La “Scapiliata” di Leonardo da Vinci: fortuna, studi e nuove ipotesi in mostra a Parma


Recensione della mostra “La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci”, a Parma, Galleria Nazionale, dal 18 maggio al 12 agosto 2019.

L’acqua è, per un pittore, uno degli elementi più difficili da riprodurre col pennello. Impalpabile, incontenibile, instabile, incolore, trasparente. Ondeggia, fluisce, si muove, s’increspa, s’adatta, riluce, s’offusca. Materia e soggetto al tempo stesso, costante fonte d’ispirazione, liquido carico di rimandi simbolici, forza da dominare e da sfruttare, l’acqua ha da sempre affascinato gli artisti, ma la rappresentazione d’un elemento tanto sfuggente ha sempre costituito un problema: se il primo a prenderne coscienza fu Cennino Cennini, che nel suo Libro dell’arte per primo fornì indicazioni tecniche su come dipingerla (“quando volessi fare un’acqua, un fiume, o che acqua tu volessi, o con pesce o sanza, in muro o vero in tavola; in muro, togli quel medesimo verdaccio che aombri i visi in su la calcina; fa’ i pesci, aombrando con questo verdaccio pur sempre l’ombre in su’ dossi [...]. E se non volessi fare ad olio, togli verdeterra o verde azzurro, e cuopri per tutto ugualmente; ma non tanto, che non traspaia sempre pesci e onde d’acqua; e, se bisogna, le dette onde biancheggiale un poco in muro con bianco, e in tavola con biacca temperata”), spetta tuttavia Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519) il primato nell’aver reso l’acqua oggetto di studî sistematici. Irving Lavin e, prima ancora, Kenneth Clark, hanno scritto che per Leonardo l’acqua costituì un’ossessione, e non è difficile creder loro: è uno dei temi più presenti nei suoi trattati, è argomento portante del cosiddetto Codice Leicester, e avrebbe dovuto diventare protagonista d’un Primo libro delle acque mai completato. “L’acqua”, ha scritto di recente Martin Kemp, “è presente in oltre metà dei dipinti di Leonardo, sia in maniera esplicita, raffigurata come soggetto visibile, che implicita, in rapporto alla potente azione esercitata nella trasformazione della Terra nel corso di tempi lunghissimi”. È oltremodo interessante notare come, in un disegno conservato nelle collezioni dei reali d’Inghilterra, Leonardo abbia assimiliato la superficie dell’acqua a un vello, e il suo moto a quello dei capelli: “nota il moto del vello dell’acqua, il quale fa a uso de’ capelli, che hanno due moti, de’ quali l’uno attende al peso del vello, l’altro al liniamento delle volte; così l’acqua ha le sue volte revertiginose, delle quali una parte attende all’impeto del corso principale, l’altra attende al moto incidente e refresso”.

Vortici, correnti, gorghi, increspature e onde non appaiono, nell’opera di Leonardo, soltanto nei dipinti o nei disegni che raffigurano l’acqua. Spesso assumono la forma delle chiome fluenti dei suoi personaggi: un caso particolarmente emblematico è quello della Scapigliata (o Scapiliata, se si vuol adoperare l’aggettivo che figura nell’inventario gonzaghesco del 1627, peraltro esposto in mostra, nel quale è citata la “testa di una donna scapiliata” di Leonardo, e che molti han voluto identificare con la celebre opera oggi alla Galleria Nazionale di Parma). In quest’arcinota tavoletta abbozzata con biacca e pigmenti di ferro e cinabro, i capelli della protagonista assumono le sembianze di piccole cascatelle che cadono leggermente mosse dal vento, di rivoli che s’agitano in ogni direzione, di onde che s’arricciano e s’attorcigliano. Kenneth Clark, pur senza mai citare la Scapiliata nella sua celebre biografia di Leonardo, ha scritto che l’artista sentiva che il movimento, per esser eternato attraverso l’arte, avrebbe dovuto essere una visibile espressione di grazia. E benché nel Rinascimento non ci siano definizioni formali e precise di “grazia”, quest’ultima è da ritrovarsi “in gesti fluidi, panneggi svolazzanti, capelli ricci o mossi”, per usare le parole di Clark. L’acqua, il “vetturale della natura”, come la definì il vinciano, è una perfetta metafora della continuità del movimento che dà luogo alla grazia: estetica e filosofia (il movimento dei capelli che porta grazia, quello dell’acqua che porta vita) si fondono in una connessione continua che destò con gran frequenza le attenzioni di Leonardo.

