Ugo Mulas, un fotografo totale. Com'è la mostra che apre le Stanze della Fotografia


Recensione della mostra “Ugo Mulas. L’operazione fotografica”, a cura di Denis Curti e Alberto Salvadori (Venezia, Le Stanze della Fotografia, dal 29 marzo al 6 agosto 2023).

“Gli occhi, questo magico punto di incontro fra noi e il mondo, non si trovano più a fare i conti con questo mondo, con la realtà, con la natura: vediamo sempre di più con gli occhi degli altri. Potrebbe essere anche un vantaggio ma non è così semplice. Di queste migliaia di occhi, pochi, pochissimi seguono un’operazione mentale autonoma, una propria ricerca, una propria visione”. È un pensiero così appropriato alla riflessione contemporanea sulle immagini che sorprende sapere che l’abbia scritto Ugo Mulas, fotografo innovatore e teorico originale, nel 1973.

Con la mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica, lo scorso 29 marzo, si sono aperte “Le Stanze della Fotografia” sull’isola di San Giorgio Maggiore a Venezia. Qui, con una vista unica su piazza San Marco, gli spazi delle Sale del Convitto, locali di impronta industriale che ospitano Le Stanze, sono resi spettacolari – aggettivo mai così calzante – dallo studio di Architetti Pedron / La Tegola con la speciale collaborazione del Teatro La Fenice di Venezia. Non solo uno spazio espositivo, ma un luogo di formazione e ricerca, per gli appassionati e per i turisti. Un’isola felice – è proprio il caso di dire – per chi ama la fotografia.

Ancora un altro spazio dedicato alla fotografia. Serve davvero? Il fatto che viviamo un’era in cui le immagini sono centrali ad ogni comunicazione, che spesso prendono il sopravvento sul contenuto concettuale dell’informazione, che vengono modificate, strumentalizzate, equivocate, che di immagini parlino non solo i “tecnici” ma i sociologi, gli psicologi, i teologi… dimostra che l’argomento “non è così semplice” come diceva Mulas, e c’è ancora molto bisogno di approfondire per trovare il filo conduttore della riflessione. Una riflessione che ne Le Stanze della Fotografia trova terreno fertile per un progetto ambizioso. Il merito è della somma di due esperienze: quella di Marsilio Arte, che alla Casa dei Tre Oci a Venezia ha proposto nel corso degli ultimi dieci anni oltre trenta esposizioni che hanno raccontato l’opera dei più grandi fotografi internazionali raccogliendo poco alla volta attorno a sé una comunità di appassionati, e quella della Fondazione Giorgio Cini che custodisce una delle più importanti collezioni fotografiche d’Europa. La mostra di apertura, visitabile fino al 6 agosto, è realizzata in collaborazione con l’Archivio Mulas e curata da Denis Curti, direttore artistico del nuovo spazio, e Alberto Salvadori, direttore dell’Archivio Ugo Mulas.

Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Allestimenti della mostra Ugo Mulas. L’operazione fotografica. Foto: Alessandra Chemollo
Gianni Berengo Gardin, Ugo Mulas, Campo Urbano, Como 1969 © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia
Gianni Berengo Gardin, Ugo Mulas (Campo Urbano, Como, 1969) © Gianni Berengo Gardin/Courtesy Fondazione Forma per la Fotografia

“Abbiamo scelto di partire con Ugo Mulas perché volevamo dare un segnale di interesse nei confronti della fotografia italiana, e abbiamo scelto Mulas perché è il fotografo italiano”, racconta Denis Curti, “e peraltro con un anniversario molto importante perché Mulas muore cinquanta anni fa – il 2 marzo 1973 – e ha lasciato una eredità ancora tutta da indagare e da scoprire”. 296 opere, tra cui 30 immagini mai esposte prima d’ora, fotografie vintage, documenti, libri, pubblicazioni, filmati “spostano l’attenzione una volta per tutte da questa idea che molti si sono fatti che Mulas sia il fotografo dell’arte e degli artisti e far sì che si possa vedere un fotografo totale”, dice Alberto Salvadori.

