La vista dal buco della serratura. L’esperienza del pubblico museale durante il COVID-19


La pandemia di Covid-19 costringe i musei a rivedere il loro rapporto col pubblico assumendo un tono meno ufficiale e più empatico. Ma come creare empatia col pubblico? Ecco alcuni suggerimenti.

Bloccati nelle nostre case come mai ci era successo prima, e costretti a imparare a vivere molto di più dentro spazi confinati, abbiamo cercato in tutti i modi di acquistare molta più dimestichezza con vedute dibuchi della serratura. Ho scelto di descrivere le vedute che ci offrivano, e ci offrono tuttora,le telecamere e gli schermi paragonandole alla veduta attraverso un buco della serratura, cioè una veduta che si presenta con una forma limitata e un punto di vista ristretto.In alcuni casi l’esperimento potrebbe ritenersi riuscito ma in molti altri l’esperienza fisica continua ad essere quella cardine ed essenziale. L’esperienza museale è la piena conferma che l’esperienza fisica continua ad essere centrale in tutti i sensi.

La metafora comunque non dev’essere letta nel senso stretto del termine. Le piattaforme interattive e i tour virtuali hanno dato un grande aiuto per arrivare in modo più ampio e migliore al pubblico online. Il mio commento si riferisce a ciò che è stato messo a disposizione online in modo così ammirevole e in poco tempo, a prescindere dal fatto che la stragrande maggioranza dei contenuti contenuti siano stati una semplice rielaborazione presentati sotto una nuova veste. Gran parte di tutto ciò è consistito nel trasferimento di un’esperienza fisica su una piattaforma online, nella speranza che i netizen dei musei non avrebbero fatto altro che attraversare il ponte che unisce il fisico al virtuale, reso necessario dalle circostanze.

The Canvas Project

Vorrei condividere un articolo di Seph Rodney, pubblicato su hyperallergic.com, per spiegare il mio punto di vista. Seph descrive l’esperienza di navigare i musei online come “solitaria e sorprendentemente limitante, anche nei termini più tecnologicamente sofisticati... mi sento come un esploratore curioso che è stato abbandonato in un avamposto molto esteso, dove è possibile sopravvivere per l’immediato futuro. Non morirò di fame, ma sono impaziente di ritrovare la via che porta alla compagnia della civiltà in carne e ossa”.

La tecnologia ci presenta tuttavia nuove modalità di interazione, e Seph comunque condivide le sue esperienze preferite. Ci sono infatti dei benefici da prendere in considerazione, e anche dei vantaggi tangibili da sfruttare. È il caso, per esempio, della possibilità di osservare da vicino gli oggetti e le opere grazie alle immagini ad alta risoluzione. In questo caso, la tecnologia annulla completamente la distanza fisica o visiva a cui siamo costretti nello spazio reale del museo. Anche le informazioni, e il grande potenziale e l’assoluta concentrazione di informazioni su uno specifico argomento, possono essere resi accessibili in modalità che, nello spazio fisico, non sono possibili, a meno che non intervenga il supporto della tecnologia attraverso dispositivi mobili. In questo senso, l’esperienza interattiva lanciata dal Rijksmuseum per la Ronda di notte di Rembrandt è molto indicativa.

La tecnologia di sicuro offre un potenziale per raggiungere il pubblico, ma i rischi e i tranelli insiti nella trasposizione di un’esperienza fisica su di una piattaforma virtuale sono anch’essi tangibili e reali. Steve Glavesky lo spiega molto bene in un suo articolo sul lavoro da remoto. Glavesky sostiene che quanto è successo fin qui, ed è anche il caso della prima ondata della pandemia, è il trasferimento online del lavoro fisico, ma la necessità di adattarsi e trarre vantaggi dal mezzo è il prossimo passaggio da prendere in considerazione. E questo passaggio potrebbe consistere in una modalità di lavoro che parte dalla comunicazione asincrona che non riguarda una presenza fissa di orari da stabilire come orari di lavoro.

Per i musei ci sono molte analogie da esplorare, in particolare per quel che riguarda una rinnovata comprensione di quello che io chiamo “il tempo del museo” che sta lentamente prendendo forma.

The Canvas Project

Alcune settimane fa, sono stato molto incuriosito da alcuni approcci molto freschi e stimolanti nei riguardi della segmentazione del pubblico sulla base delle sue necessità emotive. Un documento disponibile onlinecreato negli ambienti museali Americani elenca specifici pubblici sulla base del loro stato d’animo: persone annoiate, genitori disperati, insegnanti confusi, persone in lutto... la lista continuava ad evolversi man mano che la pandemia spargeva. L’approccio mi ricorda il concetto di emotional branding di Marc Gobé che parla di un consumo basato sull’emottivita e l’affezione del pubblico verso un prodotto specifico oltre la necessita del prodotto e le scelte intelligenti da fare nell’ambito di qualsiasi acquisto.

