Vuoto: la fotografia cruda e underground di Jacopo Benassi


Si tiene a Prato la prima personale in un museo di Jacopo Benassi (La Spezia, 1970), uno dei più apprezzati nomi della fotografia contemporanea. La curatrice della mostra, Elena Magini, traccia un profilo dell'artista attraverso le opere in mostra.

Vuoto richiama la specifica sensazione di Benassi rispetto ad un’indagine a posteriori sulla sua produzione. Uno “svuotarsi” che è inteso come percorso di autoesposizione pubblica: il fotografo si concede interamente allo spettatore, consegnando l’insieme degli scatti che danno vita ad un’indagine decennale sui temi dell’identità, della notte, del lavoro. Un atto di apertura verso l’esterno che costituisce un punto zero nella carriera dell’artista, e di contro, una possibile rinascita.

Vuoto è anche il titolo dell’installazione che accoglie lo spettatore all’ingresso delle sale del museo. Benassi ha ricostruito il proprio studio all’interno della mostra, svuotando completamente il suo usuale spazio di lavoro. L’installazione, composta da strumenti, da immagini, poster, oggetti e calchi di sculture classiche, timbri per fanzine, il suo studio, i suoi strumenti, ricostruisce il panorama creativo che accompagna Benassi nella gestazione del suo lavoro, offerto qui generosamente allo spettatore.

Jacopo Benassi fotografa a partire dalla fine degli anni Ottanta, nell’alveo della cultura underground spezzina: la sua prima fotografia è stata infatti scattata in un centro sociale ad un gruppo punk. Negli anni il fotografo ha sviluppato uno stile personalissimo, dove la profondità di campo viene annullata e la luce del flash diviene una sorta di firma, un limite stilistico che Benassi si autoimpone per arrivare ad una fotografia cruda e potente, priva di mediazioni. Il flash non è per il fotografo un mezzo per aggiungere luce ad una luce esistente, ma un modo di cancellare totalmente la luce reale. La fotografia diviene così un atto forzato, un evento creato dall’artista in cui lo scatto perfetto non esiste.

I soggetti fotografati da Benassi sono i più disparati, un’umanità varia che si muove dalla cultura underground e musicale internazionale a partire dall’esperienza del club B-Tomic, ai ritratti di modelle, attrici, artisti, stilisti pubblicati in alcune delle più importanti riviste italiane, fino all’indagine sul corpo, possibile filo rosso di una produzione pantagruelica, che varia dalla documentazione autobiografica di incontri sessuali, allo sguardo intenso sulla statuaria antica.

Aprono la mostra due foto che mostrano una processione a Catania e un momento di “pogo” in un locale punk di ultima generazione. Le ricorrenze formali all’interno delle due fotografie permettono il rispecchiarsi tra l’idea di religione e il rock, tra un rito religioso e uno laico. Benassi è affascinato dai simboli e dall’iconografia religiosa: croci, ex voto, immagini mariane, ritornano costantemente in molta della sua produzione. Altre immagini legate alla dimensione musicale ritraggono l’ambiente del Club Btomic, gestito da Benassi assieme ad alcuni amici a La Spezia dal 2011 al 2015: il pubblico presente ai concerti, gli strumenti musicali, i personaggi che hanno animato il locale. Il Btomic riveste un’importanza fondamentale per l’artista, luogo di esperienze e di incontri, capace di dar vita ad un immaginario fotografico estremamente specifico.

Affiancano le foto legate al locale spezzino alcuni ritratti di musicisti e cantanti: sono fotografie immediate, con il flash posizionato frontalmente al soggetto che restituisce un ritratto impattante a livello visivo. La selezione presenta alcuni dei musicisti che rappresentano per l’artista l’essenza stessa della musica, dai Sonic Youth a Blondie, passando per Lydia Lunch, rockstar dell’underground newyorkese, ritratta proprio all’interno del Btomic. È stata la musica, suonata e ascoltata, ad avvicinare Benassi alla fotografia e in qualche modo a innestare nell’immagine l’idea di ritmo e successione.

