Giovanni dal Ponte alla Galleria dell'Accademia di Firenze: l'imbocco di una strada rischiosa?


Recensione della mostra 'Giovanni Dal ponte - Protagonista dell'umanesimo tardogotico fiorentino' a Firenze, Galleria dell'Accademia, dal 22 novembre 2016 al 12 marzo 2017

Quattro anni e mezzo dopo la memorabile mostra Bagliori Dorati degli Uffizi, l’arte tardogotica torna protagonista in un istituto dell’ex Polo Museale Fiorentino, la Galleria dell’Accademia, con un’esposizione dedicata a uno dei più interessanti attori di quella stagione: Giovanni di Marco, meglio noto come Giovanni dal Ponte (Firenze, 1385 - 1437) perché la sua bottega si trovava nella piazza di Santo Stefano al Ponte a Firenze. Giovanni dal Ponte. Protagonista dell’Umanesimo tardogotico (questo il titolo della mostra) è di sicuro un’operazione scientificamente validissima: un progetto riuscito, di alto spessore, che raduna gran parte della produzione del pittore fiorentino avvalendosi anche di importanti prestiti internazionali, la confronta con opere di altri pittori del tempo e la espone in un percorso che segue le evoluzioni ma anche i ritorni al passato di un pittore estroso e poco costante, che in gioventù guarda a Gherardo Starnina e poi a Ghiberti e Gentile da Fabriano, quindi si lascia affascinare dalla rivoluzione masaccesca, e termina la carriera tornando a un’arte piacevolmente tardogotica. Un’esposizione importante anche perché è la prima monografica dedicata a Giovanni dal Ponte, ideata col proposito di operare “un riposizionamento critico dell’artista che ne riconosca il ruolo non secondario nell’ambito del versante dell’Umanesimo tardogotico, sulle orme soprattutto di artisti quali Lorenzo Ghiberti, Gherardo Starnina, Paolo Uccello, Masolino da Panicale” (così nel catalogo Angelo Tartuferi, curatore della rassegna assieme a Lorenzo Sbaraglio). Le novità sono diverse: opere restaurate per l’occasione, una nuova proposta cronologica per le opere caratterizzate dall’ascendenza masaccesca, una nuova acquisizione per la Galleria dell’Accademia (una Madonna con Bambino proveniente dalla chiesa della Badia Fiorentina ma che era conservata presso la Certosa del Galluzzo).

La rassegna tuttavia ha un grosso problema, ovvero le gravi carenze sul piano divulgativo: mancano, cioè, apparati che guidino alla comprensione dell’arte di Giovanni dal Ponte un pubblico non necessariamente esperto. Una lacuna piuttosto importante se pensiamo che la mostra si tiene in uno dei musei più visitati del mondo (terzo in Italia e tra i primi cinquanta a livello planetario), e che sono molti i visitatori che decidono di transitare per le sale dell’esposizione prima di continuare la visita del museo: il risultato è che la mostra, sicuramente di nicchia, viene percepita come riservata a specialisti o cultori dell’arte tardogotica. Oltretutto, i visitatori vengono “invogliati” alla visita attraverso allestimenti potenti, dal forte impatto scenografico, ideati dallo Studio d’architettura Guicciardini-Magni: l’ingresso all’esposizione, per esempio, è una riproduzione del portale principale della Basilica di Santa Croce (col rosone presentato però come se lo vedessimo dall’interno), mentre le opere, nel percorso, sono ospitate entro nicchiette ricavate da pilastri ornati con i motivi decorativi della Cattedrale di Santa Maria del Fiore. L’impianto scenico è di grande effetto (e le opere non ne risentono: tranne forse in uno o due casi sono ottimamente illuminate e alla giusta distanza rispetto all’osservatore), ma forse avremmo preferito che la mostra investisse di più sulla cura degli apparati divulgativi. Il problema si avverte soprattutto in prossimità delle opere chiave, quelle che meglio consentono di inquadrare l’evoluzione dei modi di Giovanni dal Ponte: se pensiamo che almeno due di queste opere sono scomparti di predella (ne parleremo più diffusamente tra poco), ovvero oggetti a cui il grande pubblico tipicamente dedica un’attenzione minore di quella che riserva, per esempio, agli scomparti centrali di un polittico, si intuisce molto facilmente il peso di tali mancanze.

