Fuori mostra: la Resurrezione di Cristo di Verrocchio, da Careggi al secondo piano del Museo del Bargello


La “Resurrezione di Cristo” del Verrocchio è stata definita una delle più sorprendenti sculture del secondo Quattrocento fiorentino. Un focus sull'opera.

Per Eleonora Luciano, in memoriam

“Una delle più sorprendenti sculture del secondo Quattrocento fiorentino” (Caglioti in Firenze 1992, p. 171), la Resurrezione di Cristo di Andrea del Verrocchio (Firenze, 1435 - Venezia, 1488) non è presente nel percorso espositivo della mostra di Palazzo Strozzi, Verrocchio, il maestro di Leonardo, e (sia lecito rilevarlo) è pure quasi del tutto assente dal saggio sulla produzione scultorea dell’artista. L’opera, infatti, a causa del precario stato di conservazione e del fragile materiale di cui è composta, non ha potuto lasciare la sala del Museo Nazionale del Bargello, in cui si trova tuttora, né per raggiungere Palazzo Strozzi, principale sede espositiva, né per scendere di qualche piano e confrontarsi con gli altri busti di Cristo, derivazioni da quello dell’Incredulità di San Tommaso per Orsanmichele, capolavoro bronzeo dell’artista. Eppure, questo rilievo in terracotta policroma risulta di straordinario interesse per svariati motivi e ci si augura che il lettore di questo articolo voglia proseguire la visita all’esposizione del Bargello proprio salendo fino alla sala in cui, di norma, è esposta anche la Dama col mazzolino, in questi giorni nella prima sala della mostra di Strozzi.

La riscoperta della Resurrezione fu sorprendente non meno del rilievo stesso: “nessun altro rilievo in terracotta del Quattrocento porta con sé una misura comparabile di vitalità” (Butterfield 1997, p. 86). Quando fu trovato all’inizio del Novecento da Carlo Segré, l’allora proprietario della villa medicea di Careggi, nella soffitta della medesima villa, il rilievo era rotto in più di sessanta pezzi. In seguito, esso fu rimontato, inserito in una cornice e collocato all’interno del cortile centrale della villa. Nonostante le numerose perdite, il soggetto del rilievo risultava perfettamente leggibile e la sua attribuzione a Verrocchio fu, da allora, ampiamente accettata (Butterfield 1997, p. 214).

Il tema del rilievo è la Resurrezione di Cristo, secondo quella che, in apparenza, potrebbe risultare un’iconografia tradizionale. Al centro del rilievo si trova la magnifica figura del Risorto, trionfante sulla morte e fiancheggiato da due angeli in volo e in preghiera. Sotto la scena menzionata e più vicini all’osservatore, sono i cinque soldati incaricati di controllare il sepolcro. Essi sono disposti attorno ad un sarcofago aperto, tre di loro svegli ed alzatisi per il clamore, due ancora placidamente addormentati. L’ambientazione della scena è suggerita dalla stretta striscia di terra brulla in primo piano e da due alberi simmetrici (una palma ed un cedro del Libano, Caglioti in Firenze 1992, p. 173) sui lati.

Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo (1470 circa; terracotta policroma, 135 x 158 x 30 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Ph. Credit Francesco Bini
Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo (1470 circa; terracotta policroma, 135 x 158 x 30 cm; Firenze, Museo Nazionale del Bargello). Ph. Credit Francesco Bini

Sin dalla sua scoperta, molti sono stati gli studiosi ad aver riconosciuto la derivazione del rilievo di Verrocchio da un famoso e prestigioso prototipo, rappresentato dalla terracotta invetriata del 1442-45, opera di Luca della Robbia (Firenze, 1399/1400 - 1482), che tuttora si trova nella lunetta sovrastante la porta d’accesso alla sacrestia nord del duomo di Firenze (Gamba 1904, p. 60). Nonostante le numerose somiglianze con la derivazione verrocchiesca, Andrew Butterfield, curatore di una prossima mostra americana su Verrocchio, che si terrà alla National Gallery of Art di Washington D.C. dal 15 settembre 2019 al 12 gennaio 2020, notò come le terrecotte si basino, in realtà, su due fonti diverse. Infatti, è solo nel racconto della Resurrezione così come riportata dagli Atti di Pilato, un testo apocrifo, che le guardie si svegliano ed assistono al miracolo; d’altra parte, nella robbiana di Santa Maria del Fiore, tutti i soldati sono addormentati. A Verrocchio potrebbe esser stato richiesto di conformare la scena al testo suddetto, largamente utilizzato nelle sacre rappresentazioni, celebrazioni popolari e rappresentanti anche la Resurrezione, e certamente posseduto dalla famiglia Medici, un cui membro fu, senza dubbio, il committente di questo rilievo (Butterfield 1997, p. 83, ma anche Covi 2005, p. 31 nota 7).

