L’unica applicazione nota del microscopio di Galileo Galilei (Pisa, 1564 – Arcetri, 1642) su di un’opera d’arte riguarda un lavoro... apparentemente insospettabile. Nella Collezione Diego Costantini è infatti conservata una Madonna col Bambino che, a guardarla in maniera superficiale, e forse anche indugiando sulle figure, non sembra nascondere niente di strano. Ma in realtà custodisce un interessante segreto che rimanda alle sperimentazioni del secolo della scienza. L’opera è dell’ottobre 1642 (o forse 1692: la terza cifra infatti non è ben distinguibile) ed è firmata: “Ignatius Moliginus scripsit anno 1642”. È un’opera inedita, presentata per la prima volta nell’ambito della mostra La Città del Sole: arte barocca e pensiero scientifico nella Roma di Urbano VIII (a Roma, a Palazzo Barberini, dal 16 novembre 2023 all’11 febbraio 2024, organizzata dal Museo Galileo di Firenze e dalle Gallerie Nazionali di Arte Antica di Roma).
Una curiosa opera barocca che ci conduce direttamente nella temperie culturale degli anni centrali del Seicento, nel periodo in cui s’andava elaborando il metodo scientifico, all’epoca in cui in tutta l’Europa era diffusa la passione per le Wunderkammer, le raccolte di curiosità che i più facoltosi collezionisti cercavano in tutto il mondo senza badare a spese. Oggi potrebbe sembrare strano, ma all’epoca anche il microscopio di Galileo era visto quasi come una stranezza, tanto che il primo a usare il mycroscopion (il nome si deve a un accademico dei lincei, Giovanni Faber, che così chiamò lo strumento nel 1625) per scopi scientifici fu l’eclettico studioso Athanasius Kircher, collezionista di oggetti bizzarri, che adoperò lo strumento per studiare i microbi. Ma evidentemente il microscopio si prestava anche ad altri utilizzi.
La Madonna col Bambino firmata da Ignatius Moliginus serba una particolarità: sull’intera superficie del disegno si trova un calligramma, e cioè un componimento figurato (quello in cui le parole del testo si dispongono a formare una figura), che in questo caso può essere letto soltanto facendo utilizzo del microscopio, altrimenti non si potrebbe vedere: c’è dunque anche chi chiama micrografia questo tipo di scrittura. La superficie di quest’opera, realizzata a matita, inchiostro e polvere d’oro su pergamena, è infatti attraversata da alcune linee orizzontali che a occhio nudo si vedono a malapena, ma che tornano intelligibili se si ingradiscono con la lente di un microscopio. E si scoprirà che riproducono un intero libro di litanie, ovvero l’Officium Beatae Mariae Virginis, un testo liturgico, molto diffuso al tempo, che era stato riformato nel 1631 da papa Urbano VIII, oltre a un ulteriore insieme di preghiere.
Il segreto della Madonna col Bambino di Ignatius in realtà è messo bene in evidenza dall’iscrizione che corre lungo il bordo dell’opera: potremmo definirle le istruzioni per l’uso. L’iscrizione elenca tutto quello che si trova all’interno dell’opera (“L’Officium Beatae Mariae Virginis, sette salmi penitenziali, l’Officium defunctorum, tutti i vespri e le litanie di tutti i santi” e così via), con un’avvertenza: “bisogna osservare che occorre leggere al microscopio” (in latino “Hoc tamen animadvertendum est ut debeat legi cum mycroscopion”). È come se un libro di circa 500 pagine fosse riportato per intero su di un foglio. Sembra incredibile, ma l’Ignatius Moliginus che firmò l’opera riuscì in quest’impresa. Aiutandosi proprio con il microscopio. Senza, non è possibile distinguere le parole a occhio nudo.