L'ingresso della mostra
L’ingresso della mostra


L'allestimento della mostra
L’allestimento della mostra

La mostra si apre facendoci saggiare la temperie artistica d’inizio Quattrocento, al fine di inquadrare sia il contesto storico, sia i cardini sui quali si muove l’arte di Giovanni dal Ponte. Gherardo Starnina, uno dei principali punti di riferimento delle fasi iniziali della carriera di Giovanni dal Ponte, è adeguatamente rappresentato dal Trittico di Würzburg. Le somiglianze sono tuttavia da ritrovarsi nei modi e in certi dettagli, piuttosto che sulle volumetrie: alla saldezza d’impronta giottesca del trittico di Gherardo Starnina, Giovanni dal Ponte sembra preferire figure più slanciate di matrice sostanzialmente spagnola (nella Firenze d’inizio Quattrocento erano attivi artisti di provenienza iberica come il portoghese Álvaro Pires de Evora e il cosiddetto Maestro del Bambino Vispo, artista probabilmente valenciano per il quale alcuni critici hanno proposto l’identificazione con Miguel Alcañiz, e lo stesso Starnina aveva soggiornato a lungo in Spagna e una volta tornato a Firenze aggiornò l’ambiente locale sulla base della propria esperienza). In linea con lo stile di Starnina sono però la grande vivacità (anch’essa comunque di matrice iberica), la delicatezza dei volti (il rossore sui volti delle Madonne dei due è un indice significativo), il cromatismo acceso, e certi particolari: si vedano per esempio i nasi dei personaggi (drittisimi, da profilo greco, quelli di Giovanni dal Ponte) sui quali sempre si diffonde una luce biancastra che fa brillare e risaltare i setti. Efficacissimo dunque il confronto tra il trittico di Starnina e l’Incoronazione della Vergine di Giovanni, unico suo dipinto presente nella prima sala. Presenti anche Lorenzo Monaco (con due scomparti del polittico di San Gaggio), a cui il nostro guarderà per certe soluzioni formali, Lorenzo Ghiberti (un Cristo benedicente dall’Ospedale di Santa Maria Nuova), altro imprescindibile punto di riferimento che Giovanni spesso sembra citare direttamente, al punto da aver indotto alcuni studiosi a ipotizzare un suo alunnato presso Ghiberti, e ancora Masaccio (con il san Paolo del Museo Nazionale di San Matteo a Pisa), che certo non poteva mancare, Masolino con il san Giuliano, e artisti aggiornati come Paolo Uccello e il Beato Angelico.

Gherardo Starnina, Trittico di Würzburg
Gherardo Starnina, Scomparto centrale e scomparti laterali di polittico: santa Margherita d’Antiochia e san Filippo; Madonna col Bambino tra angeli; san Pietro e santa Maria Maddalena (1405 circa; tempera su tavola, scomparto centrale: 161 x 77 cm, scomparti laterali: 127 x 76 cm; Würzburg, Martin von Wagner Museum der Universität Würzburg)


Giovanni dal Ponte, Incoronazione della Vergine
Giovanni dal Ponte, Incoronazione della Vergine e santi (1430 circa; tempera su tavola, 194 x 215,7 cm; Firenze, Galleria dell’Accademia)


Lorenzo Ghiberti, Cristo benedicente
Lorenzo Ghiberti, Cristo benedicente (1450; bronzo dorato, 35 x 22,3 cm; Firenze, Arcispedale di Santa Maria Nuova). Credit


Masaccio, San Paolo
Masaccio, San Paolo (1426; tempera e olio su tavola, 58,5 x 33,5 cm; Pisa, Museo Nazionale di San Matteo)

La seconda sala ci offre un sunto delle prime esperienze di Giovanni dal Ponte. Sono esposte tre opere, riferibili a un periodo compreso tra il 1405 e il 1415: due Madonne dell’Umiltà, una in prestito dal Museo Horne di Firenze, l’altra dalla chiesa di San Nicolò a Oltrarno, e il Trittico di Brozzi, attualmente al Museo di San Donnino a Campi Bisenzio ma in antico nella chiesa di Sant’Andrea a Brozzi, sempre nel territorio di Campi Bisenzio (il museo è ospitato nel complesso attiguo alla chiesa). Le due Madonne, dipinte attorno al 1405-1410, ci testimoniano come la primissima formazione di Giovanni dal Ponte fosse avvenuta in una bottega ancora legata alla tradizione giottesca: le figure sono dunque ben salde (sebbene ancora un po’ incerte), ma si concedono già certe “licenze” tardogotiche (la lunghissima mano della Madonna nella tavola del Museo Horne, per esempio) e denotano fin da subito quella tenerezza che mai abbandona l’artista e che si osserva in particolar modo negli atteggiamenti del Bambino, sempre intento a smanacciare affettuosamente verso la madre, abbracciandola oppure baciando con dolcezza il suo volto, o ancora trattenendo un cardellino che sarà pressoché onnipresente nei dipinti di questo tipo. Il trittico (un’Annunciazione con, negli scomparti laterali, un raffinatissimo sant’Eustachio a sinistra e un serioso sant’Antonio Abate a destra), databile al 1410-1415 circa, dimostra invece come l’avvicinamento alle calligrafie tardogotiche si sia già pienamente compiuto: la vivacità delle opere di Starnina pervade il dipinto, sant’Eustachio è uno splendido galantuomo in eleganti abiti medievali (notare il guantino con ampio risvolto a punta, che tornerà in altri personaggi dipinti anche a decenni di distanza), accenni di svolazzi muovono la veste di Antonio Abate e la scena principale, con le movenze affettate dei due protagonisti, si svolge sopra un particolarissimo pavimento con decorazioni che paiono assumere la forma di solidi geometrici e uscire dal dipinto.

Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino
Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino (1405-1410 circa; tempera su tavola, 103 x 52 cm; Firenze, Museo Horne)


Giovanni dal Ponte, Trittico di Brozzi
Giovanni dal Ponte, Trittico di Brozzi (1410-1415 circa; tempera su tavola, 205 x 230 cm; Campi Bisenzio, Museo di Arte Sacra di San Donnino)

Il progressivo avvicinamento dei modi di Giovanni dal Ponte agli stilemi di Masaccio è un po’ il leitmotiv della terza sala. Particolare rilevanza assume una tavoletta che arriva da New Orleans: è una Madonna col Bambino e i santi Giacomo Maggiore e Antonio abate, di proprietà della galleria Rau Antiques (è in vendita, tra l’altro: se qualche nostro istituto volesse farsi avanti... ), dove Giovanni dal Ponte, oltre a dimostrare una ormai acquisita dimestichezza con le suggestioni derivanti dalla personale lettura dell’arte di Gherardo Starnina, approfondisce le sue indagini spaziali conferendo alla scena un nuovo senso di profondità ottenuto semplicemente facendo avanzare le figure dei due santi. Siamo ormai negli anni Venti, e questa nuova sensibilità dell’artista viene confermata da un’opera analoga a quella di New Orleans, sebbene con tutta evidenza posteriore, ovvero una Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria, dove la stessa organizzazione spaziale della tavola precedente si fa decisamente più razionale, e ne sono indice soprattutto i due angeli che non svolazzano più in uno spazio indefinito sopra le teste dei santi e di fianco alla Madonna, ma si trovano esattamente dietro i personaggi principali, e la loro posizione è giustificata dal fatto che stanno tendendo un velo dietro al trono della Vergine.

Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino e santi
Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino e i santi Giacomo Maggiore e Antonio abate (1420 circa; tempera su tavola, 54,6 x 35,6 cm; New Orleans, Rau Antiques)


Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino e santi
Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino e i santi Giovanni Battista e Caterina d’Alessandria (1420 circa; tempera su tavola, 114,3 x 67,6 cm; Hartford, Wadsworth Atheneum Museum of Art)

C’è una data particolarmente significativa: è il 1424, anno in cui l’artista viene rinchiuso per otto mesi in carcere causa debiti, e quando esce, molto probabilmente, rimane folgorato dai lavori che Masaccio stava eseguendo nella Cappella Brancacci, a pochi metri di distanza dalla sua bottega. L’arte di Giovanni dal Ponte vira così verso un masaccismo inedito nella sua arte, e lo vediamo benissimo se confrontiamo lo scomparto centrale della predella oggi ai Musées Royaux des Beaux-Arts di Bruxelles, che raffigura l’Adorazione dei Magi, con lo stesso episodio dipinto da Masaccio nella predella del Polittico del Carmine (non in mostra): oltre alle citazioni dirette (il gruppo Madonna-Bambino-Mago che s’inchina assume pose identiche a quelle degli stessi personaggi in Masaccio), notiamo come anche la spazialità, in una composizione peraltro insolitamente poco affollata per i canoni di Giovanni dal Ponte, segno che la sua arte sta cambiando, il rinnovato plasticismo (evidente in particolar mondo nel cavaliere che tiene a freno i due cavalli sulla destra) e lo studio del movimento siano rivelatori di una sua approfondita riflessione sull’arte di Masaccio. Una riflessione che prosegue con il Polittico di San Pietro, sulla cui datazione i curatori sono in disaccordo: del 1424 per Tartuferi, dipinto attorno al 1430 per Sbaraglio. Nella predella, oggi agli Uffizi, il vigore è ancora quello derivante dalla meditazione masaccesca, e lo studio della spazialità fa sì che le linee dei due scomparti laterali convergano verso quello centrale, ma l’affollamento delle scene, la grande concitazione e i panneggi che tornano a concedersi viluppi tardogotici preludono a quello che sarà un ritorno ai primordi che caratterizzerà la fase finale della sua carriera: quando Giovanni dal Ponte, ormai definitivamente allontanatosi dal masaccismo, tornerà a un’arte di marcata impronta tardogotica, in linea con il gusto dei suoi committenti. Ne è già testimone l’ultima tavola nota di Giovanni dal Ponte, datata novembre 1434 e posta a chiusura della terza sala: è la Pala di San Salvatore al Monte alle Croci che, pur abbandonando la forma del polittico per adottare quella della già rinascimentale pala unitaria, presenta nuovamente grande affollamento, figure allungate e panneggi sinuosi.