Sono questi alcuni degli argomenti che animano la mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci, curata da Pietro C. Marani e Simone Verde e allestita nelle sale della Galleria Nazionale di Parma fino al 12 agosto 2019, per rischiarare di nuova luce la tavoletta (che ormai i più vogliono pienamente leonardiana) nel cinquecentesimo anniversario della scomparsa dell’artista. Una piccola ma densa rassegna per fare il punto su tre questioni principali: l’autografia della Scapiliata, la sua collocazione all’interno del contesto nel quale sarebbe stata prodotta, e la sua fortuna successiva. Non manca poi un focus sul collezionismo a Parma: com’è noto, la tavoletta attribuita a Leonardo da Vinci fece il suo ingresso nella storia dell’arte in una data precisa, il 1826, quando gli eredi del pittore Gaetano Callani (Parma, 1736 - 1809) la offrirono all’Accademia di Belle Arti di Parma, che tuttavia non colse l’opportunità dacché l’opera entrò, nel 1839, nelle raccolte della Galleria Palatina (con attribuzione a Leonardo), senza che da allora abbia più lasciato la collezione parmense.

Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci
Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci


Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci
Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci


Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci
Una sala della mostra La fortuna della Scapiliata di Leonardo da Vinci

La principale novità dell’esposizione della Galleria Nazionale riguarda i risultati delle analisi cui la Scapiliata è stata sottoposta giusto in occasione dell’evento. E punto di partenza dell’indagine condotta da Diego Cauzzi, Gisella Pollastro e Claudio Seccaroni è l’esordio d’un articolo, pubblicato nel 1939, di Armando Ottaviano Quintavalle, che cominciava scrivendo che la Scapiliata “è un abbozzo a terra ombra su tavola di m. 0,247 x 0,21 impiastricciato di vecchia ambra inverdita”. È su quell’ambra inverdita (la cui presenza veniva evidenziata da Quintavalle non per tramite di analisi tecniche, ma esclusivamente grazie alla profondità e all’esperienza del suo occhio) che si sono focalizzate le attenzioni di molti studiosi: dal momento che Leonardo, nel suo Trattato della pittura, faceva riferimento a una vernice a “olio di noce et ambra”, s’è voluta vedere in questa vernice una prova della sua mano. In realtà, le opere in cui Leonardo utilizza la vernice con ambra sono rare, e le analisi non invasive hanno definitivamente chiarito che, in realtà, quella apposta sulla Scapiliata è una verniciatura moderna (ed è opportuno rimarcare che, come osservano giustamente Seccaroni e colleghi, nessuno s’è mai chiesto “perché Leonardo dovesse impiegare una vernice su una tavoletta appena abbozzata”). Le analisi a fluorescenza x hanno poi fornito diversi dati interessanti. Il maggior risultato, sottolineano i tre studiosi, sono le informazioni ch’è stato possibile ricavare in merito all’imprimitura della tavola, “costituita da una miscela di pigmenti a base di piombo (biacca in primis, ma non può essere escluso l’impiego anche di minio), pigmenti a base di rame e giallo di piombo e stagno”: si tratterebbe d’una preparazione descritta anche da Leonardo, e in particolare in una nota che compare sulla carta 1r del Manoscritto A conservato alla Bibliothèque de l’Institut de France (Leonardo parla d’una “imprimitura di trenta parti di verderame e una di verderame e due di giallo”). Il fatto che l’artista abbia ripetuto due volte il verderame è, secondo gli studiosi, un refuso “emendabile ristabilendo come primo ingrediente quello utilizzato in proporzioni maggiori, la biacca”. E ancora, è stato preso in esame anche il supporto: charito con indagine autoptica che si tratta di legno di noce (materiale utilizzato da Leonardo per tutti i suoi dipinti milanesi), s’è posta evidenza sulle vicissitudini che ha subito nel corso del tempo.

