Giuseppe Ricci Oddi, il collezionista che donò la sua raccolta a Piacenza senza chiedere niente in cambio


La storia del collezionista Giuseppe Ricci Oddi, che donò alla città di Piacenza la sua raccolta senza chiedere niente in cambio: oggi è uno dei musei più importanti d'Italia.

Al giorno d’oggi, l’abitudine di compiere, almeno nel settore della cultura, dei gesti disinteressati e mossi unicamente da vera passione, si sta forse un po’ perdendo. È diventato ormai normale ritenere che a un atto compiuto nei confronti della cultura debba corrispondere un adeguato ritorno. Ma per fortuna non è sempre così. E non lo era neppure in passato. La storia ci ha regalato grandi personaggi che hanno avuto la generosità di donare senza chiedere niente in cambio. Uno di questi personaggi, forse poco conosciuto, ma a cui si deve una delle più belle pagine della storia dell’arte italiana, è Giuseppe Ricci Oddi (Piacenza, 1868 - 1936), che ha permesso la nascita di uno dei più importanti musei italiani per l’arte tra Ottocento e Novecento (oltre che, probabilmente, il più completo e organico) senza necessità di fare proclami, semplicemente sottovoce, con un’eleganza e una signorilità incommensurabili. È la storia di un collezionista sempre discreto, che è riuscito a mettere insieme un’importante raccolta grazie alla sua intelligenza, alla sua passione e all’umiltà di saper chiedere consigli a pochi amici, scelti con cura, non particolarmente influenti, ma dotati di una grande abilità nel saper riconoscere le buone occasioni. È una storia che prende le mosse verso la fine del diciannovesimo secolo.

Luciano Ricchetti, Ritratto di Giuseppe Ricci Oddi
Luciano Ricchetti, Ritratto di Giuseppe Ricci Oddi (1937; 41,5 x 40 x 42 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)
Giuseppe Ricci Oddi è un imprenditore, di origini nobili, che ha compiuto studi classici, si è laureato in Giurisprudenza a Roma, e amministra alcune aziende nei settori dell’agricoltura e della meccanica. La sua vita, negli anni immediatamente successivi alla conclusione degli studi, trascorre decisamente lontana dall’arte: quando non è impegnato sul lavoro, Giuseppe Ricci Oddi si dedica allo sport, praticando scherma, canottaggio, sollevamento pesi. Il primo e un po’ svogliato contatto con l’arte risale al 1897: il futuro collezionista, all’epoca ventinovenne, torna nella sua Piacenza dopo aver terminato l’Università e va ad abitare in un appartamento lasciatogli libero dalla madre nel grande palazzo di famiglia in via Poggiali. C’è solo un piccolo problema: l’appartamento è completamente spoglio. Il palazzo infatti era prima in buona parte occupato dalla sede piacentina della Banca d’Italia, che nel 1895 si era trasferita portandosi dietro tutti gli arredi. Poco male: Giuseppe Ricci Oddi si rivolge a un artista suo concittadino, Oreste Labò, ben inserito nell’ambiente, per chiedergli di aiutarlo a comperare alcuni dipinti. Labò evidentemente gli suggerisce molto bene, perché i primi acquisti sono due opere rispettivamente di Francesco Filippini e di Gaetano Previati: il secondo è uno dei principali esponenti del divisionismo, che in questo periodo sta già iniziando a entrare nel novero degli artisti più acclamati d’Italia, mentre il primo è un aggiornato pittore paesaggista scomparso prematuramente nel 1895. Di Filippini, Giuseppe Ricci Oddi acquista proprio un paesaggio: Pecore tosate, una suggestiva veduta che ha per protagonista un gregge di pecore al pascolo in un prato, sotto il cielo rossastro del tramonto, e sulla quale cala come un velo di malinconia. Di altro tenore l’opera di Previati: Dopo Novara è un mesto dipinto che raffigura un avvilito re Carlo Alberto che procede sul cavallo, a testa bassa, dopo la battaglia persa a Novara, costata la sconfitta decisiva nella prima guerra d’indipendenza, e l’abdicazione in favore di Vittorio Emanuele II.

