Francesco Hayez e la sua “donna più schifosa del volgo” nelle vesti di Venere


Nel 1830 Francesco Hayez dipinse un'opera che destò scandalo: la Venere che scherza con due colombe, realistico ritratto della ballerina Carlotta Chabert.

Ci sono ottimi margini di certezza per affermare che, al giorno d’oggi, tutti avremmo ignorato il nome di Carlotta Chabert, ballerina di metà Ottocento, se non fosse stato per una precisa circostanza: il fatto che la ragazza è stata amante di un ricco committente di Francesco Hayez (1791 - 1882). E sono ben poche, se non nulle, le ulteriori informazioni che conosciamo sulla donna. Anche perché il conte Girolamo Malfatti, il chiacchieratissimo aristocratico trentino che di lei s’era innamorato, cercava di non ostentare la propria liaison, che poteva essere giudicata sconveniente e del tutto inappropriata per un signore del suo rango: ci troviamo, del resto, in un’epoca nella quale occorreva salvare il più possibile le apparenze. Nonostante ciò, il conte ebbe l’idea di omaggiare l’amante con un dipinto da commissionare all’illustre artista veneziano, e per ottenerlo era disposto anche a pagarlo caro: la cifra che l’aristocratico corrispose ad Hayez fu di settecento marenghi, somma che poteva garantire a chiunque di condurre una vita dignitosa per un anno intero.

La Venere Callipigia
La Venere Callipigia
Il dipinto avrebbe dovuto raffigurare Carlotta in veste di Venere, e Hayez non perse tempo: si recò a Trento per studiare l’opera, che fu completata in tempo per l’esposizione di Brera del 1830. Hayez infatti, dal canto suo, pensò di portarla a Milano per mostrarla nella rassegna che si teneva ogni anno presso l’Accademia di Brera. Si trattò di uno degli atti più provocatori che la storia dell’arte ricordi. Non tanto perché la Venere che scherza con due colombe ritraeva una donna i cui costumi non erano certo quelli che si addicevano a una dama di metà Ottocento, anche se gli osservatori dovettero ben immaginare che dietro all’immagine della dea dell’amore si celasse il ritratto d’una donna di mondo. Lo scandalo, piuttosto, fu causato dall’eccessivo realismo: Hayez aveva preso a esempio un modello classico, quello della Venere Callipigia (ovvero la “Venere dalle belle natiche”, una scultura romana che ritraeva la dea vista di spalle, e il nome con cui è universalmente nota suggerisce la bellezza delle sue proporzioni) e l’aveva prepotentemente attualizzato. La donna mostra infatti i glutei all’osservatore, mentre si appoggia a un velo steso alla bell’e meglio sopra un muretto in marmo e gioca con due colombe, animali cari a Venere e simbolo d’amore, che le avvolgono un nastrino rosso attorno al corpo. I piedi sono immersi nell’acqua di un laghetto che si trova nel mezzo di un bosco rigoglioso: la dea probabilmente sta per fare un bagno e ha appena lasciato la veste che la copriva sopra al parapetto. Su quest’ultimo, Hayez ha inserito un grosso vaso classico a sottolineare ancor meglio la sua volontà di rifarsi all’antichità. Così, nel 1925, la celebre critica d’arte Margherita Sarfatti descriveva l’opera: Carlotta Chabert, la celebre ballerina, alta, bianca, quasi nuda sopra uno sfondo — anzi uno scenario — di giardini, di fontane, riesce a evocargli innanzi qualche reminiscenza delle Susanne al bagno care al Tintoretto.

