Come la pandemia sta cambiando la fotografia: spazi interconnessi e narrazioni intime


In che modo la pandemia di Covid-19 sta cambiando la fotografia? Si stanno sviluppando soprattutto narrazioni intimistiche e i fotografi lavorano interconnessi più di prima, ma non solo.

Da curatrice specializzata in fotografia, il periodo del primo lockdown è stato davvero cruciale e ricco di domande che rivolgevo a me stessa e alle persone con cui avevo modo di confrontarmi, seppur virtualmente: come possono contribuire l’Arte e soprattutto la Fotografia nel delineare questo nuovo scenario? In che modo il pubblico, le istituzioni, i media si avvarranno di questi potenti mezzi di comunicazione per aiutarsi (e aiutarci) nella comprensione di questa dirompente contemporaneità?

Che l’Arte sia, oltre che una forma di espressione, anche un potentissimo strumento di comunicazione, è risaputo, ma la familiarità che la Fotografia ha raggiunto presso il pubblico negli ultimi decenni rivela una potenza del mezzo fotografico inestimabile. Ogni giorno, solo su Instagram vengono condivise all’incirca 100 milioni di immagini. Il numero è chiaramente più alto se si considerano tutte le altre piattaforme di condivisione social. Se dovessimo domandarci, invece, quante foto vengono scattate (non solo condivise) ogni giorno, il discorso sarebbe estremamente più complesso: tutti i cellulari possiedono da anni almeno una fotocamera integrata che ognuno di noi utilizza quotidianamente più e più volte. Scattiamo fotografie non solo per catturare momenti, ma anche più semplicemente per ricordarci qualcosa attraverso uno screenshot: la fotografia si nasconde ormai ovunque, anche laddove apparentemente si pensa non sia presente. Sempre più, conosciamo il Mondo attraverso le fotografie, delle quali ci fidiamo e cui lasciamo spesso il compito di parlare laddove le parole non bastano.

È evidente infatti come nei momenti storici in cui la comprensione della realtà si fa complessa e determinati avvenimenti modificano il corso degli eventi, la Fotografia giochi da sempre un ruolo fondamentale: oggi tendiamo sempre più ad associare episodi cruciali della storia globale a fotografie poi diventate iconiche, non necessariamente scattate da fotografi professionisti. Solo per fare qualche esempio, basti pensare alla foto dell’“Uomo del carro armato” che congela la protesta di piazza Tienanmen dell’89 a Pechino, allo scatto dell’“Uomo che cade” dalle Torri Gemelle o ancora alle centinaia di foto realizzate durante il crollo del Muro di Berlino.

In questo momento epocale, la fotografia è riuscita ad aggiungere un’immagine a qualcosa che era solo una sensazione, un grande schermo nero indecifrabile: artisti e fotografi hanno deciso, attraverso la propria autorialità, di raccontare questa nuova forma di complessità che non è più solo sociale, ambientale, sanitaria o economica, ma che contempla al suo interno una serie di istanze sempre più connesse tra loro e impossibili da distinguere. Non si è più chiamati a decidere di indagare un particolare tema, predisponendo progetti ad hoc con il tempo, le modalità e la poetica proprie di ogni fotografo, bensì di raccontare, sempre secondo il proprio punto di vista, un nuovo scenario che all’improvviso ha colpito tutti indistintamente (in modi diversi) e che ha modificato pesantemente le nozioni di tempo e spazio: a tempi dilatati si sono affiancati spazi ridotti.


Elisabetta Zavoli, And in darkness you find colours
Elisabetta Zavoli, And in darkness you find colours



Davide Bertuccio, Il silenzioso battito delle loro mani
Davide Bertuccio, Il silenzioso battito delle loro mani



Simone D'Angelo, Or how I learned
Simone D’Angelo, Or how I learned


La velocità con cui si è verificato questo cambiamento epocale, ha reso la Fotografia il mezzo più adatto a indagare le mille sfaccettature della pandemia: dai commissionati che hanno consentito ai fotografi di testimoniare luoghi ed eventi altrimenti inaccessibili e che sono stati i nostri occhi negli scorsi mesi, alle narrazioni intimistiche realizzate all’interno delle pareti domestiche, passando attraverso lampi di creatività e audacia neanche lontanamente ipotizzabili in tempi non sospetti. Da curatrice, ho visto proliferare una quantità di progetti mai vista prima (quasi come se la mancata produttività durante il periodo del lockdown venisse percepita come una colpa) ricchi di visioni interessanti e originali, in cui alla fruizione personale e intimistica dell’immagine si è affiancata una forte volontà/necessità di condivisione con il pubblico, in tempo quasi immediato: la casa è diventata agorà, il progetto personale è diventato manifesto.

Tutte queste immagini e visioni così diverse contribuiscono sin dal momento della loro realizzazione a definire un immaginario che e’ ancora sfuggente, ma che entrerà a far parte di una memoria storica collettiva: la possibilità di postare, condividere e diffondere progetti su piattaforme autoriali o anche semplicemente sui social, ha creato una florida rete di visioni nonché un “archivio spontaneo” (e non) di testimonianze visuali. Proprio per l’importanza che assume la fotografia nella decodifica di questa contemporaneità, Ph.ocus - About Photography, la sezione di Paratissima dedicata alla Fotografia, ospiterà la mostra intitolata Please, stay home frutto di un’attenta selezione di progetti fotografici di autori emergenti e indipendenti inediti e capaci di testimoniare la diversità dei contributi fotografici legati alla narrazione del lockdown. Ad affiancare questa mostra sarà Quarantined, un progetto multimediale realizzato in collaborazione con Dario Donato, Teodora Malavenda e Chiara Oggioni Tiepolo che si avvale di immagini, testi e video per raccontare il lockdown e indagare lo spazio di aggregazione virtuale, coinvolgendo i fotografi Davide Bertuccio, Simone d’Angelo, Karim El Maktafi, Camilla Ferrari, Fabio Itri, Gianmarco Maraviglia, Sara Rossatelli ed Elisabetta Zavoli. Quello di Ph.ocus About photography (la cui data di realizzazione è ancora in fase di definizione) è un tentativo di dimostrare come la coesistenza corale di progetti di fotografi professionali e amatoriali può concorrere alla decodifica di uno scenario tangibile della contemporaneità, anche in periodi con livelli di entropia alti come quello attuale.

Ognuno di noi è chiamato a confrontarsi con questo enorme quantitativo di narrazioni, visioni e immagini, scegliendo, nel suo piccolo, anche il proprio angolo di osservazione e contribuendo ad alimentare questo grande immaginario. La democratizzazione del mezzo fotografico permette a ognuno di noi di essere non solo testimone, ma anche attore di questa testimonianza epocale: l’importante è essere sempre consapevoli della potenza delle immagini, della loro fragilità, ma anche del loro potere di cambiare il mondo.


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