1878: quando l'impressionismo francese arrivò per la prima volta in Italia


Nel 1878, due dipinti impressionisti giunsero per la prima volta in Italia, a Firenze. Come furono accolti dalla critica e dagli artisti italiani?

L’arrivo dell’impressionismo francese, a Firenze e in Italia, si verificò durante un’occasione ben precisa: la mostra della Promotrice fiorentina del 1878. La Promotrice era una società, costituitasi a Firenze nel 1843 come Società Promotrice delle Belle Arti (e tuttora esistente, con il nome di Società delle Belle Arti - Circolo degli Artisti “Casa di Dante”), che aveva lo scopo di sostenere gli artisti e diffondere la conoscenza delle loro opere, con mostre che si tenevano regolarmente nei suoi ambienti e dove gli artisti esponevano tutte le loro novità. La Promotrice fu, per esempio, determinante nel far conoscere all’Italia il movimento dei macchiaioli, che avrebbe dominato poi la scena artistica di Firenze e del paese tutto sul finire dell’Ottocento.

Nel 1878, la pittura impressionista francese era ancora quasi del tutto sconosciuta in Italia, nonostante i pittori impressionisti fossero attivi già da qualche anno: erano pochi, nel nostro paese, i conoscitori della loro arte. Tra questi spiccava però una personalità che fu determinante per l’arrivo dell’impressionismo in Italia: Diego Martelli (1839 - 1896), critico d’arte, “teorico” dei macchiaioli, nonché aggiornatissimo collezionista, che per qualche tempo risiedette a Parigi. Nella capitale francese, Martelli era solito frequentare il Café de la Nouvelle Athènes, punto di ritrovo di artisti e intellettuali, e grazie a tale frequentazione ebbe modo di entrare in contatto con i maggiori pittori impressionisti, e di stringere anche amicizia con alcuni di loro. L’artista a cui probabilmente si legò di più fu Camille Pissarro (1830 - 1903), nei confronti del quale il critico nutriva una forte ammirazione, tanto da cercare di far di tutto per portare alcune sue tele in Italia: Diego Martelli, da una parte, aveva preso a cuore le sorti del pittore, che stava attraversando un periodo di fortissime difficoltà economiche, e dall’altra aveva intuito le similarità che legavano i pittori macchiaioli agli impressionisti, ed era perciò intenzionato a far emergere tali identità di vedute anche a Firenze.

Così, Martelli acquistò due paesaggi da Pissarro e lo convinse a inviarli a Firenze. In una lettera del settembre del 1878, Diego Martelli scriveva così al pittore macchiaiolo Francesco Gioli: “Mi sono tanto arrabattato che ho persuaso il mio amico Pissarro a mandare all’esposizione della Promotrice (a Firenze) due quadri, uno più impressionista dell’altro... Stante però la qualità strana di questa pittura [...] gli amici non abbandonino queste tele senza combattimento... Spero che non sarà inutile per voialtri vedere lo strano modo per il quale questi artisti cercano di raggiungere l’effetto, ma che solleverà molte discussioni tra voialtri. Non occorre dire che il Pissarro, stante la sua fenomenale miseria, ed il suo modesto carattere, è pronto a rilasciare i quadri in vendita a piccolissimo prezzo, e casomai si verificasse la strana ipotesi di un benefattore, non dimenticate di offrire e di farlo offrire”. I due dipinti arrivarono puntualmente a Firenze nel novembre del 1878: si trattava di due piccole tele note come La taille de la haie (“Il taglio della siepe”) e Paysage - L’approche de l’orage (“Paesaggio - L’approssimarsi della bufera”). Furono entrambe esposte, come si è accennato all’inizio dell’articolo, alla mostra della Promotrice fiorentina. Entrambe con a fianco il loro prezzo: probabilmente Martelli contava di rivenderle, come si può intuire dalla lettera a Gioli, per aiutare ulteriormente Pissarro.

Camille Pissarro, L'approche de l'orage
Camille Pissarro, Paesaggio - L’approssimarsi della bufera (1878; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)


Camille Pissarro, La taille de la haie
Camille Pissarro, Il taglio della siepe (1878; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)

