Perché Morandi è uno dei più grandi artisti italiani. Intervista a Maria Cristina Bandera


Perché Giorgio Morandi è considerato uno dei più grandi artisti italiani? Lo spiega in questa intervista la studiosa Maria Cristina Bandera, curatrice della mostra “Morandi 1890 - 1964”, visitabile fino al 4 febbraio 2024 a Milano, a Palazzo Reale.

Fino al 4 febbraio 2024, Palazzo Reale a Milano ospita la mostra Morandi 1890 – 1964, una delle più complete rassegne mai dedicate a uno dei massimi artisti italiani del XX secolo, Giorgio Morandi (Bologna, 1890 – 1964). La rassegna, ideata e curata da Maria Cristina Bandera, promossa dal Comune di Milano-Cultura e prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e 24 Ore Cultura, vede la presenza di circa 120 opere che tracciano un profilo completo del grande pittore e incisore, spesso in passato colpito dai pregiudizi che lo hanno etichettato come artista isolato e ripetitivo. Morandi è in realtà uno dei grandi nomi del Novecento: in questa intervista, la curatrice Maria Cristina Bandera ci illustra, oltre alle idee alla base della mostra, anche la grandezza di Morandi.

Maria Cristina Bandera
Maria Cristina Bandera

FG. Quali sono le novità della mostra?

MCB. La mostra è veramente una delle più complete che si potessero fare, con accostati prestiti di istituzioni importanti e di collezione private, secondo una scelta curatoriale molto forte: secondo me ci volevano certe opere, e solo quelle (naturalmente tra quelle raggiungibili), per esemplificare il percorso di Giorgio Morandi. E poi, la novità sta soprattutto nello sforzo che abbiamo compiuto tutti noi che abbiamo prodotto questa mostra, poiché ha richiesto quattro anni di lavoro e un impegno generalizzato molto forte per fare in modo che anche per il pubblico ci fosse la possibilità, quanto meno, di una rilettura di Morandi, se non addirittura di una nuova lettura per i giovani, proprio per sfatare i luoghi comuni che hanno limitato le letture di Morandi, soprattutto in Italia. Devo dire infatti che è stato più facile far intendere Morandi all’estero che in Italia, dove i pregiudizi sull’artista erano molto più forti: il pittore bolognese, chiuso nel suo studio, nella sua cameretta apparentemente povera. Che era sì una cameretta povera, con la brandina, ma Morandi veniva da una famiglia borghese, il resto della casa aveva mobili di Ottocento borghese, e poi era una cameretta povera per gli arredi, ma i mezzi pittorici di Morandi erano estremamente ricercati, voluti, con una grande attenzione per i colori, per l’olio essiccativo, per i pannelli che faceva acquistare con obiettivi mirati, quindi non lesinava su questi aspetti. E poi, Morandi lavorava quasi come un pittore di antica bottega, per cui quasi come Leonardo metteva delle impannate alla finestra, la sua stanza era perfetta per dipingere, per l’illuminazione, per questa grande finestra che dava sul cortile (che poi avrebbe offerto a Morandi il tema della pittura del cortile di via Fondazza) ma che Morandi appunto filtrava con delle impannate: si sa che Morandi dipingeva soprattutto il pomeriggio quando c’era un certo tipo di luce, anche perché alla mattina insegnava. È stato infatti, per ventisei anni, dal 1930 al 1956, docente di tecnica dell’incisione all’Accademia di Belle Arti, e peraltro la mostra non solo comprende 120 opere di cui 100 dipinti ad olio con i suoi temi del paesaggio, delle nature morte o dei fiori, ma anche una selezione molto importante di incisioni, che è occasione utile per un pubblico allargato, ma fornisce anche possibilità di approfondimento sull’artista stesso, perché essendo una mostra molto basata anche sull’importanza delle collezioni, come poi evidenziato peraltro nel catalogo che affianca l’esposizione (che è un catalogo importante, con studi importanti e tutto basato sul tema del collezionismo, ma anche sul collezionismo degli storici dell’arte e dei critici che avevano sostenuto Morandi, come Longhi, Brandi, Arcangeli e altri), anche per le incisioni è stata fatta una scelta legata al collezionismo: sono infatti presenti incisioni che per legato sono pervenute al Museo del Castello Sforzesco a Milano, alla collezione Bertarelli, già di Lamberto Vitali, studioso, collezionista e studioso di grafica, il primo a parlare di Morandi incisore nel 1934 (perché appunto Morandi è stato un grande incisore, tanto da aver vinto nel 1953 un importante premio a San Paolo del Brasile, quindi ancora una volta col riconoscimento all’estero prima ancora che in Italia). Tra le incisioni abbiamo anche scelto anche la natura morta scura fatta di grandi oggetti, l’unica opera presente in otto stati diversi, e in mostra ci sono gli otto stati, la lastra originale che è ancora in mano privata e la composizione pittorica di un anno successiva.