Giovanni dal Ponte, Adorazione dei Magi
Giovanni dal Ponte, Adorazione dei Magi (1425-1430 circa, scomparto di predella; tempera su tavola, 20 x 57,5 cm; Bruxelles, Musées Royaux des Beaux Arts de Belgique)


Giovanni dal Ponte, Martirio di san Pietro
Giovanni dal Ponte, Martirio di san Pietro (1430 circa, scomparto di predella; tempera su tavola, 42,5 x 52 cm; Firenze, Uffizi)


Giovanni dal Ponte, Pala di San Salvatore
Giovanni dal Ponte, Madonna col Bambino tra i santi Cecilia con la donatrice, Michele arcangelo, Domitilla, Girolamo, Achilleo e Nereo (1434; tempera e oro su tavola, 158 x 181 cm; Firenze, San Salvatore al Monte alle Croci)

La quarta e ultima sezione si apre con un’interessantissima selezione di dipinti a tema profano, gli unici della mostra. Eccetto un caso (una carta con raffigurato un cavaliere di spade) si tratta di pannelli che decoravano cassoni dipinti, che risalgono per lo più agli ultimi anni della sua attività, e che ci rivelano tutta la fantasia di cui era capace il nostro Giovanni dal Ponte. Lo straordinario cassone nuziale proveniente dal Musée Jacquemart-André di Parigi, uno dei rari esemplari in cui si siano conservati non soltanto i pannelli decorativi, ma anche l’intera cassa, databile al 1430-1435 circa, ci mostra un Giardino d’amore popolato da coppie d’innamorati che si tengono per mano. Sull’iconologia di questa produzione di Giovanni dal Ponte abbiamo un dibattito ancora in corso, perché non è chiaro che cosa rappresentino gli innamorati che, nel caso del dipinto parigino, si dirigono verso il centro della composizione: alcuni studiosi hanno provato a identificare le coppie con personaggi della storia o della mitologia (i fantasiosissimi copricapo degli uomini, che mostrano piume, draghi, corna e volatili assortiti, sembrerebbero elementi caratterizzanti, insufficienti però per formulare identificazioni sicure), secondo altri invece sarebbero semplici allegorie amorose volte a celebrare l’unione degli sposi. C’è una differenza importante, evidente anche nei pannelli che ci sono giunti in frammenti (in mostra è esposta, per esempio, una bella Coppia d’innamorati di collezione privata, con l’elegantissimo cavaliere che indossa un cappello ornato con un’aquila e un paio di corna): in alcuni pannelli sono le donne che conducono gli uomini, mentre in altri avviene il contrario, e questo permette di distinguere tra i cassoni che erano destinati alla sposa e quelli che invece venivano fabbricati per lo sposo. Sono opere di grande piacevolezza, che dovevano soddisfare pienamente le aspettative della clientela e che mostrano un evidente recupero di motivi tardogotici. Vale la pena citare anche l’Allegoria delle sette arti liberali, altro pannello per cassone che forse costituisce una delle più evidenti dimostrazioni di quell’umanesimo tardogotico inserito nel titolo della mostra: le sette arti si dirigono verso il centro, dove vediamo l’allegoria dell’astronomia con Tolomeo ai suoi piedi, intento a scrivere uno dei suoi libri, e ognuna di loro conduce, reggendo uno o più attributi identificativi, un illustre “esponente” di quell’arte. Da sinistra troviamo quindi la grammatica (con Elio Donato o Prisciano), la dialettica (Aristotele), la retorica (Cicerone), la già citata astronomia, quindi la geometria (Euclide), l’aritmetica (Pitagora) e la musica (Tubal-Cain, il fabbro della Bibbia mitico inventore degli strumenti musicali).

