Arthur Jafa per una cosmologia nera


Arthur Jafa, statunitense, è uno dei maggiori artisti contemporanei della scena mondiale. Le sue opere, che usano il video ma anche altri linguaggi, affrontano il tema dell'originalità e delle potenzialità della cultura black. Riscrivendone l'intera cosmologia.

Se si parla di Arthur Jafa (Tupelo, 1960), probabilmente la memoria va a Love is the message, the message is death (2016). L’opera video, della durata di circa 7 minuti, era stata infatti resa disponibile in streaming durante due giornate nell’estate 2020. L’iniziativa a sostegno del movimento americano Black Lives Matters, proposta dallo Smithsonian American Art Museum e dall’Hirshhorn Museum and Sculpture Garden, aveva fatto tappa anche in Italia grazie a Palazzo Grassi. E sempre a Venezia, Jafa era stato protagonista nel 2019 quando gli era stato assegnato il Leone d’oro alla Biennale d’arte curata da Ralph Rugoff per il suo The white album (2019).

Entrambe le opere citate sono video e questo non deve stupire dal momento che “il primo amore” di Jafa, per sua stessa ammissione, è il cinema. In quest’ambito, del resto, muove i primi passi dopo aver intrapreso gli studi a Washington D. C. in architettura e cinematografia presso la Howard University tra il 1978 e il 1982. La carriera di Jafa, che pure in passato aveva visto collaborazioni con registi come Stanley Kubrick (Eyes Wide Shut, 1999) o Spike Lee (Crooklyn, 1994) o artisti quali Jay-Z, Solange Knowles e Kanye West, decolla nel mondo dell’arte proprio grazie a Love is the message, the message is death (2016), a cui Finestre sull’arte aveva già dedicato un approfondimento nel 2020. L’opera è una potente ode alla comunità nera americana e si serve, come è prassi per l’artista, di materiale trovato su internet e reimpiegato accanto a scene di vita personale da lui girate. Sulle note di Ultralight beam di Kanye West, Jafa costruisce una narrazione d’impatto per mostrare quello che Federico Giannini ha descritto come il “dissidio tra cultura nera e violenza”, il contrasto cioè tra la miseria della discriminazione ancora fortemente presente nella società americana e la ricchezza della black culture, ampiamente riconosciuta (F. Giannini, “Love is the message, the message is death”, il capolavoro di Arthur Jafa descrive realtà, sogni e cultura della comunità nera, “Finestre sull’arte”, 5/07/2020).

Arthur Jafa. Foto Fondazione La Biennale
Arthur Jafa. Foto Fondazione La Biennale
Arthur Jafa, Love is the message, the message is death (2016; fotogramma dal video, colori e bianco e nero, durata 7’30’’)
Arthur Jafa, Love is the message, the message is death (2016; fotogramma dal video, colori e bianco e nero, durata 7’30’’)
Arthur Jafa, Love is the message, the message is death (2016; fotogramma dal video, colori e bianco e nero, durata 7’30’’)
Arthur Jafa, Love is the message, the message is death (2016; fotogramma dal video, colori e bianco e nero, durata 7’30’’)
Veduta della mostra Magnumb
Veduta della mostra Magnumb
Veduta della mostra Magnumb
Veduta della mostra Magnumb

