Negli ultimi decenni, sono stati molti gli autori e gli intellettuali che hanno paventato i rischi di un mondo che disprezza e mette in secondo piano le scienze umane. Non è questa la sede per discutere dell’importanza delle scienze umane, e finché i corsi di laurea in lettere e in arte vengono denigrati dall’informatico “invasato” di turno, beh, possiamo fare buon viso a cattivo gioco. Diverso è quando invece le scienze umane vengono attaccate all’interno di quello che dovrebbe essere il presidio supremo posto a loro difesa: l’università. La premessa è necessaria per sottolineare quello che sta accadendo in questi giorni a Foggia.
Succede quindi che il corso di laurea magistrale in archeologia dell’Università di Foggia venga considerato a rischio in quanto non riuscirebbe a soddisfare i requisiti minimi imposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per poter rimanere attivo (benché gli studenti, dal canto loro, sostengano che il corso non rispetta i criteri del regolamento d’ateneo, ma riesce a rientrare in quelli del Ministero). La reazione degli studenti è la mobilitazione: per il giorno 17 dicembre viene organizzato un sit-in di protesta per scongiurare la chiusura del corso di laurea. Proprio nelle stesse ore durante le quali il Senato Accademico deve pronunciarsi per decidere le sorti del corso. La protesta degli studenti si rivela però vana: il corso di laurea magistrale in archeologia dell’Università di Foggia viene soppresso.
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Il sit-in degli studenti all’Università di Foggia |
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La Medusa, scultura di epoca ellenistica conservata al Museo Civico di Foggia, scelta dagli studenti come simbolo della protesta |
È poi un’offesa al territorio stesso. In molti, in questi giorni, hanno ricordato anche solamente le potenzialità che Foggia e dintorni avrebbero sul piano del turismo culturale, perché le aree archeologiche, in queste terre, sono molte, andrebbero studiate più a fondo, andrebbero valorizzate, andrebbero fatte conoscere. Ricordiamo che in questa parte della Puglia, si sviluppò l’antica civiltà dei Dauni, che fondò diversi insediamenti, villaggi e città, ebbe una produzione artistica propria, una propria identità culturale. Com’è dunque possibile che si chiuda un corso in archeologia in un territorio che offre un sostrato archeologico di così grande importanza? Chi studierà la civiltà dei Dauni e ne valorizzerà le vestigia, se non saranno formate professionalità locali? Probabile che venga replicato il modello dell’Antiquarium dei Musei Capitolini, con i reperti spediti negli USA per essere studiati. Perché, ovviamente, in Italia paghiamo i nostri archeologi 7 euro l’ora e, non contenti di ciò, per la loro gioia inviamo anche importanti reperti in America, quando qua da noi abbondano le professionalità.
Infine, è un’offesa per tutte quelle persone che hanno contribuito a tutelare i beni archeologici di Foggia e dintorni. Ricordiamo solamente la figura di Marina Mazzei, archeologa foggiana prematuramente scomparsa, a quarantanove anni (e, peraltro, della scomparsa ricorre proprio quest’anno il decimo anniversario). A lei si devono molte delle scoperte sulla civiltà Daunia, il reperimento di molte testimonianze storiche e artistiche di questo antico popolo, e il notevole impulso che gli studi sui Dauni hanno ricevuto negli ultimi anni. La figura di Marina Mazzei è stata ricordata anche Mario Cobuzzi, blogger di storia dell’arte autore di Kunst, e foggiano anche lui (e quindi che ha particolarmente a cuore la vicenda). Non c’è altro da aggiungere a quello che Mario ha scritto ieri su Facebook: “un suggello ignobile al triste anniversario, un altro modo per sopprimere l’eredità della Mazzei, che da Giuliano Volpe e dagli altri archeologi (professori e studenti) dell’ università è stata in questi dieci anni portata avanti con passione”.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.
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