Diego Costantini, che ha firmato la scheda del catalogo della mostra che costituisce la prima pubblicazione dell’opera, suggerisce, seppur con un punto interrogativo, l’ipotesi che la Madonna col Bambino con la sua micrografia possa esser stata concepita come “mirabilia per stupire Urbano VIII”. Difficile dirlo, anche perché non è ancora chiaro se il foglio venne riempito di scritte prima che venisse disegnata la Vergine con Gesù Bambino (e in questo caso, il testo potrebbe anche avere una nascita indipendente rispetto alle figure), oppure se le scritte vengono dopo il disegno, e quindi qualcuno ha avuto la precisa idea di “camuffare”, in qualche modo, il testo. È comunque abbastanza probabile che l’opera sia stata prodotta negli ambienti dei Barberini: l’immagine è infatti tratta da un dipinto di Pietro da Cortona, oggi al Louvre, la Vergine col Bambino e santa Martina, che l’artista toscano dipinse negli anni Quaranta del Seicento per Antonio Barberini, che forse la donò alla monarchia francese. L’opera ebbe una notevole diffusione, grazie anche alle incisioni, come quella di François Spierre che, durante il suo soggiorno a Roma tra il 1660 e il 1663, ricevette il preciso incarico di tradurre l’opera di Pietro da Cortona, che aveva per quest’ultimo, peraltro, un significato molto particolare, dato che l’artista cortonese era molto devoto a santa Martina per il fatto che i suoi resti vennero rinvenuti durante i lavori di ristrutturazione della chiesa dei Santi Luca e Martina che erano stati promossi proprio dai Barberini.
Chi era, infine, l’Ignatius Moliginus che firma l’opera? Abbiamo qualche notizia su di lui. Era un calligrafo di origini svedesi che in altre occasioni s’era firmato col suo nome, Ignazio Francesco Muligin: ci rimangono alcune sue opere, tra cui un disegno (un ritratto di Maria Anna Cristina di Baviera in trionfo), realizzato probabilmente dal pittore francese Pierre Mignard, che riporta un altro calligramma di Muligin (Il trionfo d’applausi e di glorie figurato di purissime lettere di sua altezza reale Maria Anna Christina Vittoria di Baviera delfina di Francia, nel quale si contengono li seguenti versi, da leggersi nella figura con il microscopion). Quest’opera è stata acquisita nella primavera del 2023 dalla Huntington Library di San Marino (California): “I reali di tutta Europa erano abituati a poeti che celebravano la loro grandezza con versi iperbolici e ad artisti che li rappresentavano abilmente come divini”, spiegava il museo al momento dell’acquisizione, “ma questo capolavoro è unico perché era esplicitamente pensato per essere letto con un nuovo strumento scientifico: il microscopio”. Si tratta, ha spiegato Joel Klein, curatore della Huntington Library, di un’opera che si pone “a testimonianza dell’interdipendenza essenziale tra arte e scienza”, e di un disegno che “è anche un risultato tecnologico e un oggetto di meraviglia, dimostrando il potenziale del microscopio nel rivelare dettagli nascosti e nuove prospettive”.
Muligin, tra il 1683 e il 1689, fu al servizio del cardinale Angelo Maria Ranuzzi, legato apostolico alla corte del re di Francia, ed era amico del poeta francese Gilles Ménage (Angers, 1613 – Parigi, 1692): a lui è dedicato il poema in onore della delfina Maria Anna Cristina di Baviera, che si compone di circa 6.800 versi. Muligin è autore anche di un poema che glorifica il re Luigi XIV, che venne offerto al re nel 1686, e di un testo liturgico che accompagna una Vergine immacolata del 1702, con dedica a Ferdinando de’ Medici, recentemente passata in asta da Drouot.
Se dunque abbiamo la certezza che, nella Madonna col Bambino, i testi siano stati scritti da Muligin, che dunque era uno specialista dei calligrammi (anche se rimane oscuro: lo conosciamo giusto perché si firma nella dedica a Ménage, altrimenti forse non ci sarebbe neppure giunto il suo nome), per i disegni non ci sono ancora nomi certi: lecito però immaginare che Muligin si avvalesse di artisti esperti per creare i suoi fogli bizzarri. Naturalmente rimane ancora molto da studiare sugli strumenti e sulle tecniche che Muligin e i suoi collaboratori adoperavano per mettere sui loro fogli manoscritti così sorprendentemente dettagliati. Quello delle micrografie seicentesche è un campo di studi ancora da esplorare.