La mostra Magnumb, recentemente conclusasi al Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaek in Danimarca, insiste fin dal gioco di parole che compone il titolo su questo binomio ossimorico e offre la possibilità di confrontarsi con la più vasta rassegna mai vista sulla ricerca di Jafa. Lavori passati si affiancano alle opere più recenti e inedite, permettendo di seguire le diverse tecniche (dalla fotografia al video fino alla scultura) impiegate dall’artista e di conoscere, fin dalle origini, il processo creativo che guida la produzione di Jafa. La sua pratica artistica è, per certi aspetti, frutto di un’attitudine sviluppata in tenera età. Fin da ragazzo, l’artista ha ritagliato da riviste e giornali le immagini da cui era attratto o turbato, andando a costruire un patrimonio di materiali pronti all’uso. Con l’avvento della tecnologia, questo sconfinato archivio di riferimenti visivi si è fatto digitale ma ha mantenuto caratteristiche costanti. Nonostante la randomicità della continua ricerca di Jafa, il materiale viene fin da subito accostato secondo principî ben chiari ma non predeterminati o costanti. Talvolta Jafa ordina le sue raccolte di immagini per criteri cromatici, altre volte su base tematica e si riferisce a queste come a progetti cinematografici in potenza, in attesa che trovino un loro compimento, in accostamenti di senso sempre nuovi e potenziati da un sapiente uso del suono e della musica. Selezionando da questi album fisici o digitali, Jafa compone parte delle sue opere. Si pensi a The White Album (2019), opera video il cui titolo fa riferimento all’archivio raccolto dall’artista per raccontare la violenza perpetrata dalle persone bianche sulla comunità nera e innescare dunque una riflessione su cosa significhi all’interno della società essere neri o bianchi, prescindendo dal colore della pelle.

Una bella lettura dell’opera di Jafa è stata data, proprio in occasione dell’ultima personale in Danimarca, da Mathias Ussing Seeberg, curatore del Louisiana Museum of Modern Art. Utilizzando le interviste e le conferenze tenute dall’artista, facendo riferimento ai testi da lui scritti e mettendo in luce anche opere meno note, Seeberg traccia un percorso per parole chiave all’interno dell’opera di Jafa. Impossibile non ricollegare alcuni aspetti ricorrenti: la già menzionata compresenza di scene di estrema bellezza e vivacità e momenti inquietanti e orrorifici, la presenza di elementi naturali di straordinaria potenza, una riflessione che parte dal corpo nero, su cui secoli di storia coloniale hanno lasciato tracce indelebili (Mathias Ussing Seeberg, Beauty through horror. An Introduction to the work of Arthur Jafa in Magnumb, catalogo della mostra, Louisiana Museum of Modern Art, 21 maggio 2021 - 31 ottobre 2021, pp. 22-37).

Arthur Jafa, The White Album (2018; fotogramma dal video, colori, durata 40’00’’)
Arthur Jafa, The White Album (2018; fotogramma dal video, colori, durata 40’00’’)
Arthur Jafa, Dreams are colder than death (2013; fotogramma dal video, colori, durata 52’57’’)
Arthur Jafa, Dreams are colder than death (2013; fotogramma dal video, colori, durata 52’57’’)
Arthur Jafa, Aghdra (2021; fotogramma dal video, colori)
Arthur Jafa, Aghdra (2021; fotogramma dal video, colori)
Arthur Jafa, LeRage (2017; stampa a colori su Dibond; 212 x 195,89 x 51,11 cm; Miami, ICA)
Arthur Jafa, LeRage (2017; stampa a colori su Dibond; 212 x 195,89 x 51,11 cm; Miami, ICA)
Arthur Jafa, Monster (1988; stampa alla gelatina d'argento, 23 x 18,2 cm; New York, MoMA)
Arthur Jafa, Monster (1988; stampa alla gelatina d’argento, 23 x 18,2 cm; New York, MoMA)
Arthur Jafa, Big Wheel III (2018; pneumatico, catene, cerchio, coprimozzo e tessuto di cotone, 231,14 x 231,14 x 93,98 cm; Buffalo, Albright-Knox Art Gallery)
Arthur Jafa, Big Wheel III (2018; pneumatico, catene, cerchio, coprimozzo e tessuto di cotone, 231,14 x 231,14 x 93,98 cm; Buffalo, Albright-Knox Art Gallery)
Arthur Jafa, Black Flag (2017)
Arthur Jafa, Black Flag (2017)