Jacopo Benassi, Pogo (2018)
Jacopo Benassi, Pogo (2018)


Jacopo Benassi, Debbie Harry (2009-2010)
Jacopo Benassi, Debbie Harry (2009-2010)

Un posto speciale nell’opera di Benassi è occupato dall’autoritratto, che accompagna spesso il suo percorso performativo. Fotografarsi diviene per l’artista una modalità di conoscenza di sé, come lui stesso dichiara: “mi piace guardarmi nelle fotografie, so fotografarmi”. La sperimentazione sulla performance, sia dello stesso Benassi che di altri, si lega costantemente alla musica e viene sempre mediata dall’immagine fotografica, innestando una commistione tra fotografia, suono e movimento del corpo nello spazio.

Connesso all’autoritratto è anche il lavoro Selfportait 1970/2019, forse l’unico progetto concluso di Benassi. Legate all’omosessualità del fotografo, le ciabatte rappresentano la scoperta e l’accettazione della propria identità. Collezionate, fotografate e infine inserite all’interno della grande installazione, le ciabatte sono un elemento della propria biografia impiegato come una sorta di sineddoche, a dar forma ad un autoritratto costruito nel tempo. Pur nel contesto di un lavoro eterogeneo il corpo sembra essere di fatto la costante della produzione di Benassi, indagato sia nel suo legame con la statuaria classica sia nella sua trasposizione omoerotica.

Una serie di soggetti eterogenei confluiscono ad esempio nel progetto Crack!, una riflessione dell’artista sul corpo (proprio e di altri), sull’idea di rottura e di decadenza che il corpo porta con sé. Le immagini si rifanno ad avvenimento autobiografico dell’artista (una caduta e la conseguente convalescenza) e mettono insieme suggestioni variegate che connettono natura, scontri di piazza, incidenti d’auto, statue antiche, attraverso l’idea di fragilità, relazione e cura.

Jacopo Benassi, Brutal Casual (2020)
Jacopo Benassi, Brutal Casual (2020)

L’esperienza omoerotica di Benassi invece è ad esempio mirabilmente sintetizzata in Fags, progetto per un libro fotografico in corso di realizzazione, dove il fotografo mette insieme scatti che raccontano la propria vita privata a partire dai primi anni Duemila. La serie è legata agli incontri sessuali dell’artista; sono immagini esplicite ma allo stesso tempo estremamente intime, ritraggono rapporti reali, luoghi di battuage, particolari dei corpi degli amanti colti come forme astratte. L’omosessualità dell’artista è un tratto fondamentale della sua biografia, il suo coming out coincide anche con la formalizzazione di un preciso stile fotografico: entrambi gli accadimenti costituiscono una sorta di epifania e di liberazione nel percorso del Benassi, che proprio in relazione al progetto Fags dichiara che questo “entra con forza dentro la mia vita”.

In mostra sono inoltre presentati lavori inediti che restituiscono l’interesse di Benassi per l’editoria e la produzione di libri. E proprio da un progetto editoriale recentemente pubblicato che si genera ad esempio la serie The Belt, progetto fotografico dedicato a Prato, città d’arte e centro riconosciuto dell’industria tessile. I tessuti, i macchinari, i ritratti degli artigiani e le loro mani che lavorano, le persone colte in momenti di pausa o nell’atto di consumare pasti: le immagini di Benassi mescolano elementi prosaici a immagini sacre per mettere in relazione carnalità e materialità dell’umanità operosa che contraddistingue Prato, alle icone della sua storia e alla tradizione artistica che traspare nei luoghi della città.

– the belt

Jacopo Benassi, The Belt (2020)
Jacopo Benassi, The Belt (2020)


Jacopo Benassi, The Belt (2020)
Jacopo Benassi, The Belt (2020)


Jacopo Benassi, The Belt (2020)
Jacopo Benassi, The Belt (2020)


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