In poco più di venti anni di lavoro Mulas è stato fotografo ritrattista, di paesaggio, fotografo degli artisti, della moda e dell’industria. “È stato un vero proprio autodidatta ma un autodidatta dalla mente analitica destinato a diventare un fotografo totale capace di superare i generi stabiliti dal mercato”, dice Uliano Lucas, fotogiornalista, in una testimonianza raccolta nel libro che accompagna la mostra. Ha esplorato ogni genere ed in ciascuno ha portato la sua personale riflessione sulla fotografia che si esprime nella sua essenza nelle Verifiche che non a caso aprono la mostra, dove Mulas si cimenta in esperimenti così estremi che sembra voler scoprire fino a che punto la macchina fotografica possa spingersi. “Mulas è il chiaro riferimento di una ricerca che, attraversando e documentando l’ambiente e i personaggi già agli esordi degli anni Cinquanta del XX secolo, giunge a sperimentazioni straordinarie e inedite che collocano la sua opera nel novero dei grandi maestri e, per la sua attualità, nei riferimenti della ricerca fotografica futura”, sostiene Luca Massimo Barbero, direttore dell’Istituto di Storia dell’Arte della Fondazione Giorgio Cini.

Iniziate nel 1970, soli tre anni prima della sua morte, le Verifiche sono la sintesi del pensiero fotografico di Mulas, quasi come una verifica, appunto, del “senso delle operazioni che per anni ho ripetuto cento volte al giorno, senza mai fermarmi una volta a considerarle in sé stesse, sganciate dal loro aspetto utilitaristico”, diceva il fotografo. Sono esperimenti molto spesso fatti in fase di stampa, senza il passaggio per la macchina fotografica, o esperimenti di racconto attraverso la fotografia. L’operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander, 1971 ad esempio, è un omaggio esplicito al fotografo americano che ha scelto come chiave stilistica di inserire all’interno delle immagini la sua sagoma facendola diventare parte integrante del paesaggio. Ciò che apparentemente sembra un errore altro non è che la presa di coscienza che il fotografo si interpone costantemente tra la macchina e il suo soggetto. E, a cercare bene tra le opere in mostra, emerge quanto Mulas avesse chiari questi temi in tutto il corso della sua produzione. Io vi porto come esempio il ritratto in dettaglio di Lucio Fontana (Lucio Fontana, Comabbio, 1968) dove l’immagine del fotografo si riflette nella pupilla dell’artista, ma la caccia al dettaglio potrebbe essere l’idea di un percorso con cui vi invito a visitare la mostra.

Ugo Mulas, L'operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander (1971)
Ugo Mulas, L’operazione fotografica. Autoritratto per Lee Friedlander (1971) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Lucio Fontana, L’Attesa, Milano (1964)
Ugo Mulas, Lucio Fontana, L’Attesa (Milano, 1964) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, New York (1964)
Ugo Mulas, New York (1964) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Le opere degli artisti pop trasportate in laguna (XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1964)
Ugo Mulas, Le opere degli artisti pop trasportate in laguna (XXXII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte, Venezia, 1964) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Alberto Giacometti riceve l'annuncio di aver vinto il gran premio (Venezia, Biennale 1962)
Ugo Mulas, Alberto Giacometti riceve l’annuncio di aver vinto il gran premio (Venezia, Biennale 1962) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Centrale alle Verifiche è il tema del passaggio del tempo, che, di solito, nell’analisi fotografica si considera cristallizzato in un istante, ma invece secondo Mulas si moltiplica, scorre nella esistenza di tempi diversi nello stesso momento, nello stesso scatto. Questo suo senso del tempo ha dato origine, nel 1964, alla serie L’attesa con cui Mulas racconta e rende immortali i “Tagli” di Fontana. È un dietro le quinte particolarmente interessante perché, nonostante appaiano come una documentazione di un gesto spontaneo, ispirato, della creazione di uno dei suoi celebri “Tagli”, sono in realtà una ricostruzione che potremmo definire di fiction. Infatti, Lucio Fontana, nonostante l’amicizia e la frequentazione con Mulas non era a suo agio nel fare questa opera davanti alla macchina fotografica. “Sento che se faccio un taglio, così, tanto per fare la foto non viene... ”, dice Fontana nel ricordo di Mulas. E così l’intuizione del fotografo fu quella di mettere in scena il momento della realizzazione dell’opera. Ne nacque un racconto che è una nuova opera d’arte, una sequenza che sintetizza l’intera operazione creativa, dalla riflessione alla creazione. Senza quelle fotografie leggeremo quelle opere in modo diverso, e dunque Mulas ha davvero aggiunto qualcosa all’arte degli anni Sessanta, con la capacità di essere discreto e rispettare il lavoro degli artisti.