Infatti, questa Resurrezione è assai probabilmente da identificare con la “storia di rilievo chom più figure”, riportata come la quinta voce dell’inventario del 1496 presentato da Tommaso, fratellastro del Verrocchio, agli Ufficiali della Repubblica, incaricati di onorare i debiti di Piero di Lorenzo de Medici. Inoltre, un’aggiunta a margine a questo e ai successivi due righi dichiara “per a Charegi”, elucidando il lettore sulla sua prima destinazione (gli altri due oggetti erano il Putto con delfino ed un’altra figura a coronamento di una fontana, verosimilmente andata perduta). Più difficile da definire è l’esatta collocazione che la terracotta aveva all’interno della villa medicea di Careggi. Per il soggetto religioso, la cappella della villa è sempre sembrato il luogo di destinazione più probabile e si è a lungo ritenuto fosse collocata sopra la sua porta d’accesso, dal lato esterno e sul cortile (Rohlmann in Firenze 2008, p. 94 che riporta tutti i pareri favorevoli a questa ricostruzione). La sua problematica assenza dall’inventario compilato dopo la morte di Lorenzo il Magnifico, avvenuta nel 1492, è stata già in passato convincentemente spiegata da Francesco Caglioti, rilevando l’inamovibilità e conseguente inalienabilità di questo oggetto, saldamente murato in una parete (Caglioti in Firenze 1992, p. 171).

Più di recente, Rohlmann ha proposto di identificare la Resurrezione come la lunetta sommitale della Deposizione di Cristo di Rogier van der Weyden (Tournai, 1399/1400 - Bruxelles, 1464), già nella cappella della Villa ed ora agli Uffizi (Rohlmann in Firenze 2008, p. 95; per la cappella di Careggi, Lillie 1998, pp. 91-92). Una simile identificazione sarebbe avvalorata, secondo lo studioso, da un inventario del 1482 dove la pala d’altare della cappella (erroneamente descritta, ma, assai probabilmente, la citata Deposizione ) è detta essere sormontata da una “pictura della risurrectione” (Rohlmann in Firenze 2008, p. 96 e Warburg 1932, I, p. 211). Sebbene si parli di una pittura invece che di un rilievo (un errore piuttosto comune negli inventari quattrocenteschi), se questa identificazione risultasse corretta, la pala d’altare ed il rilievo sarebbero stati accomunati dal tema, gli ultimi momenti della vita di Cristo, e dai medesimi colori vivaci (più problematica da accettare sarebbe, tuttavia, la datazione che, per entrambe le opere, andrebbe a cadere, secondo Rohlmann, nei primi anni Sessanta del Quattrocento). Alla differenza di lunghezza tra il dipinto e la sovrastante terracotta potrebbe forse aver ovviato una massiccia cornice architettonica, pure descritta nell’inventario del 1482.

Luca della Robbia, Resurrezione di Cristo (1442-45; terracotta invetriata, 200 x 260 cm; Firenze, Santa Maria del Fiore)
Luca della Robbia, Resurrezione di Cristo (1442-45; terracotta invetriata, 200 x 260 cm; Firenze, Santa Maria del Fiore)


Rogier van der Weyden, Deposizione di Cristo nel sepolcro (1450 circa; olio su tavola, 96 x 110 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)
Rogier van der Weyden, Deposizione di Cristo nel sepolcro (1450 circa; olio su tavola, 96 x 110 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi)

Essenziale per una corretta valutazione dell’opera è, poi, il ruolo svolto dalla luce naturale nella sua fruizione in antico. Sia che la lunetta si fosse trovata all’interno della cappella, sia al di fuori di essa, la luce avrebbe certamente contribuito all’effetto narrativo generale e alla potenza evocativa del rilievo. Infatti, Andrea non solo offrì un’ampia campionatura di emozioni, attraverso le diverse reazioni dei soldati al miracolo, ma, scavando sul retro tutte le figure in primo piano, fece sì che queste proiettassero ombre, amplificando così la (fittizia) luminosità del corpo di Cristo. Un simile stratagemma tecnico fu certamente pensato per suggerire l’idea di un’irradiazione di luce proveniente direttamente dal corpo di Cristo, a cui doveva fare riferimento la figura più danneggiata del rilievo, all’estrema sinistra, che assai probabilmente si copriva il volto con un braccio piegato ed andato distrutto (Butterfield 1997, p. 213).

