La tassidermia spiegata dall'esperto: “siamo un po' scultori, un po' pittori, un po' chimici”


Gianluca Salvadori è uno dei più importanti tassidermisti d’Europa. È fondatore di Naturaliter, azienda che fornisce musei di storia naturale, giardini zoologici e artisti in tutto il continente. In questa intervista ci spiega cos’è l’arte della tassidermia.

Uno scultore affascinato dalla vita che ci scorre intorno”. Così si definisce uno tra i più importanti tassidermisti d’Europa, che lavora con musei e artisti di tutto il mondo, con i suoi animali fatti rivivere uno a uno per poterli ammirare per sempre. È Gianluca Salvadori, che con una carriera trentennale nata per caso, dal suo laboratorio a Capannoli ha fondato una società, la Naturaliter (insieme al fratello Alessio e alla socia Catia Morucci), contattata da tutto il mondo per chiedere loro la realizzazione di animali trattati con questa pratica. E dal laboratorio sono passati anche al mettere in piedi un Museo Zoologico che si trova nei locali di di Villa Baciocchi a Capannoli per contenere ed esporre tutti esemplari che nel corso degli anni hanno avuto modo di realizzare e inserire in questo percorso didattico di storia naturale. Qui si potrà ammirare la loro bravura, passando al setaccio ogni specie animale collocata nelle teche dei diorama con la ricostruzione del relativo habitat naturale. La tassidermia è la modalità di conservazione delle pelli degli animali e la loro trattazione per poi applicarla su modelli dell’animale corrispondente, dandogli l’espressione e le sembianze di un esemplare vivo. L’intervista è di Andrea Laratta.

Gianluca Salvadori
Gianluca Salvadori

AL. Come ha cominciato a fare il tassidermista?

GS. È stata la risposta alla passione che avevo: mi sono sempre piaciuti gli animali, molto più delle persone, li ho sempre trovati meravigliosi. Un giorno per caso, a Sanremo con mio padre e la mia famiglia, ho trovato una uccellino giallo, bellissimo, morto per strada... sembrava perfetto eppure era morto. Era la prima volta che raccoglievo qualcosa per strada, e non ho potuto fare a meno di andare in farmacia a chiedere se c’era qualcosa per impedire che questa bellezza sparisse, come a voler fermare il decadimento del tempo. Ma loro mi diedero un materiale che non era adatto naturalmente. Da quel momento cominciai (da autodidatta, non c’è una scuola), e non mi sono più fermato. È un lavoro molto preciso, difficile, nel senso che le scuole non ci sono e gli artigiani che fino ad oggi facevano questo lavoro sono abbastanza chiusi: per paura di perdere il loro lavoro non insegnano a nessuno... come se fosse una materia segreta, quasi una magia, nessuno ha l’opportunità di capire bene come funziona, come fossimo alchimisti [Ride].

Quali doti occorrono per fare il suo lavoro? È senza dubbio complesso e deve tenere insieme la creatività con una conoscenza intedisciplinare.

Io di base sono uno scultore, ho fatto il liceo indirizzo artistico. Servono costanza, determinazione e amore per la natura. E secondo me un tassidermista deve essere necessariamente uno scultore, perché la tassidermia non è altro che la ricostruzione dell’esemplare animale secondo le sue reali fattezze. Più grande è l’esemplare, più le doti dello scultore si vedono. Quando si lavora su un animale di grande dimensione (come una tigre, un cavallo, un elefante) si passano mesi interi a creare una scultura che riproduce l’esemplare nella posizione esatta che si ha in testa. Nel frattempo, la pelle viene mandata dal conciario, che sia con le piume o con le scaglie, con squame o peli, e poi viene incollata sulla scultura. Più è grande e più difficile, e più si vedono gli errori.

E all’interno?

Lo scheletro fa un’altra strada, che spesso è quella di una università, di un centro di ricerca o di strutture espositive. All’interno c’è una ricostruzione più o meno esatta delle forme dell’animale. Noi siamo degli artigiani, tagliamo un pezzo di poliuretano o argilla e creiamo un modello. Se è poliuretano solido lo scolpiamo, se è argilla la modelliamo, e poi facciamo un calco di quello che abbiamo costruito, del nostro modello. E su questa scultura la pelle viene incollata. Il modello nostro quindi deve riprodurre l’anatomia dell’animale. E sono tutti diversi, ognuno singolarmente a mano, un pezzo unico a mano.

Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli
Il laboratorio di Naturaliter a Capannoli

Le sue capacità di rendere il corpo con le pieghe della muscolatura e le fattezze identiche a un animale vivo sono molto apprezzate in Italia e all’estero. Come riesce a creare per ogni animale le forme giuste?

Alla base c’è osservazione: a me gli animali piacciono vivi, per cui li guardo con piacere mentre si muovono. E quando muoiono e li ho tra le mani, nella mia mente me li immagino come mi piacerebbe vederli vivi. Normalmente li faccio con un atteggiamento rilassato, è raro che li faccia con fattezze aggressive, a meno che non siano destinati per delle mostre a tema. E dal momento che sono pezzi unici, tutti fatti a mano, su ogni esemplare si riversano le caratteristiche della persona che ci lavora. Mi sono accorto che la maggior parte degli animali che realizzo sono rivolti a destra, inconsapevolmente ma li faccio così. La scultura è proprio un prodotto artistico che nasce dal niente, per cui è una costruzione pura, anche se deve seguire le forme dell’animale morto.

Il suo lavoro è molto richiesto anche da Musei Scientifici ed Etnologici importanti di città di tutto il mondo. E ha lavorato anche con molti artisti, ci può fare qualche nome?

Preferirei non rispondere con dei nomi per motivi di riservatezza, ma le basti pensare che non siamo tanti nel mondo a fare tassidermia e quindi, quando in qualche museo o installazione artistica ha visto qualche animale, è probabile che sia un nostro lavoro.

Oltre che per musei e mondo dell’arte lavorate anche per il settore della caccia?

Assolutamente no! Noi siamo proprio lontani da quel mondo: noi raccogliamo gli animali morti che troviamo anche lungo le strade per dargli vita, e li teniamo nel nostro laboratorio e nel nostro centro espositivo di Capannoli in attesa che qualche museo ce li chieda. E lo facciamo perché ci dispiace lasciarli come immondizia. Nella nostra sede abbiamo uno spazio espositivo con tutte le specie del mondo: sono gli stessi giardini zoologici o qualche circo che ci contattano quando muore qualche loro animale per farcelo trattare e poterlo così esporre. Ultimamente abbiamo preparato anche un elefante morto allo zoo di Pistoia che poi è entrato a far parte del Museo di Storia Naturale di Calci.

Quale è il primo approccio quando ha un animale tra le mani?

La prima cosa che provo è meraviglia, la meraviglia di come sia incredibile e perfetta la Natura. Poi viene il dispiacere per l’animale morto.

Il suo rapporto con la natura e gli animali?

Abito in piena campagna circondato da animali e ci sto benissimo.

Essendo uno dei pochi in Europa a saper fare questo mestiere, come pensa di tramandare questa arte artigiana?

Io penso che l’evoluzione umana è arrivata fin qui proprio perché è riuscita a tramandare le cose che sono state fatte, altrimenti andremmo a perdere una delle nostre caratteristiche che ci identifica come essere umani. Noi abbiamo aperto una scuola di tassidermia riconosciuta dalla Regione Toscana e abbiamo avuto molti più studenti di quelli che pensavo sarebbero arrivati. Ho sempre avuto il timore che il nostro lavoro fosse visto vicino alla caccia, e quindi malvisto, ma non è così. Ho dubitato di avere attrattiva verso i ragazzi e invece ho avuto riscontri inaspettati, e non ho avuto neanche critiche sui social network. Al momento abbiamo 200 ragazzi in lista d’attesa per entrare, ma noi più di 5-10 persone all’anno non riusciamo a prendere. Purtroppo tutta questa richiesta non riusciamo a gestirla perché siamo pieni di lavoro, e allora ci concentriamo su numeri piccoli ogni anno, perché è un mestiere difficile da imparare.

Che caratteristiche servono?

Una conoscenza di base degli animali, essere un po’ scultore, un po’ pittore, un po’ chimico... questi ragazzi vengono da percorsi diversi: chi dalla scuola d’arte, chi dalla facoltà di Scienze naturali o biologia, abbiamo avuto anche un medico, in pensione.

Ci sono differenze di approccio tra chi si adopera in questa pratica per l’arte e chi per la scienza?

Le differenze ci sono, però entrambi partono dalla meraviglia, la meraviglia di come è possibile che ci siano degli animali così perfetti, che non smetti mai di scoprire e di capire.

Lei come si definirebbe?

Uno scultore affascinato dalla vita che ci scorre intorno


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