredi o legatari”. Negli altri casi (per esempio le transazioni che coinvolgono le gallerie d’arte, che fungono da intermediario tra l’artista e il collezionista, oppure quelle che passano attraverso le case d’asta: si parla dunque di mercato secondario), l’aliquota è del 22%. La Legge stabilisce anche cosa si debba intendere per “oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione”. Sono oggetti d’arte: pitture, collage, disegni (a eccezione dei piani di architetti, ingegneri, e in generale progetti e disegni industriali, commerciali, topografici e simili, e sono escluse anche tele dipinte per scenari teatrali e fondali vari), incisioni, stampe, litografie, sculture, fusioni a tiratura limitata a otto esemplari, arazzi, esemplari unici di ceramica interamente eseguiti dall’artista e firmati dallo stesso, smalti su rame, fotografie tirate dall’artista o sotto il suo controllo, firmate e numerate. Sono oggetti da collezione: francobolli, marche da bollo, marche postali, buste primo giorno di emissione, interi postali, collezioni ed esemplari per collezioni di zoologia, botanica, mineralogia, anatomia, o che hanno interesse storico, archeologico, paleontologico, etnografico o numismatico. Infine sono oggetti d’antiquariato i beni diversi da oggetti d’arte e da collezione che hanno però più di cento anni d’età.
L’aliquota italiana è una delle più alte d’Europa, come rileva il rapporto Il mercato dell’arte e dei beni da collezione 2024 di Deloitte: “Nel contesto internazionale”, si legge nel rapporto, “l’aliquota IVA che grava in Italia sulle importazioni di opere d’arte risulta tra le più elevate in Europa in confronto ad altri Stati, quali la Francia che applica un’aliquota pari al 5,5 per cento, i Paesi Bassi e il Belgio che applicano un’aliquota del 6 per cento, la Germania che applica un’aliquota del 7 per cento. A causa di tali significative differenze, il mercato dell’arte italiano ha finito con il risultare meno attrattivo e con il subire uno svantaggio competitivo che la recente Legge Delega per la Riforma Fiscale vorrebbe correggere”. Per questo, come rileva Deloitte, è al momento in fase di discussione una legge che dovrebbe riformare anche questo settore nel quadro della normativa europea.
Il quadro di riferimento è quello stabilito dalla Direttiva UE 2022/542 del 5 aprile 2022 che ha modificato la normativa relativa all’imposta sul valore aggiunto cercando di portare il maggior equilibrio possibile nel contesto europeo. La direttiva dovrà essere recepita dagli Stati Membri entro il 31 dicembre 2024, poiché entrerà in vigore a partire dal 1° gennaio 2025. Secondo la direttiva, la “cessione di oggetti d’arte, di antiquariato o da collezione” è ricompresa nelle “cessioni e prestazioni di servizi che possono essere soggette alle aliquote ridotte”. Le opere d’arte sono tra le categorie soggette a riduzione incluse nell’Allegato III della Direttiva 2006/112: tuttavia, a ogni Stato Membro è concesso di applicare aliquote ridotte a un massimo di 24 categorie delle 29 previste dall’Allegato.
Non è detto, dunque, che l’Italia finisca per applicare alle opere d’arte il regime agevolato. Queste sono le 29 categorie: prodotti alimentari destinati al consumo umano e animale, animali vivi, sementi, piante, ingredienti per preparazioni alimentari; erogazione d’acqua; farmaci (inclusi i farmaci veterinari, i contraccettivi, i prodotti di protezione dell’igiene femminile e gli assorbenti); apparecchi, strumenti, dispositivi medici (per esempio le mascherine); trasporto di passeggeri e beni al seguito; libri, giornali, periodici; biglietti per spettacoli, teatri, circhi, fiere, parchi divertimento, concerti, musei, zoo, cinema, mostre, manifestazioni culturali varie; ricezione di servizi radiotelevisivi e webcasting, servizi di accesso a internet; prestazioni di servizi fornite da o diritti da versare a scrittori, compositori e artisti interpreti; cessione e costruzione di edilizia abitativa che rientra nell’ambito di politiche sociali, costruzioni e ristrutturazioni di edifici pubblici o utilizzati per attività di interesse pubblico, pulitura di vetri e pulizie, installazione di pannelli solari; beni e servizi per la produzione agricola tranne beni di investimento, equini vivi; alloggi presso alberghi e simili, servizi di ristorazione e catering; biglietti per manifestazioni sportive o accesso a diretta streaming di tali eventi; beni e prestazioni da organismi impegnati in attività di assistenza e sicurezza sociale; servizi di pompe funebri; cure mediche e odontoiatriche e trattamenti termali; smaltimento acque reflue e pulizia strade pubbliche; riparazione di apparecchi domestici, calzature e articoli in pelle o indumenti e biancheria per la casa; servizi di assistenza domestica; parrucchiere; fornitura di energia elettrica, teleriscaldamento, teleraffreddamento, biogas; piante vive, bulbi, fiori recisi, fogliame ornamentale; abbigliamento e calzature per bambini, seggiolini per autoveicoli; biciclette; oggetti d’arte, collezione e antiquariato; assistenza legale in procedimenti giudiziari in materia di lavoro; strumenti per primo soccorso; servizi per il funzionamento di navi faro o fari. Le categorie che saranno escluse dalle 24 concesse dovranno operare con l’IVA del regime ordinario.