Nelle opere di Jafa compare in maniera persistente l’elemento acquatico da Dreams are colder than death (2013) fino a Aghdra (2020). La simbologia dell’acqua, in queste opere video, è tutta in relazione alla dolorosa esperienza della schiavitù, del distacco che l’oceano segna tra i discendenti afroamericani e i paesi di orgine. Nel primo lavoro, alcuni ragazzi vengono estratti da una piscina per mezzo di un ralenti al contrario che inverte l’ordine delle azioni. Ad uno ad uno vengono riportati sulla terra ferma, salvati da quell’oceano in miniatura che per i loro antenati aveva significato non solo separazione dalla madre patria, ma in molti casi la morte. Anche in Aghdra, realizzato appositamente in digitale tramite l’uso del CGI (Computer-Generated Imagery) per la mostra danese, ci si trova in presenza di un’onda nera, ipnotica e misteriosa. Mentre il sole sta sorgendo all’orizzonte, colorando di rosso il cielo, del materiale scuro, come fosse lava o zolle di terra, viene trasportato dalle onde, a significare la forza di propagazione della cultura nera. Quella stessa forza a cui Jafa allude con le immagini del sole incandescente in Love is the message e di cui parla in My black death, pubblicato nel 2015 dall’editore Publication Studio Hudson nella collana On the Blackness of Blacknuss. Nel breve testo, l’artista ripercorre l’impatto avuto dall’arte africana prima e dalla musica jazz poi sulla cultura occidentale. Un riconoscimento di valore rivolto certamente all’estetica nera ma che sembra non riguardare la comunità che l’ha prodotta. Proprio su questo aspetto, provocando e illuminando la questione, Jafa lavora anche sul tema del corpo nero. In ordine cronologico, è possibile seguire la sua indagine a partire dalla scultura Ex slave Gordon (2017), traduzione tridimensionale di un’iconica fotografia del 1863 che ritrae la schiena deturpata dalle frustate di uno schiavo, fino ad arrivare a LeRage (2017), una grossa sagoma nera del personaggio Marvel Hulk, o a Monster II (2018), autoritratto fotografico dall’espressione mostruosa, in cui l’artista sottolinea, non senza ironia, l’associazione troppo spesso portata avanti dai media tra persone di colore e violenza. Anche i giganteschi pneumatici, utilizzati in campo industriale, nella serie delle Big Wheels (2018) intendono mimare il corpo nero che. in epoca coloniale, era considerato e trattato alla stregua di macchina da lavoro. Ancora nell’opera fotografica MJ (2018) Jafa mette l’accento sulla rappresentazione della fisicità nera, utilizzando nel titolo le iniziali dell’icona pop Michael Jackson e mostrando un corpo bianco con genitali neri. Se da un lato il riferimento esplicito è alla fotografia di Robert Mapplethorpe, l’artista mostra attraverso la metafora fotografica la capacità, o talvolta la necessità, delle persone di colore di adattarsi al contesto, “mutando pelle”, al fine di essere accettati nella società.

L’opera di Jafa, declinata come si è visto attorno a un grande tema, affrontato attraverso varie forme d’arte, è essa stessa un’onda, come When the levee breaks (2020), dove Mickey Mouse a cavallo di un Alien, si muove nella stessa direzione dell’oceano nero, durante un’eclissi totale che oscura il cielo. Impossibile non esserne travolti, anche laddove l’artista si rivolge in primo luogo alla comunità nera, in un mondo in cui il punto di vista adottato è sempre quello dell’uomo bianco. Inglobando fatti d’attualità, riferimenti storici, musicali, visivi, cinematografici e artistici, Jafa sventola la sua Black Flag (2017), rivisitazione della contestata bandiera confederata, e ribalta la prospettiva, iniziando a scrivere una nuova cosmologia black.


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Stella Cattaneo

L'autrice di questo articolo: Stella Cattaneo

Specializzanda in Storia dell'arte e valorizzazione del patrimonio artistico presso la Scuola di Specializzazione dell'Università degli studi di Genova. Attualmente curatrice di Casa Museo Jorn (Albissola Marina, Savona), ha partecipato a convegni e giornate di studio all'Università di Losanna e all'Università di Genova (2019) e a seminari internazionali di museologia (école du Louvre, 2018). I suoi interessi di ricerca si rivolgono prevalentemente all'arte contemporanea con particolare attenzione al periodo del secondo dopoguerra e all'opera di Yves Klein.



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