In particolare, s’è scartata l’ipotesi secondo la quale la Scapiliata potrebbe essere il frammento d’una composizione di grandi dimensioni: “le caratteristiche del supporto”, affermano gli studiosi, “dimostrano che esso non è stato ridotto se non in minima parte, come attestato dalla smussatura su tutti e quattro i lati, che indica che la sottile tavoletta in origine sarebbe dovuta essere incastrata in una cornice con la funzione, anche, di contrastare il naturale movimento del legno a seguito delle sollecitazioni igrometriche ambientali”. Una struttura documentata anche in altre opere coeve. Risulta comunque certo che l’opera sia stata resecata e alterata successivamente, con tagli evidenti e ritocchi, ragion per la quale, con tutta probabilità, l’immagine che vediamo oggi non è la stessa che vedeva anche Leonardo. Su tali rimaneggiamenti ha ben scritto Pinin Brambilla Barcilon, restauratrice che conosce profondamente l’opera di Leonardo (la si ricorda soprattutto per il suo restauro dell’Ultima cena), evidenziando come il volto risulti “ripassato in alcune porzioni, evidenti in corrispondenza del profilo e soprattutto dello sguardo, alterato da un ritocco nel taglio dell’occhio sinistro: l’ombreggiatura che ne risulta genera un disturbo nell’equilibrio compositivo e sembra modificare i dati somatici”. Brambilla Barcilon ritiene che anche le ciocche ondulate non appartengano alla mano di Leonardo: a suo avviso non s’attaglia al genio di Vinci la libertà di tratto che al contrario sembra contraddistinguere le ampie pennellate ai lati del capo.

Ci sono poi le nuove ipotesi circa la cronologia della Scapiliata all’interno della produzione leonardiana: in una delle ultime occasioni in cui la Scapiliata era stata esposta fuori da Parma (ovvero la grande mostra su Leonardo a Palazzo Reale, a Milano, nel 2015), Pietro C. Marani la schedava con cronologia 1504-1508, ponendo quindi la tavoletta vicino alla Leda, alla cui realizzazione l’artista vinciano attese in quel torno d’anni, e alle Madonne che Leonardo stava eseguendo attorno nel 1508 per Luigi XII di Francia (le “due nostre Donne di varie grandezze” d’incerta identificazione). In questa occasione Marani propone invece una datazione diversa, tra il 1492 e il 1501 circa: all’ultimo decennio del secolo XV rimanderebbe intanto la vicinanza concettuale a un passo del Trattato della pittura (databile al 1490-1492), in cui si forniscono indicazioni su come raffigurare i capelli ("fa tu adonque alle teste li capegli scherzare insieme col finto vento intorno alli giovanili volti, e con diverse revolture graziosamente ornargli. E non far come quelle che gl’impiastrano con colle, e fanno parere e’ visi come se fussino invetriati; umane pazzie in aumentazione, delle quali non bastano li naviganti a condurre dalle orientali par e le gomme arabiche, per riparare che ’l vento non varii l’equalità delle sue chiome, che di più vanno ancora investigando“: in mostra è presente la prima edizione a stampa del trattato). E ancora, costituiscono argomento per datare l’opera agli anni Novanta i possibili stimoli che forse giunsero all’artista dalla scultura lombarda del tardo Quattrocento (”quando teste di tradizione bramantesca con lunghi capelli riccioluti uscite dalle botteghe di de’ Donati e di Giacomo del Maino o dai fregi del de’ Fondulis [...] potevano incrociare il suo sguardo", sottolinea Marani), e un confronto inedito con l’angelo di destra della Vergine delle Rocce nella versione di Londra (che risultava ancora non terminata nel 1506, e che studî recenti vogliono cominciata verso il 1490), la cui testa ruotata di trenta gradi appare pressoché sovrapponibile a quella della Scapiliata. Secondo Marani, questo confronto, che rielabora uno spunto di Adolfo Venturi del 1942, “conferma affinità stilistiche e financo esecutive sorprendenti, quali la materia ricca e pastosa, l’uso della biacca pigmentata, le palpebre pesanti e le pupille scure e fonde, tali da suggerire anche un simile arco cronologico per la Scapiliata”.