Giovanni dal Ponte, Giardino d'amore
Giovanni dal Ponte, Giardino d’amore (1430-1435 circa; tempera su tavola, 67,6 x 175,4 x 59,1 cm; Parigi, Musée Jacquemart-André)


Giovanni dal Ponte, Coppia d'innamorati
Giovanni dal Ponte, Coppia d’innamorati (1430 circa; tempera su tavola, 44,5 x 43 cm; Collezione privata)


Giovanni dal Ponte, Allegoria delle sette arti liberali
Giovanni dal Ponte, Allegoria delle sette arti liberali (1430-1435 circa; tempera su tavola, 45 x 155 cm; Parigi, Madrid, Prado)

Le ultime opere esposte sono quelle della fase estrema della produzione di Giovanni dal Ponte. Come anticipato, tornano motivi tardogotici, che in alcuni casi si uniscono tuttavia a sperimentazioni inedite nell’arte del protagonista dell’esposizione: per esempio, nello splendido trittico di Poppiena la scena principale, un’Annunciazione dove un goticissimo arcangelo Gabriele svolazza su un gruppetto di nuvole di fronte alla Madonna rivolgendole il noto saluto (Ave Maria gratia plena), che il pittore rende con un raggio blu solcato da iscrizioni dorate, è ambientata in un ampio portico che accoglie una sorta di scranno su cui siede la Vergine. Una soluzione che il visitatore della mostra aveva già osservato nell’Incoronazione della prima sala (che comunque è coeva al gruppo di dipinti che troviamo nelle battute finali dell’esposizione) e che torna nel trittico di Rosano, datato 1434, dove le reminiscenze tardogotiche sono ancora protagoniste: nel gusto per il decorativismo, nell’allungamento delle figure e in certi interessanti dettagli (vale la pena notare il Gesù Bambino che fluttua nell’aria sopra una nuvola: anche in questo caso lo si era già visto nella contemporanea Incoronazione). Sono le ultime opere di una mostra che, pur con i suoi già descritti problemi di comunicazione, è sicuramente da visitare e costituisce un capitolo importante negli studi sull’arte tardogotica, in particolare su quella che dovette confrontarsi con gli albori del Rinascimento.

Giovanni dal Ponte, Trittico di Poppiena
Giovanni dal Ponte, Trittico di Poppiena (Fine del terzo - inizi del quarto decennio del XV secolo; tempera su tavola, 150 x 182 cm; Pratovecchio-Stia, Badia di Santa Maria a Poppiena)


Giovanni dal Ponte, Trittico di Rosano
Giovanni dal Ponte, Trittico di Rosano (1434; tempera su tavola, 195 x 190,5 cm; Rosano, chiesa dell’abbazia di Santa Maria)

Una nota, infine, sul catalogo, che ritengo un oggetto pressoché indefinito. Nessuno si azzarda a metterne in dubbio la scientificità e la validità, ma ci si domanda quanto sia valida la scelta di (cito dalla presentazione della mostra di Cecilie Hollberg, Direttrice della Galleria) “innovare il catalogo [...] con testi più brevi, che però non compromettono il rigore scientifico di cui si e sempre potuto vantare questo museo”. Se i saggi dei due curatori, entrambi sugli sviluppi dello stile del pittore, possono essere considerati più che accettabili (sono interessanti e ben documentati), maggiori riserve si possono esprimere sui restanti tre contributi (sulla bottega, sull’iconografia delle Annunciazioni e sull’iconografia musicale di Giovanni dal Ponte) e soprattutto sulle schede, spesso talmente stringate e poco approfondite da sfiorare la superficialità. Basti pensare che la scheda relativa all’Allegoria delle arti liberali è più concisa di quella presente sul sito del Museo del Prado (che oltretutto presenta una bibliografia decisamente più ricca di quella che correda la scheda del catalogo). Oltretutto, nella presentazione non viene neppure fornita una motivazione che possa suffragare la scelta (e quindi portarci, eventualmente, a condividerla), che viene percepita come un decadimento sul piano della qualità: senza andar troppo lontano nel tempo, il catalogo della mostra su Carlo Portelli era un’opera di ben altro tenore. Pur rimanendo, come già ribadito, la mostra su Giovanni dal Ponte una rassegna di indubbio spessore e di grande importanza, viene da chiedersi se i fattori critici (scarsissima capacità divulgativa, catalogo da rivedere) non rappresentino l’imbocco di una strada rischiosa che potrebbe caratterizzare il nuovo corso della Galleria dell’Accademia sotto la direzione di Cecilie Hollberg e che, se si continuerà a percorrere, non potrà che far rimpiangere le gestioni passate.

Scheda di catalogo dell'Allegoria delle sette arti liberali
La scheda di catalogo dell’Allegoria delle sette arti liberali


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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