Quali sono secondo Lei i tratti più originali dell’arte Morandi e perché è considerato uno dei più grandi artisti del suo tempo?

Morandi è stato apprezzato da subito da alcuni collezionisti che hanno capito l’importanza del suo linguaggio, e via via l’importanza di Morandi sta crescendo. Però naturalmente noi possiamo basarci anche sulle indicazioni dei suoi primi sostenitori, dei suoi primi critici importanti, e un ruolo fondamentale l’ha avuto Roberto Longhi che nel 1934 ha parlato di Morandi a conclusione della sua prolusione sulla pittura, una carrellata della pittura bolognese dal Trecento fino appunto a Morandi, dove Longhi diceva che Morandi era uno dei grandi pittori italiani, quindi già con una dimensione italiana e non più limitata a Bologna. E poi altro momento fondamentale è stato un testo imprescindibile, quello del 1945 subito dopo la fine della guerra, dove Longhi sottolinea con degli aggettivi che sono veramente delle pietre miliari questi oggetti semplici di Morandi, questi paesaggi inameni, questo allontanarsi anche dalle spine della realtà, questa evocazione del paesaggio, questa resa della natura morta che non è da naturamortista che contempla una composizione ma che la guarda da vicino. E poi, per esempio, per agganciarmi anche a una lettura attuale, non solo la monumentalità architettonica delle opere di Morandi (compresa subito dal cinema), ma anche il soggetto che, come dice Morandi, “gira al minimo”, quindi quasi questa assenza di oggetto, un aspetto che forse ha limitato la comprensione di Morandi, ma che invece ci aiuta a comprenderlo oggi, perché questo suo allontanamento proprio dalla rappresentazione di un soggetto, di un tema, ci impone di guardare Morandi con occhi nuovi. E poi ancora l’impostazione enigmatica di certe composizioni, l’ambiguità percettiva, questi rapporti di pieni e di vuoti che raggiunge soprattutto nelle ultime opere con questo senso del vuoto secondo una cultura tipicamente orientale...

La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale
La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale
La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale
La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale
La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale
La mostra su Giorgio Morandi a Palazzo Reale

Tra i pregiudizi che hanno colpito la figura di Giorgio Morandi, c’è anche quello del suo presunto isolamento, anche rispetto al contesto culturale del suo tempo. Invece la rassegna di Palazzo Reale dimostra che Morandi aveva rapporti forti con Longhi, Brandi, Arcangeli e altri, ma come si collocava Morandi nel contesto culturale del suo tempo?

È questo che impressiona di Morandi: le scelte lucidissime che lui ha fatto da subito, quindi ha guardato da subito la cultura francese attraverso le fotografie che guardava a lungo sui quaderni de La Voce, ha guardato subito a Cézanne e al primo cubismo. E nonostante fosse un artista che, a differenza dei futuristi, non voleva fare proclami, e quando parlava le sue parole erano soppesate, ebbe a dire che se c’era uno della sua generazione che guardava alla Francia questi era lui. Aveva dunque questa consapevolezza: lui guardava alla Francia quando per esempio alla Biennale di Venezia si esponeva la Giuditta di Klimt che poi veniva acquistata da Ca’ Pesaro. E poi aveva rapporti con gli artisti e con la critica, per esempio con Carrà, con De Chirico e poi appunto Longhi dal 1934, Brandi dal 1939 a Roma, Arcangeli, lo stesso Argan che ha fatto la prima mostra di Morandi (una delle prime importanti) nel 1957 in America. Tutto ciò pur avendo ciascuno di loro un modo diverso di intendere Morandi, perché per esempio Longhi lo metteva a barriera contro l’astrattismo, e diversamente Venturi lo leggeva proprio in chiave di elementalità astratta.

Tanti hanno detto che Morandi era un artista ripetitivo, ma lui stesso (e un pannello in mostra riporta questa sua citazione) diceva di essere riuscito a evitare la ripetitività. Ecco come ci è riuscito? Perché Morandi non è un artista ripetitivo?