Francesco Hayez, Venere che scherza con due colombe
Francesco Hayez, Venere che scherza con due colombe (Ritratto di ballerina Carlotta Chabert) (1830; olio su tela, 183 x 137 cm; Rovereto, MART)

I puristi non poterono tollerare la vista di un simile dipinto, considerato dissacratorio nei confronti dell’ideale classico della bellezza: le proporzioni della donna non erano considerate armoniose, dal momento che la parte inferiore del corpo era ritenuta sproporzionata rispetto alla superiore, e il suo fare veniva giudicato troppo procace. È lo stesso Hayez, nelle sue Memorie, a ricordare le critiche che gli vennero mosse per il suo dipinto: Bisogna che confessi che se dal lato colore forse questa figura era riuscita, per forma non aveva quella nobiltà voluta nella regina della bellezza, causa ne fu il modello, che quantunque non fosse propriamente difettoso, pure se io avessi cercato di migliorarlo avrei riuscito a maggior mia soddisfazione: ma il rispetto che io ho del vero mi tolse l’ardire di migliorarlo dietro lo studio ch’io aveva preventivamente fatto delle cose greche: con tutto ciò non aveva pensato di meritarmi una critica così acerba che mi si scagliò contro, qualificando la mia Venere “la più schifosa donna del volgo”. Nel 1835 un altro pittore, Pelagio Palagi (1775 - 1860), avrebbe ritratto Carlotta Chabert nei panni della dea Diana, in un dipinto realizzato sempre per Girolamo Malfatti (ma che non arrivò mai al conte): dal confronto con l’opera di Hayez emerge in modo inequivocabile la modernità della Venere di quest’ultimo.

I dipinti di Francesco Hayez e Pelagio Palagi a confronto
I dipinti di Francesco Hayez e Pelagio Palagi a confronto (a destra: Pelagio Palagi, Diana (Ritratto di Carlotta Chabert) (1835; olio su tela, 217 x 143 cm; Bologna, MAMbo)

Emerge, dalle parole di Hayez, un concetto fondamentale: il rispetto del vero. Il pittore non intende cercare il bello ideale: in questa sua volontà di rappresentare, pur attraverso il filtro della mitologia, un corpo vero, sensuale e palpitante sulla tela, sta la modernità del grande artista romantico. E infatti non solo critiche dovette ricevere l’opera: i romantici che frequentavano gli ambienti braidensi supportarono il pittore, ricordando ai classicisti loro avversari che l’operazione che Hayez intendeva compiere, pur nella sua originalità, traeva ispirazione da illustri precedenti. La sensualità della Venere di Hayez era infatti la stessa che caratterizzava le Veneri di Tiziano, un altro artista che non mancava di prendere a modello donne di facili costumi per le proprie dee. E non bisogna dimenticare che i romantici spingevano per un’arte moderna, che iniziasse ad allontanarsi dalla tradizione classica per andare incontro alle nuove esigenze di verità nei dipinti: quelle a cui, come s’è visto, rispondeva la Venere di Hayez.

E il committente? Come reagì alle polemiche suscitate dal dipinto a Milano? Probabilmente, lo scandalo rimase confinato in Lombardia, ma la complicità tra l’aristocratico e il pittore dovette far sì che l’artista riportasse al conte, forse anche divertito, quanto accaduto alla mostra. Di certo, lo scandalo non minò affatto il rapporto tra i due, anzi: l’anno successivo, Girolamo Malfatti commissionò ad Hayez un nuovo dipinto a soggetto mitologico. E certo è anche il fatto che ben presto il mondo delle accademie (e dell’arte in generale) si dimenticò della Venere-Carlotta Chabert, che fu riscoperta soltanto agli inizi del Novecento, quando il critico Nino Barbantini, nel 1923, incluse l’opera alla “Mostra del ritratto veneziano dell’Ottocento”, considerandola uno dei migliori ritratti del diciannovesimo secolo: forse, l’opera deve la sua fama proprio grazie a questa mostra.

Oggi, guardiamo alla Venere di Francesco Hayez come a uno dei massimi capolavori dell’erotismo nell’arte, come a un dipinto che denota una interessante commistione tra modernità e classicità, e soprattutto come a una delle opere più innovative della sua epoca, che conferma l’eccezionale inventiva di Hayez, nonché le sue grandi doti nella rapresentazione del nudo femminile, di cui fu maestro indiscusso. E l’eco delle polemiche che accompagnarono il dipinto quando fu mostrato, oggi sembra essersi smorzato del tutto: ci rimane la raffigurazione di una donna, bellissima nelle sue fattezze realistiche e nella sua provocante sensualità.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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