E che in questo momento debba esserci una classificazione concentrata e su misura del pubblico è un dato di fatto dettato dalle circostanze non solo del post-lockdown. Infatti, per sua propria natura, il mondo digitale riguarda il pubblico e non i mezzi: il pubblico viene per primo e l’incasellamento di potenziali clienti entro un rigido profilo demografico spesso porta a quello che si può descrivere come uno “spreco prezioso”. La necessità di andare in questa direzione, per i musei, è pressante, e l’ambizione di farlo è la benvenuta.

C’è però un paradosso da far notare. L’empatia automaticamente implica il mettere da parte l’apprendimento, la cultura, le conoscenze e le opinioni in modo da capire in maniera vera e oggettiva il proprio pubblico. Per i musei, infatti, potrebbe non essere facile trovare un punto di equilibrio tra la necessità di ottenere un maggior coinvolgimento attraverso il dato emotivo e le risposte dettati dalla conoscenza e dal sapere che tradizionalmente ci si aspetta dagli istituti. Tuttavia, molto dipende dai progetti e dal tipo di museo. Come è stato recentemente discusso dalla giornalista Rebecca Carlsson, alcuni tipi di museo sono più adatti di altri per seguire questo approccio.Ma si riuscirà a trovare l’approccio idoneo per questo mondo dei musei in bilico tra rilevanza e resilienza? Riguarderà come non mai l’empatia dell’istituzione museale con il suo pubblico.

The Canvas Project

In che modo si può ottenere l’empatia con modalità significative?

L’empatia è alla portata di tutti e ci sono alcuni semplici strumenti e metodi per aiutare il tuo museo a camminare con le scarpe del pubblico e per capire meglio le sue esigenze.Propongo tre punti che possono aiutare il museo a riposizionare il suo modo di pensare per diventare più aperto all’empatia. Tutti questi tre punti possono essere letti e compresi in relazione all’esercizio di segmentazione del pubblico sulla base delle sue necessità emotive di cui si è qui discusso.

1. Un ego umile

L’ego istituzionale è spesso radicato nella storia e nella tradizione dell’istituto museale, e spesso si manifesta nella sua ufficialità assertiva, istituzionale o accademica. Abbandonare un modo ufficiale ed egocentrico di vedere le cose favorisce una comprensione più chiara di quello che il pubblico potrebbe provare, o sentire come necessario. Con la giusta dose di umiltà, e con la volontà di abbandonare idee preconcette, i musei possono migliorare la loro capacità di empatizzare.

2. Buone doti di ascolto e di osservazione

L’empatia implica una più profonda comprensione del pubblico museale e questo richiede di ascoltare e osservare in modo attento e vigile. Imparando a non dare voce alle opinioni e alle interpretazioni personali in tono ufficiale, e a considerare le interpretazioni e le voci alternative anche se sono periferiche rispetto al discorso centrale accademico, i musei possono diventare istituti più empatici. Inoltre, imparando a leggere i comportamenti e prendere in considerazione uno spettro più ampio di sensazioni, i musei possono anche ottenere una miglior comprensione dell’esperienza, delle ambizioni e delle aspirazioni degli utenti.

3. Curiosità sincera

Considerare il pubblico da un punto di vista ufficiale quando cerca aiuto o informazioni, piuttosto che capire le sue esigenze e le sue aspirazioni, è un ostacolo all’empatia. I musei esistono per servire le esigenze dei loro pubblici. Se impariamo a capire cos’è che motiva il pubblico e il potenziale pubblico dei musei, e se lo facciamo con la giusta curiosità, possiamo acquisire nuovi sguardi, trovare inaspettati modi di coinvolgere ed esplorare le vite del pubblico, secondo modalità più comprensive. I musei si preparino dunque a ottenere maggiori benefici attraverso una più profonda comprensione dei loro pubblici.

L’empatia riguarderà comunque sia l’esperienza fisica che l’esperienza digitale o virtuale. È un mondo nuovo del museo che potrebbe nascere dalle vedute dei buchi della serratura che abbiamo vissuto durante il lockdown della pandemia.

The Canvas Project

Le immagini in questo articolo sono tratte dal progetto The Canvas Project dell’artista brasiliano Gabriel Nardelli Araújo.


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Sandro Debono

L'autore di questo articolo: Sandro Debono

Pensatore del museo e stratega culturale. Insegna museologia all'Università di Malta, è membro del comitato scientifico dell’Anchorage Museum (Alaska) oltre che membro della European Museum Academy. Curatore di svariate mostre internazionali, autore di svariati libri. Scrive spesso sui futuri del museo ed ha il suo blog: The Humanist Museum. Recentemente è stato riconosciuto dalla Presidenza della Repubblica Italiana cavaliere dell’Ordine della Stella d’Italia e dal Ministero della Cultura Francese Chevalier des Arts et des Lettres per il suo contributo nel campo della cultura.



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