Francia e Germania hanno già scelto di includere le opere d’arte nelle categorie soggette ad aliquota agevolata. Il ministro dell’economia francese, Bruno Le Maire, ha spiegato al giornale Les Echos che la decisione di portare l’IVA al 5,5% per le opere d’arte è stata presa di concerto con l’allora ministra della cultura Rima Abdul-Malak (rimasta in carica fino a gennaio 2024: la decisione della Francia è del dicembre 2023) per “permettere alla Francia di restare al centro del mercato mondiale dell’arte”. Lo stesso disse la ministra Abdul-Malak: “Questa decisione, se adottata dal Parlamento, consentirà a Parigi di rimanere la capitale europea più attraente per il mercato dell’arte. Promuoverà l’entusiasmo della scena artistica francese e il dinamismo del nostro modello culturale, che conta tanto sulla forza delle istituzioni pubbliche quanto su quella degli attori privati”.
Parole simili sono giunte lo scorso 5 giugno 2024 dalla ministra della cultura tedesca Claudia Roth all’indomani della decisione di applicare l’aliquota ridotta anche in Germania: “Soprattutto in tempi difficili, l’aliquota fiscale ridotta è un segnale importante per il commercio d’arte e la performance culturale delle gallerie. In questo modo il governo federale promuove la diversità del panorama delle gallerie e rafforza la Germania come sede del commercio d’arte. Un ringraziamento speciale va anche al Ministro federale delle finanze Lindner, con il quale siamo riusciti a concordare la reintroduzione di un’imposta ridotta sulle vendite per il commercio d’arte”.
Gli operatori del settore dell’arte chiedono al governo di seguire l’esempio di Francia e Italia: secondo il Gruppo Apollo, l’aliquota italiana potrebbe essere stabilita al 5%, percentuale che consentirebbe, secondo gli operatori, di far sì che il mercato italiano diventi ancora più competitivo. “È vitale per il sistema Paese”, suggerisce il Gruppo Apollo, “per continuare a rimanere nel mercato Ue, in caso contrario è destinato a uscirne di fatto perché poco competitivo, configurando il rischio di fughe all’estero da parte di galleristi e artisti”. Sarà il governo a dover decidere perché così vuole la Legge delega per la riforma del sistema fiscale italiano (111/2023), che all’articolo 7, comma 1, lettera e, affida all’esecutivo il mandato di ridurre l’aliquota IVA sulle cessioni delle opere d’arte. Fino a non molto tempo fa, l’orientamento del governo sembrava essere quello di una forte riduzione: a marzo 2023, l’allora sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi annunciava che il governo avrebbe ridotto l’IVA al 5,5%.
Occorrerà vedere quale sarà l’orientamento prevalente: al momento, le transazioni di opere d’arte sono tassate al 22% poiché l’opera d’arte è da sempre equiparata ai beni di lusso poiché bene acquistato per lo più da individui con elevato potere d’acquisto, e di conseguenza le transazioni di opere d’arte hanno l’IVA al regime ordinario (e questo è anche l’orientamento di certe parti politiche: in Francia, per esempio, si è spesso parlato, addirittura, di progetti per aumentare l’IVA sui prodotti di lusso per ragioni di equità fiscale: cavale, yacht, gioielli, cosmetici, profumi, jet privati, auto di lusso e anche opere d’arte).
L’opera d’arte però è al contempo anche un bene culturale, affermano i sostenitori dell’IVA ridotta, ed essendo un bene culturale, uno Stato che favorisce lo scambio delle opere (e quindi, indirettamente, la loro produzione), è uno Stato che incentiva la produzione di cultura, il pensiero, la creatività. Le ragioni per la riduzione dell’IVA sono però soprattutto di ordine economico: si ritiene infatti che l’imposta agevolata possa rendere l’Italia un mercato più competitivo incoraggiando gli acquisti, da parte di acquisti, galleristi, istituzioni. L’abbassamento dell’IVA renderebbe l’acquisto di opere d’arte più conveniente per i collezionisti e gli acquirenti, stimolando una maggiore domanda, portando a un incremento delle vendite e, di conseguenza, a un mercato dell’arte più dinamico e prospero. E un mercato vivace potrebbe tradursi in maggiori opportunità per gli artisti di vendere le proprie opere, soprattutto pensando agli emergenti che potrebbero trarre beneficio da aliquote più basse. C’è poi chi ritiene che un abbassamento dell’IVA comporti benefici fiscali indiretti: se la riduzione comporta nell’immediato una diminuzione diretta, l’aumento delle transazioni potrebbe portare a un incremento delle entrate fiscali indirette attraverso l’incremento dell’attività economica correlata. Inoltre, un’IVA più bassa potrebbe contribuire a rendere l’arte un poco più accessibile, non soltanto per i collezionisti ma anche per le istituzioni. Ad ogni modo, sia che voglia abbassare l’aliquota, sia che voglia lasciare tutto invariato, il nostro paese ha tempo fino a dicembre per decidere cosa fare.