Il trattamento dei panneggi ed il senso di realismo che caratterizza il rilievo ha portato alcuni studiosi, tra i quali Gamba, Planiscig, Serros e Covi, a dare una datazione precoce all’opera; altri, tra i quali Valentiner, un più maturo Gamba, Pope-Hennessy e Dolcini, ne hanno proposto, invece, una ai tardi anni Settanta o primi Ottanta. Se, da una parte, panneggi più ampi sostituiranno quelli pesanti che si attaccano ai corpi dei personaggi della Resurrezione, la successiva produzione di Verrocchio sarà anche caratterizzata da una maggiore idealizzazione delle figure (Covi 1968; idem 1972; idem 2005). A causa dell’assenza di documentazione, diversi studiosi hanno, quindi, provato a datare la terracotta instaurando confronti stilistici con opere la cui datazione è meno problematica. Sia Caglioti che Butterfield, nei loro scritti degli anni Novanta, sottolinearono la vicinanza stilistica tra questo Cristo, quello dell’Incredulità di San Tommaso ed il cenotafio Forteguerri di Pistoia, queste ultime due commissioni iniziate durante gli anni Settanta (Caglioti in Firenze 1992, p. 171 e Butterfield 1997, p. 214). Mentre Butterfield propose i primi anni del decennio, Caglioti guardò alla congiura dei Pazzi come il riferimento cronologico più prossimo per la scaturigine dell’opera; in ogni caso, entrambe le datazioni avallerebbero la presenza di Leonardo da Vinci (Firenze, 1452 – Amboise, 1519) all’interno della bottega di Verrocchio e il suo coinvolgimento nella realizzazione del rilievo (Caglioti in Firenze 1992, p. 171 e Butterfield 1997, p. 82). Fu per primo Valentiner, seguito, poi, da Schottmüller nel 1933, ad intravedere il coinvolgimento di Leonardo nell’esecuzione del rilievo, mentre Passavant nel 1969 arrivò ad attribuire l’intera scultura al più talentuoso allievo di Verrocchio. In assenza di ulteriori prove che possano avvalorare la presenza della mano di Leonardo “plasticatore”, si potrà in ogni caso notare come gli interessi per la fisiognomica, per l’espressione degli affetti e per la forte caratterizzazione dei suoi personaggi possa essere nata (o almeno aver trovato forti stimoli) proprio all’interno dell’atelier del suo maestro, non solo esecutore, ma anche correttore, supervisore e regista dell’amplissima produzione polimaterica che usciva dalla sua bottega. D’altra parte, il confronto tra la figura del soldato urlante di Verrocchio e quella analoga del disegno di Leonardo, oggi a Budapest, per la Battaglia di Anghiari è stato più volte messo in valore.

Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con la figura di Cristo. Ph. Credit Francesco Bini
Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con la figura di Cristo. Ph. Credit Francesco Bini


Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con i due soldati di destra. Ph. Credit Francesco Bini
Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con i due soldati di destra. Ph. Credit Francesco Bini


Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con uno dei soldati di sinistra. Ph. Credit Francesco Bini
Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con uno dei soldati di sinistra. Ph. Credit Francesco Bini


Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con il soldato urlante. Ph. Credit Francesco Bini
Andrea del Verrocchio, Resurrezione di Cristo, dettaglio con il soldato urlante. Ph. Credit Francesco Bini


Leonardo da Vinci, Studio per la Battaglia di Anghiari, (1503-05; gessetto nero su carta 181 x 198 mm; Budapest, Szépmuvészeti Múzeum)
Leonardo da Vinci, Studio per la Battaglia di Anghiari, (1503-05; gessetto nero su carta 181 x 198 mm; Budapest, Szépművészeti Múzeum)

Il parere, già espresso da Caglioti nel 1992, non ha trovato ulteriore sviluppo né nel saggio in catalogo dello stesso autore, né nella scheda redatta da Ilaria Ciseri, ma sembra si possa affidare proprio alla “voce” del primo studioso un corretto inquadramento stilistico dell’opera: “se il piegar dei panni è memore delle asciuttezze di Desiderio, se la condotta di alcune parti non sempre sorregge l’impeto dell’immaginativa, non resta che contemplare un’ampia delega del maestro oberato agli allievi, tra i quali primeggiava Leonardo” (Caglioti in Firenze 1992, p. 171). Rimane da spiegare perché, alla luce della nuova attribuzione al giovane Leonardo della Madonna col Bambino già rosselliniana, lo studioso non abbia istituito un rapporto con i primi cimenti con l’argilla da lui stesso riconosciuti, in passato, nel rilievo del Bargello.