Leonardo da Vinci, Testa di donna detta La Scapiliata (1492 circa - 1501; biacca con pigmenti di ferro e cinabro, su preparazione di biacca contenente pigmenti a base di rame, giallo di piombo e stagno su tavola di noce, 24,7 x 21 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)
Leonardo da Vinci, Testa di donna detta “La Scapiliata” (1492 circa - 1501; biacca con pigmenti di ferro e cinabro, su preparazione di biacca contenente pigmenti a base di rame, giallo di piombo e stagno su tavola di noce, 24,7 x 21 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)


Leonardo da Vinci, La Scapiliata
Leonardo da Vinci, La Scapiliata


Seguace di Leonardo, Leda e il cigno (primo decennio del XVI secolo; olio su tavola, 130 x 77,5 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)
Seguace di Leonardo, Leda e il cigno (primo decennio del XVI secolo; olio su tavola, 130 x 77,5 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)

Su quest’ultima base s’innestano i possibili raffronti con altre opere simili nella produzione leonardiana, alcuni dei quali proposti direttamente al pubblico in mostra. I disegni che arrivano dalle collezioni dei reali d’Inghilterra (due studî per l’acconciatura d’una donna, legati alla Leda a cui Leonardo stava lavorando nei primi anni del Cinquecento: a Parma è presente la versione redatta da un seguace del maestro e oggi conservata agli Uffizi) dimostrano l’impegno che l’artista di Vinci stava profondendo, all’inizio del XVI secolo, nel delineare una figura femminile dai capelli mossi dal vento, con accurato studio delle pettinature (e con le ciocche che s’agitano in maniera non dissimile da come le vediamo nella Scapiliata): il fatto che l’artista si sia curato più dei capelli che del viso (che appare piuttosto tipizzato, al contrario di quanto avviene invece per l’acconciatura) dimostra in maniera inequivocabile che sui primi si concentravano le attenzioni di Leonardo in quel frangente. Eppure non si può far a meno di notare che l’inclinazione dei volti, l’atteggiamento e lo sguardo hanno diversi punti di contatto con il profilo della Scapiliata: a completare quest’incroci di similitudini fisiognomiche giunge anche lo Studio per la testa di Leda, opera molto discussa (alcuni ne hanno anche negato l’autografia) e in uno stato di conservazione non ottimale, ma che s’inserisce nel fortunato filone dei volti femminili su cui Leonardo inventa e sperimenta per trovare un’acconciatura in linea con i suoi pensieri. I capelli erano, del resto, già da tempo importante terreno di sperimentazione per molti artisti (basti ricordare le incantevoli donne di Sandro Botticelli o le compite damine del Pollaiolo), ma la novità dell’approccio di Leonardo consiste nell’aver insistito sul movimento delle chiome per donare naturalezza e infondere vita ai personaggi.

Ed è proprio sul tema del movimento (prima inteso in senso lato, e poi ristretto al movimento dei capelli) che la rassegna intende dichiaratamente collocare storicamente l’apporto di Leonardo: dapprima, con la sezione d’apertura, inquadrando le vicende che avrebbero condotto alla Scapiliata, e quindi, attraverso la seconda delle quattro salette della mostra, indagando i contributi degli artisti che raccolsero la sfida lanciata dal vinciano. La prima parte risulta piuttosto debole: eccezion fatta per un paio di monete antiche e per una singolare Coppia in volo proveniente dalla Casa dei Dioscuri di Pompei e conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli, unico prestito di questa prima parte, il percorso sembra semmai volto a tracciare le linee dell’iconografia dei volti femminili attraverso un certo numero d’opere provenienti dalla raccolta della Galleria Nazionale di Parma. E se i rapporti di questi ultimi con la Scapiliata appaiono alquanto labili, la loro unica funzione parrebbe esser quella d’approntare un breve e sommario riassunto delle tappe che condussero gli artisti del Rinascimento a sviluppare una pittura più naturale anche attraverso il riferimento all’arte antica. Meglio strutturata la seconda sezione, che esamina gli echi della lezione leonardesca: Marani sottolinea che la presenza a Milano di Leonardo indusse alcuni pittori, come il Maestro della Pala Sforzesca, Giovanni Agostino da Lodi (Lodi, 1470 circa - 1519 circa) e Bernardino Luini (Dumenza, 1481 circa - Milano, 1532), a riflettere sulla “tipologia di un volto femminile ‘incorniciato’ dai capelli fluttuanti”: tale è il volto della donna con capelli sciolti e collana di perle raffigurato dal Maestro della Pala Sforzesca in un disegno custodito dalla Veneranda Biblioteca Ambrosiana di Milano (tanto simile alle prove grafiche leonardiane da essere in passato ritenuto un autografo), e caratteristiche simili palesano la sorprendente Testa di giovane con folta capigliatura di Giovanni Agostino da Lodi, in arrivo dal Louvre, o la Salomè di Luini, prestata dagli Uffizi (dipinto in cui il profilo della protagonista, la sua pettinatura, l’inclinazione del volto ricordano da vicino gli studî di Leonardo: in catalogo, Rosalba Antonelli giunge a metterla in esplicita relazione con la Scapiliata).