La sua attività ufficiale di fotografo, del resto, comincia proprio con la Biennale di Venezia nel 1954. Sono anni turbolenti, dal punto di vista sociopolitico e anche artistico. Poi nella Biennale del 1964 incontra Robert Rauschenberg e grazie a lui conosce Leo Castelli, Frank Stella, Roy Lichtenstein e Jasper Johns che gli apriranno la strada per un lungo soggiorno americano. In America, Mulas si trova in un clima di pieno fermento artistico, di cui racconta i protagonisti: Marcel Duchamp, al quale dedicherà una serie di ritratti presenti in mostra, John Cage, Andy Warhol, Christo. Ma racconta anche l’America dei grattacieli e dei bar deserti, dei vicoli abbandonati e delle strade affollate, con lo stesso sguardo che aveva riservato ai luoghi che più gli appartenevano: Milano nel dopoguerra, la sua periferia, il bar Jamaica e le sale d’aspetto della Stazione Centrale erano state infatti i luoghi delle prime fotografie di Ugo Mulas, pubblicate solo nel 1955.

Ugo Mulas, Marcel Duchamp, New York (1965 - 1967)
Ugo Mulas, Marcel Duchamp, New York (1965-1967) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Il laboratorio. Una mano sviluppa, l’altra fissa. A Sir John Frederick William Herschel (1970 - 1972)
Ugo Mulas, Il laboratorio. Una mano sviluppa, l’altra fissa. A Sir John Frederick William Herschel (1970-1972) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Eugenio Montale (1970)
Ugo Mulas, Eugenio Montale (1970) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, New York (1965)
Ugo Mulas, New York (1965) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli
Ugo Mulas, Milano (1953 - 1954)
Ugo Mulas, Milano (1953-1954) © Eredi Ugo Mulas. Tutti i diritti riservati. Courtesy Archivio Ugo Mulas, Milano – Galleria Lia Rumma, Milano / Napoli

Il protagonista di molte immagini milanesi è il bar Jamaica, punto di riferimento di artisti e scrittori. Mulas tra loro è l’anziano, il maestro a cui i giovani chiedono consiglio. Racconta Ferdinando Scianna che quando gli sottopose le sue prime fotografie sulle Feste religiose in Sicilia, Mulas commentò: “è troppo semplice fotografare in queste situazioni i terroni quando hanno a che fare con la religione, sono soggetti facili, sono fotogenici. Sono degli invasati. Voglio vedere come mi racconti i milanesi di via Montenapoleone”.

Nei suoi racconti dei luoghi è chiara la consapevolezza che la fotografia non è mera documentazione, ma testimonianza e interpretazione critica della realtà. C’è una Milano ancora povera, quella della massiccia migrazione dal sud, e c’è la Milano che rappresenta a pieno il boom economico: l’arte, la moda, il design che sono in piena espansione e di cui la città è il centro attorno a cui ruota tutta questa creatività.

In un colpo d’occhio alla mostra emerge chiaro che Mulas non si è fatto mai incantare dal colore, ma è riuscito a cogliere così tante sfumature del bianco e nero da farci credere che bastino. “Il bianco e nero mi interessa di più per una ragione molto elementare. Il colore sembra più falso proprio perché dal colore ci si aspetta la verità, ma sono i colori che la Kodak prepara nell’emulsione: il cielo diventa di quel blu che è stato messo dalla Kodak. Col bianco e nero sai già che ti trovi davanti ad una astrazione; quindi, questa consapevolezza dell’artificio ti aiuta ad accettare il risultato” (da Ritratti. Protagonisti della cultura a Milano. Fotografia. Ugo Mulas, un programma di Antonia Mulas del oggi visibile su Rai Play).

Alla mostra si affianca la pubblicazione del libro edito da Marsilio Arte che, oltre ai saggi dei curatori, raccoglie le testimonianze di amici, nomi della fotografia italiana: “Per tutti, Ugo Mulas è stato un punto di riferimento fondamentale per mettere a fuoco le modalità espressive di un linguaggio ‘ambiguo’ che, allora, doveva ancora trovare un posizionamento tra mestiere e arte”, spiega Denis Curti.

Dopo un inizio così promettente non possiamo che avere grandi aspettative sulle prossime mostre de Le Stanze della Fotografia: quella di Paolo Pellegrin nell’autunno 2023 e quella di Helmut Newton nella primavera del 2024.


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