Se l'Università di Foggia sopprime il corso di laurea magistrale in archeologia


Ieri il Senato Accademico dell'Università di Foggia ha soppresso il corso di laurea magistrale in archeologia: una scelta autolesionista e scellerata.

Negli ultimi decenni, sono stati molti gli autori e gli intellettuali che hanno paventato i rischi di un mondo che disprezza e mette in secondo piano le scienze umane. Non è questa la sede per discutere dell’importanza delle scienze umane, e finché i corsi di laurea in lettere e in arte vengono denigrati dall’informatico “invasato” di turno, beh, possiamo fare buon viso a cattivo gioco. Diverso è quando invece le scienze umane vengono attaccate all’interno di quello che dovrebbe essere il presidio supremo posto a loro difesa: l’università. La premessa è necessaria per sottolineare quello che sta accadendo in questi giorni a Foggia.

Succede quindi che il corso di laurea magistrale in archeologia dell’Università di Foggia venga considerato a rischio in quanto non riuscirebbe a soddisfare i requisiti minimi imposti dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca per poter rimanere attivo (benché gli studenti, dal canto loro, sostengano che il corso non rispetta i criteri del regolamento d’ateneo, ma riesce a rientrare in quelli del Ministero). La reazione degli studenti è la mobilitazione: per il giorno 17 dicembre viene organizzato un sit-in di protesta per scongiurare la chiusura del corso di laurea. Proprio nelle stesse ore durante le quali il Senato Accademico deve pronunciarsi per decidere le sorti del corso. La protesta degli studenti si rivela però vana: il corso di laurea magistrale in archeologia dell’Università di Foggia viene soppresso.

Il sit-in degli studenti all'Università di Foggia
Il sit-in degli studenti all’Università di Foggia
Sono molte le considerazioni che potrebbero essere fatte su questa decisione (e si è infatti riflettuto molto in questi due giorni). Partiamo da un punto: si potrebbe pensare che un sistema universitario che giudica un corso di laurea sulla base dell’effimera redditività, invece che considerarlo un investimento sia per il futuro dei giovani, che per il futuro del territorio su cui l’università (e il corso di laurea) insiste, è un sistema che deve essere urgentemente rivisto. Chi ha studiato questa riforma (trattasi, ricordiamo, della riforma Gelmini) evidentemente non ha considerato che i corsi con pochi studenti non sono soltanto quelli poco attrattivi e di dubbia qualità, ma sono anche quelli che, pur garantendo una formazione di altissimo livello, non offrono adeguati sbocchi lavorativi. Ma se l’archeologia non riesce a garantire, in Italia, un futuro adeguato ai giovani che l’hanno scelta come percorso di vita, le colpe non sono da cercare soltanto all’interno dell’università. Se un numero elevatissimo di archeologi deve confrontarsi con paghe offensive e contratti a termine, significa che in tutto il sistema c’è qualcosa da rivedere, e i primi a pensarci su dovrebbero essere quei politici che si riempiono la bocca di luoghi comuni descrivendo l’Italia come il paese della storia e della cultura, e agiscono poi in senso nettamente inverso: com’è possibile conciliare un’Italia dei luoghi comuni che la descrivono come il paese della storia e della cultura, e un’Italia in cui un archeologo può essere ritenuto meritevole di appena sette (7) miseri e squallidi euro l’ora? Credo che la chiusura del corso di laurea in archeologia di Foggia sia l’altra faccia di questa medaglia: nessuno finora, che io sappia, si è preoccupato di stimolare la creazione di condizioni di lavoro più dignitose per chi ha scelto di fare l’archeologo. E queste sono le prime conseguenze. Le conseguenze future sono facilmente immaginabili: se il nostro patrimonio storico-artistico conosce spesso il degrado e la negligenza, non è difficile supporre che in un futuro non troppo lontano potrebbe conoscere la rovina. E quando il patrimonio storico-artistico conoscerà la rovina, perché non ci sarà più chi se ne prende cura (mica si potrà andare avanti per esempre a 7 euro l’ora?) a perderci non saranno solo gli archeologi: questo è sicurissimo.

La Medusa, scultura di epoca ellenistica conservata al Museo Civico di Foggia, scelta dagli studenti come simbolo della protesta
La Medusa, scultura di epoca ellenistica conservata al Museo Civico di Foggia, scelta dagli studenti come simbolo della protesta
Ricordo peraltro che chi sceglie di studiare archeologia, lo fa perché è mosso da una passione ardente per questa materia: non è retorica, ho conosciuto diversi archeologi. Ci vuole passione per scavare ore, d’estate, sotto il sole cocente, lontano da casa anche per periodi prolungati. Per dormire in una tenda condividendola con gente che fino al giorno prima magari salutavi solo nei corridoi dell’università. Per studiare materie ostiche, che quanto a difficoltà, probabilmente hanno pochissimi rivali e richiedono elevate conoscenze tecniche. E soprattutto, per sapere che nonostante tutti questi sacrifici, riuscirai ad avere un lavoro dignitoso solo se avrai una buona dose di fortuna dalla tua parte. Ecco, chiudere un corso di laurea in archeologia è un’offesa anche a quanti hanno scelto questo percorso, ai sacrifici che loro e le loro famiglie hanno fatto.

È poi un’offesa al territorio stesso. In molti, in questi giorni, hanno ricordato anche solamente le potenzialità che Foggia e dintorni avrebbero sul piano del turismo culturale, perché le aree archeologiche, in queste terre, sono molte, andrebbero studiate più a fondo, andrebbero valorizzate, andrebbero fatte conoscere. Ricordiamo che in questa parte della Puglia, si sviluppò l’antica civiltà dei Dauni, che fondò diversi insediamenti, villaggi e città, ebbe una produzione artistica propria, una propria identità culturale. Com’è dunque possibile che si chiuda un corso in archeologia in un territorio che offre un sostrato archeologico di così grande importanza? Chi studierà la civiltà dei Dauni e ne valorizzerà le vestigia, se non saranno formate professionalità locali? Probabile che venga replicato il modello dell’Antiquarium dei Musei Capitolini, con i reperti spediti negli USA per essere studiati. Perché, ovviamente, in Italia paghiamo i nostri archeologi 7 euro l’ora e, non contenti di ciò, per la loro gioia inviamo anche importanti reperti in America, quando qua da noi abbondano le professionalità.

Infine, è un’offesa per tutte quelle persone che hanno contribuito a tutelare i beni archeologici di Foggia e dintorni. Ricordiamo solamente la figura di Marina Mazzei, archeologa foggiana prematuramente scomparsa, a quarantanove anni (e, peraltro, della scomparsa ricorre proprio quest’anno il decimo anniversario). A lei si devono molte delle scoperte sulla civiltà Daunia, il reperimento di molte testimonianze storiche e artistiche di questo antico popolo, e il notevole impulso che gli studi sui Dauni hanno ricevuto negli ultimi anni. La figura di Marina Mazzei è stata ricordata anche Mario Cobuzzi, blogger di storia dell’arte autore di Kunst, e foggiano anche lui (e quindi che ha particolarmente a cuore la vicenda). Non c’è altro da aggiungere a quello che Mario ha scritto ieri su Facebook: “un suggello ignobile al triste anniversario, un altro modo per sopprimere l’eredità della Mazzei, che da Giuliano Volpe e dagli altri archeologi (professori e studenti) dell’ università è stata in questi dieci anni portata avanti con passione”.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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