Le ultime due sale sono dedicate al collezionismo nella Parma ducale, tema strettamente legato alla Scapiliata, date le circostanze nelle quali l’opera arrivò in città. Si sottolinea dunque l’importanza della figura di Gaetano Callani, “l’artista di maggiore fama nel ducato borbonico sul finire del XVIII secolo” (tale lo ritiene lo studioso Alberto Crispo) esponendo un nucleo significativo della sua raccolta: spiccano in particolare il suo ritratto eseguito dalla figlia Maria Callani (Milano, 1778 - Parma, 1821), i documenti grazie ai quali è stato possibile ricostruire le vicende che portarono la Scapiliata nelle collezioni della Galleria Palatina, oltre a un acquerello su carta raffigurante Leonardo da Vinci nel suo studio, e la successiva traduzione di quest’ultimo in stampa all’acquaforte eseguita da Domenico Cunego (Verona?, 1724 o 1725 - Roma, 1803). Queste ultime due opere, in particolare, rappresentano prova evidente della forte passione che Callani nutriva nei confronti di Leonardo da Vinci (tanto che in passato ci fu anche il sospetto che fosse lui, da buon copista dall’antico, l’autore della Scapiliata): fu anche grazie a Callani se l’interesse per Leonardo e per il Cinquecento in generale conobbe un certo impulso. La ricostruzione dell’acquisizione della Scapiliata consente d’ammirare anche alcuni dipinti entrati nelle raccolte ducali nella stessa epoca: si spazia da opere di fine Quattrocento come l’Apostolo di Bernardino Butinone (Treviglio, ante 1453 - 1510) e, passando per il XVI secolo rappresentato da un notevole dipinto d’ambito locale, il Ritratto di Anna Eleonora Sanvitale eseguito da Girolamo Mazzola Bedoli (Viadana, 1500 circa - Parma, 1569), si giunge alla coppia di ritratti attribuita a Frans Pourbus il Giovane (Anversa, 1569 - Parigi, 1622), altissimi esempî della ritrattistica fiamminga d’inizio Seicento. Si esula insomma dal tema basilare della mostra, ma occorre sottolineare che con queste ultime due sezioni s’è creato un interessante approfondimento divulgativo a costo zero, dal momento che tutte le opere esposte sono di proprietà della Galleria Nazionale e sono state semplicemente spostate di sala: un’operazione che porta l’esposizione ad abbandonare il discorso sulla Scapiliata, e semmai la utilizza come punto di partenza per dar vita a un interessante focus che dimostra come s’arricchisce la raccolta d’un museo, come l’acquisto d’un capolavoro sia pratica che rientra nelle normali politiche d’espansione d’una raccolta, e come il museo sia un organismo vivo.

Leonardo da Vinci, Studio per l'acconciatura di una donna (1504-1506 circa; penna e inchiostro su carta bianca, 92 x 112 mm; Windsor Castle, Royal Library)
Leonardo da Vinci, Studio per l’acconciatura di una donna (1504-1506 circa; penna e inchiostro su carta bianca, 92 x 112 mm; Windsor Castle, Royal Library)


Leonardo da Vinci (con riprese successive?), Studio per la testa di Leda (1504-1506 circa; pietra naturale su carta preparata rosso-rosata, 200 x 157 mm; Milano, Castello Sforzesco, Civico Gabinetto dei Disegni)
Leonardo da Vinci (con riprese successive?), Studio per la testa di Leda (1504-1506 circa; pietra naturale su carta preparata rosso-rosata, 200 x 157 mm; Milano, Castello Sforzesco, Civico Gabinetto dei Disegni)


Giovanni Agostino da Lodi, Testa di giovane con folta capigliatura (1505 circa; matita rossa, tracce di profilatura in nero, 82 x 99 mm; Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, Fonds des dessins et miniatures)
Giovanni Agostino da Lodi, Testa di giovane con folta capigliatura (1505 circa; matita rossa, tracce di profilatura in nero, 82 x 99 mm; Parigi, Musée du Louvre, Cabinet des dessins, Fonds des dessins et miniatures)