L’accoglienza, tuttavia, non fu quella che Diego Martelli avrebbe sperato per le opere impressioniste dell’amico, e i giudizi dati dall’ambiente fiorentino furono negativi, indignati e talvolta pure sprezzanti. Giovanni Fattori avrebbe detto, in modo sdegnoso, che rispetto agli impressionisti “noi s’era più avanti”. Lo stesso Francesco Gioli avrebbe reagito con pungente ironia: se, nel luglio di quello stesso anno, Martelli aveva definito Pissarro un “simpatico impressionista e uno dei più forti della brigata”, Gioli, dopo aver visto i suoi dipinti, disse che “il Pissarro è un forte artista, lo credo ma non lo vedo dai quadri che ha mandato qua”. E Gioli non avrebbe risparmiato il suo feroce sarcasmo neppure nei confronti di Silvestro Lega, che insieme a Telemaco Signorini fu l’unico ad apprezzare i dipinti di Pissarro: in riferimento alla malattia agli occhi che aveva colpito il pittore romagnolo, Gioli disse che “Lega solo, nella sua qualità di semicieco, si accosta al Signorini nell’ammirazione”. Ma, in sostanza, cos’è che quasi tutti i macchiaioli rimproveravano ai dipinti di Camille Pissarro? Ci sono, ovviamente, diverse similitudini tra la pittura di macchia e l’impressionismo, ma anche molte differenze: i macchiaioli guardavano anche alla tradizione e, da pittori per la più parte toscani, fondavano spesso le loro opere sul tradizionale disegno, inoltre conferivano volumi più plastici alle loro figure, e delineavano i soggetti con contorni più netti e definiti. Una pittura più rarefatta, sfuggente e meno definita come quella di Pissarro, non poteva essere dunque granché vicina al gusto dei macchiaioli. Lega e Signorini, invece, mostrarono vivo entusiasmo proprio per gli esiti al limite dell’arditezza della pittura del francese, riconoscendo in essa una modernità e un’originalità non indifferenti.

Martelli, tuttavia, non si diede per vinto, e volle esprimere a Giovanni Fattori in persona il proprio disappunto per l’accoglienza che i pittori d’ambito toscano avevano riservato alle due tele di Pissarro. Da Parigi, dove il critico si trovava, scrisse al pittore livornese una lettera piuttosto dura, di cui riporto alcuni stralci: “Sono cascato dalle nuvole quando ho letto il tuo giudizio sulle opere di Pissarro, inquantoché se fra noi vi è qualcuno che in certi quadri gli assomiglia più di tutti gl’Impressionisti, sei tu. Tanto vero che qua i tuoi studi accanto a cose di Pissarro e di altri dello stesso genere, stanno in buonissima compagnia. Che quella pittura non piaccia a Lemon e al Bruzzi, si capisce; perché ambedue questi artisti chiudono sempre in un contorno durissimo, come quello d’un intarsio i loro colori, e specialmente, il Bruzzi; ma tu che hai dipinto delle cose bellissime, che furono esposte in una fiera di beneficienza in Via Sapienza (certe ville con ulivi a Fauglia) nelle quali tutto risultava per macchia di colore, non capisco come non possa trovar nulla nelle pitture del Pissarro. [...] Potrei capire l’appunto che fai al colore, come falso, se tu non fossi stato mai in Francia o se tu ci fossi stato d’inverno. Ma se non hai traversato la campagna francese dormendo, e te ne rammenti, dirai invece che, come colore locale, nulla di più esatto si può desiderare. [...] Cos’era il quadro che avevi alla Promotrice l’anno passato, Le Boscaiole, se non un’impressione? Cos’era la Carica venduta a Torino, se non un’impressione ? [...] Di più ti dico che se gl’Impressionisti sono meno avanti di voi, tanto meglio per non essere in condizione di smettere, ma anzi di seguitare”. Occorreva, dunque, correre ai ripari, e cercare di presentare la pittura impressionista in Italia in un modo un po’ più approfondito.

Fu così che Diego Martelli, nel 1879, organizzò a Livorno due conferenze negli ambienti del locale Circolo Filologico, proprio con l’obiettivo di parlare al pubblico della pittura impressionista. Le lezioni che tenne nei due distinti interventi confluirono poi in un breve saggio, pubblicato nel 1880, che a oggi è possibile considerare come il primo contributo critico in Italia sugli impressionisti, nonché il primo contributo tout-court di un critico non francese. Tra i passaggi finali della conferenza, durante la quale Martelli aveva parlato delle conquiste di Manet, Degas e colleghi, ve n’è uno che racchiude il giudizio del critico sulla corrente artistica che cambiò la storia dell’arte: “L’impressionismo non è solamente una rivoluzione nel campo del pensiero, ma è anche una rivoluzione fisiologica nell’occhio umano. Esso è una teoria nuova che dipende da un modo diverso di percepire la sensazione della luce, e di esprimere le impressioni. Né gli impressionisti fabbricarono prima le loro teorie, e dopo vi adattarono i quadri, ma al contrario, come sempre accade nelle scoperte, furono i quadri nati dal fenomeno incosciente dell’occhio di uomini d’arte che, studiati, dopo produssero il ragionamento dei filosofi”. Era il primo riconoscimento ufficiale dell’arte impressionista nel nostro paese: di lì in avanti, critica e pubblico avrebbero mostrato un atteggiamento sempre più aperto.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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