La Gioconda del Louvre è la seconda versione dell'opera di Leonardo da Vinci?


La Gioconda che oggi vediamo al Louvre è la seconda versione di un originale su cui Leonardo da Vinci cominciò a lavorare molto tempo prima? È questa la domanda a cui vuole rispondere Salvatore Lorusso con il suo libro “Is the Louvre Mona Lisa Leonardo’s second versi

La Gioconda, il capolavoro di Leonardo da Vinci conservato al Louvre, è la seconda versione di un dipinto che il grande artista toscano aveva cominciato in precedenza? È questa la domanda che si pone Salvatore Lorusso nel libro Is the Louvre Mona Lisa Leonardo’s second version?, da poco uscita per le edizioni L’Erma di Bretschneider (136 pagine, 75 euro, ISBN 9788891325839). Lorusso, già docente di Chimica dell’ambiente e dei beni culturali all’Università di Bologna e fondatore, presso lo stesso ateneo, del Laboratorio di Diagnostica per i Beni Culturali, torna su un problema che è stato spesso discusso dagli studiosi di Leonardo (ne parlava, per esempio, già Carlo Pedretti negli anni Cinquanta) per fare il punto della situazione, con l’obiettivo di trovare la quadra e giungere a una conclusione. Che si può subito anticipare: per Lorusso, infatti, le “prove significative presentate in ciascuno dei capitoli di questo volume”, leggiamo nel libro in inglese (la traduzione è nostra), “dovrebbero stabilire oltre ogni ragionevole dubbio che Leonardo eseguì due distinte Monna Lisa in periodi diversi, e confermano le loro caratteristiche individuali: una Monna Lisa precoce, non finita, e una più tarda, finita, che è stilisticamente e strutturalmente diversa da quella precedente”. Questa più tarda e finita sarebbe, secondo Lorusso, l’opera che oggi tutti possiamo vedere al Louvre.

Sono almeno sette, secondo l’autore, le prove a sostegno di questa tesi. La prima è la descrizione della Gioconda contenuta nelle Vite di Giorgio Vasari: il grande storiografo, in entrambe le edizioni della sua opera monumentale (quella del 1550 e quella del 1568), descrive dettagliatamente il dipinto, dichiarando che Leonardo lo lasciò incompleto, e afferma che era stato commissionato da Francesco del Giocondo, marito di Lisa del Giocondo, ovvero la “Monna Lisa” del quadro. Si trovano qui le prime contraddizioni, secondo Lorusso, dal momento che Vasari parla di un’opera incompiuta, mentre invece la Gioconda del Louvre è un dipinto finito, e inoltre Vasari non fa menzione del paesaggio, che invece è presente nel dipinto. Occorre ricordare che Vasari non vide mai l’opera e che quindi si basò per forza di cose su informazioni riportate, ma secondo Lorusso bisogna anche ammettere che l’osservatore che gli descrisse il dipinto dovette pur averlo visto. La seconda prova è considerata la scoperta, nel 2005, del “documento di Heidelberg”, una nota, rinvenuta presso la biblioteca dell’università tedesca dallo studioso Armin Schlechter, in cui un assistente di Niccolò Machiavelli, Agostino Vespucci, riferisce di una “testa di Lisa del Giocondo” nel 1503, chiamandola “pictura” e facendo un paragone con il pittore antico Apelle, circostanza che nel 2008 aveva portato Vincent Delieuvin, specialista di Leonardo, conservatore del Louvre e curatore della grande mostra su Leonardo tenutasi nel 2019 al museo francese, a dire, durante una trasmissione televisiva, che “non possiamo essere assolutamente certi che questo ritratto sia il dipinto del Louvre”.