Bernardino Luini, Salomè con una serva e il boia che presenta la testa del Battista (1525 circa; olio su tavola, 51 x 58 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)
Bernardino Luini, Salomè con una serva e il boia che presenta la testa del Battista (1525 circa; olio su tavola, 51 x 58 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi)


Maria Callani, Ritratto del padre Gaetano Callani (1802; olio su tavola, 49 x 40 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)
Maria Callani, Ritratto del padre Gaetano Callani (1802; olio su tavola, 49 x 40 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)


Domenico Cunego, Leonardo da Vinci nel suo studio (1782; acquaforte, 319 x 206 mm l'impronta, 381 x 241 mm il foglio; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli)
Domenico Cunego, Leonardo da Vinci nel suo studio (1782; acquaforte, 319 x 206 mm l’impronta, 381 x 241 mm il foglio; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Biblioteca Palatina, Raccolta Ortalli)


Bernardino Butinone, Apostolo (1485-1490 circa; olio su tavola, diametro 23 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)
Bernardino Butinone, Apostolo (1485-1490 circa; olio su tavola, diametro 23 cm; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)


Frans Pourbus il Giovane, Ritratto di gentiluomo e Ritratto di gentildonna (primo decennio del XVII secolo; olio su tela, 57 x 47 cm il primo, 57 x 48 cm il secondo; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)
Frans Pourbus il Giovane, Ritratto di gentiluomo e Ritratto di gentildonna (primo decennio del XVII secolo; olio su tela, 57 x 47 cm il primo, 57 x 48 cm il secondo; Parma, Complesso Monumentale della Pilotta, Galleria Nazionale)

Si viene accompagnati verso l’uscita da un ultimo approfondimento sulla tavoletta di Leonardo, tutto dedicato alla recente campagna d’indagini: le fotografie delle analisi scientifiche e un ricco apparato illustrativo consentono ai visitatori d’approfondire tutte le tematiche legate al restauro, dalla preparazione alla vernice, dal supporto alla pellicola pittorica. E a proposito di quest’ultima, varrà la pena tornare, a questo punto, su quanto emerso dagli studî, anche per il fatto che un approfondito esame della stesura pittorica potrebbe aiutarci a dipanare i dubbî in merito alla possibile destinazione dell’opera. È stato rilevato che l’opera è portata a uno stadio pressoché finale nel volto (eseguito attraverso varie sovrapposizioni di colori scuri e trasparenti alternati a chiari che l’artista ha steso con pennellate più larghe), mentre il resto (la sommità del capo, le spalle, il collo, gli stessi capelli) è stato lasciato allo stato d’abbozzo.

Quale pertanto lo scopo d’un dipinto realizzato in maniera simile? Marani, nel suo saggio in catalogo, si domanda “se il dipinto di Parma non sia l’abbozzo sperimentale per un tema in cui rappresentare proprio gli effetti del vento, scegliendo come soggetto o un tema mitologico o antiquariale, tratto dai molti esempî forniti dall’Antico [...] e suggerito forse dalla visione di qualche bassorilievo raffigurante Nereidi, Menadi o figure di Ninfe danzanti”. Un tema che poi Leonardo avrebbe potuto successivamente sviluppare con la sua Leda, data anche la sua notevole prossimità alla Scapiliata. In sostanza, un esperimento, lasciato deliberatamente incompiuto, ma Marani mette sul piatto della bilancia anche una nuova ipotesi, suggerendo un legame tra la Scapigliata e un qualche tema biblico o neotestamentario: lo studioso ritiene che certe opere di Luini (una s’è vista sopra) su questi argomenti dimostrino una conoscenza della Scapiliata. Ed è pertanto plausibile, secondo lo storico dell’arte, “che il dipinto di Parma altro non sia se non lo studio per una composizione avente uno di questi temi per soggetto”. I nuovi studî sulla Scapiliata e le nuove ipotesi sulla sua datazione e sulla sua destinazione contribuiscono a fare di questa mostra uno degli appuntamenti leonardiani più interessanti dell’anno (né comunque vanno taciuti i ben congegnati propositi divulgativi, che si concretizzano in un percorso molto ricco per il grande pubblico): e se alla fine non ci sono particolari novità su quella fortuna evocata dal titolo della mostra (la vicinanza di Luini alla tavoletta era del resto già stata rilevata in passato), c’è comunque materiale per dar modo agli esperti di tornare a discutere sulla bella giovane dai capelli non raccolti.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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