La proposta è particolarmente suggestiva e ci dispiacerebbe molto se il professore avesse cambiato idea.

Bibliografia

Butterfield 1997
Andrew Butterfield, The sculptures of Andrea del Verrocchio, New Haven, 1997.

Covi 1968
Dario A. Covi, “An unnoticed Verrocchio?”, The Burlington Magazine, vol. 110, 1968, pp. 4-9.

Covi 1972
Dario A. Covi, “Review of Gunter Passavant, Verrocchio, London, Phaidon, 1969,” Art Bulletin, vol. 54, no. 1, 1972, pp. 90-94.

Covi 2005
Dario A. Covi, Andrea del Verrocchio: life and work, Firenze, 2005.

Dolcini 1992
Loretta Dolcini, La scultura del Verrocchio; itinerario fiorentino, Firenze, 1992.

Firenze 1992
Eredità del Magnifico, catalogo della mostra a cura di Paola Barocchi, Beatrice Paolozzi Strozzi e Marco Spallanzani, Firenze, Museo Nazionale del Bargello, 19 giugno-30 dicembre 1992, Firenze, 1992.

Firenze 2008
Firenze e gli antichi Paesi Bassi, catalogo della mostra a cura di Bert W. Meijer e Serena Padovani, Firenze, Palazzo Pitti, 20 giugno-26 ottobre 2008, Livorno, 2008.

Fulton 2006
Christopher B. Fulton, An Earthly Paradise: The Medici, their Collection and the Foundations of Modern Art, Firenze, 2006.

Gamba 1904
Carlo Gamba, “Una terracotta del Verrocchio a Careggi”, L’arte, vol. 7, 1904, pp. 59-61.

Gamba 1931/32
Carlo Gamba, La Resurrezione di Andrea del Verrocchio al Bargello, “Bollettino d’Arte”, vol. 25, 1931-32, pp. 193-198.

Lillie 1998
Amanda Lillie, “Cappelle e chiese delle ville medicee ai tempi di Michelozzo”, in Michelozzo scultore e architetto (1396-1472), a cura di Gabriele Morolli, Firenze, 1998, pp. 89-98.

Passavant 1969
Günter Passavant, Verrocchio: Sculptures, Paintings, and Drawings. Complete Edition, Londra, 1969.

Planiscig 1941
Leo Planiscig, Andrea del Verrocchio, Vienna, 1941.

Pope-Hennessy 1971/85
John Pope-Hennessy, Italian Renaissance Sculpture, London, 1971, 3rd ed., Oxford, 1985.

Schottmüller 1933
Staatliche Museen zu Berlin. Bildwerke des Kaiser-Friedrich-Museums. Die italienischen und spanischen Bildwerke der Renaissance und des Barocks, I, Frida Schottmüller (a cura di), Die Bildwerke in Stein, Holz, Ton und Wachs. Zweite Auflage, Berlino, 1933.

Serros 1999
Richard D. Serros, The Verrocchio workshop: techniques, production and influences, Ph.D. diss., University of California, Santa Barbara, 1999.

Valentiner 1930
Wilhelm R. Valentiner, “Leonardo as Verrocchio’s Coworker,” Art Bulletin, vol. 12, no. 1, 1930, pp. 43-89.

Warburg 1932
Aby Warburg, Gesammelte Schriften, Lipsia-Berlino, 1932.


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L'autore di questo articolo: Vincenzo Sorrentino

Nato a Napoli nel 1990, si è laureato a Pisa in Storia dell’arte nel 2014 e si è addottorato a Firenze nel 2018, all’interno del programma “Pegaso” in cui sono consorziate le Università toscane. Ha svolto un internship di sei mesi nel dipartimento di scultura della National Gallery of Art di Washington D.C. e da gennaio 2019 è iscritto alla Scuola di Specializzazione in beni storico artistici dell’Università di Firenze.




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