La copertina del libro
La copertina del libro
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1519; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)
Leonardo da Vinci, La Gioconda (1503-1519; olio su tavola, 77 x 53 cm; Parigi, Louvre)

Il terzo indizio è il famoso disegno a penna e inchiostro di Raffaello Sanzio, del 1504 circa, che rappresenta una donna, nella stessa posa della Gioconda, con, dietro di lei, uno sfondo appena accennato ma dove si distinguono bene le due colonne che evidentemente Leonardo prevedeva di inserire nel dipinto e che ritroviamo puntualmente in diverse copie tarde. Raffaello rappresenta una donna molto giovane, o comunque più giovane rispetto alla Monna Lisa del Louvre. Tutti segni che l’Urbinate avrebbe guardato a un’opera diversa, secondo Lorusso: in particolare, a un dipinto eseguito da Leonardo tra il 1503 e il 1506, dove si vedeva la figura di Monna Lisa più giovane (Lisa del Giocondo nacque nel 1479), sopra un paesaggio abbozzato, e incorniciata da due grandi colonne ai lati. Il quarto elemento è il diario di viaggio di Antonio de Beatis, segretario del cardinale Luigi d’Aragona che, nel 1517, si recò in visita da Leonardo ad Amboise. Nel diario, De Beatis annota che tra i quadri osservati da lui e dal cardinale nella residenza di Leonardo, il castello di Clos-Lucé, figurano tre quadri tra cui il ritratto di “certa dona fiorentina facta di naturale ad istantia del quondam magnifico Juliano de’ Medici”. Non sappiamo per certo quale sia il quadro in questione, ma molti ritengono si trattasse della Gioconda del Louvre, che all’epoca si trovava in Francia: la nota in effetti ha sollevato molte discussioni, e la posizione di Lorusso è che si riferisca a un quadro diverso rispetto a quello che Leonardo aveva cominciato nel 1503, e che il suo committente fosse Giuliano di Lorenzo de’ Medici, duca di Nemours.

Proseguendo, il quinto elemento è lo stile del dipinto, compatibile con la fase matura dell’arte di Leonardo da Vinci. Inoltre le caratteristiche morfologiche del paesaggio sarebbero compatibili con alcuni disegni risalenti al periodo 1513-1516. Il sesto elemento è invece dato dalla Gioconda del Prado, opera di altro artista ispirata al prototipo leonardiano, che secondo Lorusso consente di fissare la datazione della Gioconda del Louvre al 1513-1516, dal momento che la variante spagnola è ritenuta contemporanea alla Monna Lisa e che il suo autore, finora ignoto, dovette vedere il maestro al lavoro fino agli ultimi ritocchi sul quadro del Louvre per poter creare un’immagine così somigliante: circostanza che, secondo Lorusso, dati anche i risultati delle analisi dai quali emerge che la variante del Prado seguì lo sviluppo dell’originale del Louvre nella sua esecuzione, permetterebbe di scartare l’idea di una lunga gestazione del dipinto. C’è poi il settimo elemento, che Lorusso considera decisivo: i risultati conseguiti dalle analisi sulla Gioconda realizzate tra il 2004 e il 2005 dal Centre de Recherche et de Restauration des Musées de France (C2RMF). In particolare, gli esami hanno rivelato che la balaustra con le colonne è stata dipinta sopra la figura, che il ritratto è stato dipinto direttamente sulla preparazione, che non ci sono evidenze di disegni o di trasferimenti da cartone, che sfondo e figura sembrano essere stati dipinti simultaneamente, che la preparazione corre lungo tutto il perimetro della tavola e quindi l’opera non è stata tagliata, che l’andamento della craquelure indica che il paesaggio è stato tutto dipinto nello stesso periodo. Stando così le cose, afferma Lorusso, non è possibile che la Gioconda sia l’opera di cui parlano Vasari e Vespucci e che disegnò Raffaello, perché Leonardo non avrebbe aggiunto il paesaggio successivamente, e poi la Gioconda del Louvre non avrebbe avuto in origine colonne poi tagliate in un secondo momento, sarebbe improbabile l’esistenza di un cartone preparatorio, e la Gioconda del Louvre sarebbe un dipinto compiuto. Le analisi del C2RMF avrebbero inoltre chiarito le fasi di realizzazione del dipinto, così riassunte da Lorusso: per primi, Leonardo ha dipinto lo sfondo e la balaustra; subito dopo, ha eseguito la figura di Monna Lisa assieme a tutto il resto; in terzo luogo, ha dipinto il velo della donna, realizzandolo sopra lo sfondo; infine, ha aggiunto le colonne. “Questa sequenza di eventi”, scrive l’autore, “è di primaria importanza perché esclude la possibilità che questo sia lo stesso ritratto che Raffaello vide e abbozzò nel 1504. Questo perché [...] il ritratto che vide includeva la donna col suo velo, così come le colonne a fianco, ma non lo sfondo”.