Questa mostra vuole veramente imporre al pubblico di guardare le sue opere, e oltretutto ne dà la possibilità, perché proprio secondo questo progetto curatoriale molto forte sono state accostate su una stessa parete, in questo allestimento perfetto curato da Corrado Anselmi, opere apparentemente simili, ma un’osservazione attenta ci fa capire come queste opere non siano mai uguali. Prima di tutto cambia quasi sempre il formato perché, e anche questo va detto, Morandi si faceva fare i telai in funzione dell’idea, quindi non applicava l’opera a un telaio già preconfezionato. Poi cambiano i colori, cambia anche se di poco la disposizione degli oggetti, c’è quindi alle spalle un’elaborazione molto lenta e molto meditata, molto ricercata, molto voluta e ugualmente lo spettatore deve fare questo esercizio di lettura. Io amo ripetere, perché la trovo una dichiarazione molto forte e molto significativa, l’affermazione di Schjeldahl, recensore del New Yorker al tempo della mostra su Morandi al Metropolitan, quando lui diceva che tutti dovremmo avere un quadro di Morandi come esercizio quotidiano per l’occhio, per la mente e per l’anima, e aggiungeva che si deve stare in forma con Morandi. È emersa proprio questa questa necessità di una lettura dinnanzi all’opera, perché a me è capitato anche, durante questi anni, di incontrare diverse persone che ripetevano il pregiudizio di Morandi ripetitivo. Io chiedevo: “Ma Lei cosa ha visto di Morandi?”. E solitamente mi veniva risposto: “Poco, oppure le fotografie sui libri”. Ecco, come tutti i pittori Morandi va visto dal vivo, però va sottolineato che una mostra, anche importante, fatta per esempio da 50 capisaldi, senza però accostamenti mirati, non fa percepire questa capacità di variazione di Morandi. Sono opere di simile composizione, ma non sono uguali e non sono nemmeno realizzate in serie. Ecco, non è nemmeno la serie nell’idea di Monet, quindi non è la stessa opera che cambia con la luce, ma sono composizioni di simili soggetti.

Giorgio Morandi, Natura morta (1953; olio su tela; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca) © Giorgio Morandi, by SIAE 2023
Giorgio Morandi, Natura morta (1953; olio su tela; Mamiano di Traversetolo, Fondazione Magnani-Rocca) © Giorgio Morandi, by SIAE 2023

Il collezionismo milanese è stato molto importante anche per l’affermazione storico-critica di Morandi. E questa peraltro è una delle ragioni per cui la mostra si tiene a Milano. Come si è diffusa la sua opera tra i collezionisti milanesi?

Forse il collezionismo di Milano era più aperto, quella milanese era una borghesia illuminata di tradizione, per cui i collezionisti si contendevano le opere di Morandi. Una funzione molto importante l’ha svolta la Galleria del Milione come tramite: non era una galleria privilegiata e non aveva un’esclusiva sulle opere di Morandi, ma Morandi si fidava, e anche nelle sue scelte di questo tipo è sempre stato lucido. Non solo dunque ha saputo porsi in relazione con gli studiosi e con i critici, ma anche con i collezionisti, facendo delle scelte che a posteriori potremmo dire perfette, e quindi i collezionisti milanesi hanno capito da subito l’importanza di Morandi, tant’è vero che si dice (anche se non abbiamo una documentazione comprovata) che già nel 1934 a Milano era stata fatta una mostra di Morandi.

Chiudiamo con una domanda su una frase di Morandi, riportata anche nel percorso di mostra: Morandi disse che non c’è niente di più surreale e astratto del reale. Cosa intendeva?

A me piace lasciare aperta questa domanda, lasciare un interrogativo al pubblico. In fondo, come dicevo prima, Longhi, Arcangeli e Venturi, pur appartenendo tutti alla stessa generazione e pur sostenendo tutti Morandi, davano una lettura diversa della sua opera. Longhi e Venturi avevano partecipato entrambi alla Biennale del 1948: erano nella commissione giudicatrice della Biennale quando Morandi, nel 1948, con le sue opere metafisiche di cui la bellissima natura morta metafisica di Brera, era in mostra e ha avuto il primo premio della pittura. Eppure Longhi e Venturi davano una lettura, appunto, agli antipodi. Potremmo dire che per Morandi la natura è fatta di caratteri che non sono quelli del nostro alfabeto ma, citando Galileo, sono forme geometriche. È un’idea che tuttavia lascia la possibilità a noi di interpretare Morandi, e questo credo che sia anche il momento ideale per rileggere Morandi in chiave moderna. Perché in fondo non è un pittore fossilizzato, ma è un pittore che ancora oggi ci permette di leggere le sue opere con gli occhi del nostro tempo.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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