Lorusso include poi altri elementi, meno decisivi, ma comunque degni d’attenzione: per esempio un passaggio nel Trattato dell’Arte della Pittura di Giovanni Paolo Lomazzo dove si dice che Leonardo eseguì “il ritratto della Gioconda et di Mona Lisa”, o ancora il fatto che di alcune opere di Leonardo esistano più versioni autografe (è il caso della Vergine delle rocce), e ancora i documenti di Salaì, ovvero un inventario delle opere in suo possesso nel 1525, in cui si cita anche un ritratto di una donna “dicta la Joconda”, con un’altissima valutazione, e una ricevuta del 1518 riguardante la vendita di molti quadri a Francesco I di Francia, tra i quali forse è possibile includere anche la Monna Lisa del Louvre. Tuttavia, in un successivo elenco degli stessi quadri in possesso del Salì nel 1525, redatto nel 1531, e in cui si attesta che sua sorella li aveva consegnati a un certo Ambrogio da Vimercate come pegno per un debito, la valutazione è di molto ribassata, segno che probabilmente non fossero originali di Leonardo. Altre ipotesi vogliono invece che la Gioconda, per un qualche tempo, sia tornata a Milano. Insomma, il caso dei due documenti è piuttosto spinoso.

Qual è la posizione del Louvre nel dibattito? Sulla scheda del dipinto, redatta da Vincent Delieuvin nel 2021, viene proposta una datazione 1503-1519 e vengono discussi alcuni dei punti sollevati da Lorusso. Sul documento di De Beatis per il quale la Gioconda sarebbe stata dipinta per Giuliano duca di Nemours, Delieuvin ricorda che Leonardo dimostrò spesso una libertà senza eguali nei confronti degli obblighi che aveva verso i mecenati: alcune opere, argomenta il museo, furono cominciate e lasciate incompiute (come l’Adorazione dei magi oggi agli Uffizi), oppure cedute ad altri (la prima versione della Vergine delle rocce). A sostegno di quest’idea, il Louvre cita una lettera scritta da Leonardo da Vinci a Carlo II d’Amboise, governatore di Milano all’epoca dell’occupazione francese, in cui l’artista scrive di aver portato da Firenze a Milano due Madonne di diverse dimensioni “le quale io ho cominciate pel cristianissimo Re o per chi a voi piacerà”, segno del fatto che Leonardo non trovava strano cominciare un dipinto per un committente e finirlo per un altro. Per il Louvre, in sostanza, Leonardo dovette lavorare lentamente, “creando a poco a poco un meraviglioso capolavoro che sedusse i mecenati successivi, Luigi XII, Giuliano de’ Medici e infine Francesco I che giunse ad acquisirlo”. Inoltre, sull’incompiutezza del dipinto, il Louvre stesso nella scheda riferisce che Leonardo iniziò il dipinto attorno al 1503 e lo conservò “fino alla fine della sua vita per continuare l’esecuzione, ancora incompiuta alla sua morte”. Ci sono degli elementi effettivamente incompiuti: “le due mezze colonne visibili ai lati della dama”, come ha scritto Pietro Marani, “il parapetto e parte del paesaggio a sinistra, dove appare il colore rossastro della preparazione, così come non finite sembrano le dita della mano sinistra, di cui si intravedono varianti nella posizione più o meno piegata. Anche il dito indice della mano destra mostra un visibile pentimento nella larghezza e nel suo disegno”. Marani, nel citare la radiografia del 1954, la prima eseguita sul dipinto, afferma che diversa fosse inizialmente l’ipostazione del volto, cambiata poi nel corso del tempo con sottili velature di colore a olio. Basteranno le prove indicate da Lorusso per far cambiare idea al Louvre?


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