Francesco Filippini, Pecore tosate
Francesco Filippini, Pecore tosate (1885; olio su tela, 130 x 80 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)


Gaetano Previati, Dopo Novara
Gaetano Previati, Dopo Novara (1884; olio su tela, 114 x 43 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)

Si tratta, tuttavia, di un paio di acquisti sporadici: ne seguono altri, il cui unico fine è quello di evitare che le pareti dell’appartamento rimangano vuote, ma Giuseppe Ricci Oddi ha altro per la testa, l’arte ancora non lo interessa così tanto. Anche se forse qualcosa, dentro di lui, comincia a muoversi. Quei primi acquisti non lo lasciano del tutto indifferente. Forse, il nobile imprenditore, il prestante sportivo, sente nascere una passione. Che inizia nel 1902 con un vero “colpo di fulmine”, come scrive lo storico d’arte piacentino Ferdinando Arisi. La passione per il collezionismo “dapprima moderata” si fa poi “inquieta, dominante, travolgente, suprema”. In quell’anno, Giuseppe Ricci Oddi si reca di nuovo a Milano con Oreste Labò per fare nuovi acquisti, questa volta con vivo interesse: tuttavia, nel 1903 il loro rapporto si interrompe, e il collezionista chiede dunque consigli a un altro suo amico, Carlo Pennaroli. Passano però altri cinque anni senza che Giuseppe Ricci Oddi compia acquisti, in quanto distratto dagli affari, ma trascorso questo lasso di tempo si butta di nuovo a capofitto nel mondo dell’arte. È da quest’anno che la passione si intensifica arrivando a occupare per buona parte le giornate di Giuseppe Ricci Oddi, che all’arte dedica ormai quasi tutto il tempo lasciatogli libero dal lavoro. L’amico Pennaroli è un uomo fidato e dotato, come scrive lo stesso Ricci Oddi, di “gusto fine” e “salda e acuta attenzione”: di mestiere fa il contabile in banca, ma anche lui è mosso da un immenso amore per l’arte, che mette in pratica raccogliendo una piccola collezione personale, e soprattutto suggerendo a Giuseppe Ricci Oddi gli artisti del momento, le occasioni da non perdere, i dipinti e le sculture ideali per arricchire la raccolta. I due, insieme, viaggiano per tutta Italia, si spostano per visitare botteghe, gallerie, aste, e per tornare con il meglio della pittura italiana del tempo.

Carlo Pennaroli
Carlo Pennaroli
Sì, perché la loro azione sembra essere mossa da un intento ben preciso: per usare di nuovo le parole di Arisi, “documentare, in modo esemplare, la pittura italiana dal 1830 al 1930 circa, così da essere un punto di riferimento sicuro per artisti e critici che volessero approfondire i loro studi”. E per dar conto delle sue azioni per ampliare la raccolta, Giuseppe Ricci Oddi, tra il 1918 e il 1926, tiene un diario in cui inizia ad annotare acquisti, viaggi, speranze, propositi, preoccupazioni, fallimenti, successi, desideri. Un documento rinvenuto negli anni Ottanta che ha apportato un contributo decisivo per ricostruire nei dettagli la storia della collezione. E dal diario scopriamo anche quali sono le linee-guida che muovono Giuseppe Ricci Oddi verso le scelte delle opere da acquistare: “il mio gusto personale tende a farmi prediligere l’opera di piccola mole alla vasta tela, in special modo trattandosi di paesaggio, che tanto più vibra di realtà e poesia quanto più è sintetico” (27 dicembre 1918). E infatti la raccolta abbonda di paesaggi: la Mareggiata di Giorgio Belloni, il Cavallo bianco al sole di Beppe Ciardi, il Bosco di montagna di Stefano Bruzzi sono solo alcuni dei primi quadri acquistati all’inizio degli anni Dieci, di cui Giuseppe Ricci Oddi darà anche notizia nell’intento (poi interrotto) di fornire notizie su ogni singolo quadro della raccolta, annotando prezzi, occasioni dell’acquisto, descrizioni, impressioni sull’incontro col pittore. Perché spesso il collezionista si reca direttamente presso gli studi e gli atélier degli artisti: Belloni, per esempio, è descritto come “un bravo pittore, che ci accoglie con grande affabilità”, Giuseppe Sacheri “ci conduce alla riva del mare e ci fa assistere alla esecuzione di un bozzetto”, Francesco Paolo Michetti “ci colma di gentilezze, offrendoci un pranzetto squisito che degustiamo noi tre soli” (ovvero il pittore, Ricci Oddi e Pennaroli).

Nel suo diario, il collezionista, come accennato, descrive anche i suoi propositi: l’obiettivo è quello di “formare una galleria che un giorno (spero!!!) dovrà riuscire gradevole e interessante non solo agli artisti e studiosi buon gustai dell’arte, ma bensì anche alla massa dei visitatori” (27 dicembre 1918). La concezione che Giuseppe Ricci Oddi ha dell’arte, del resto, è molto alta: “l’opera d’arte è retaggio della storia, ed il detentore (quanto spesso indegno!... ) non ne è se non il custode temporaneo” (2 gennaio 1919). Nel frattempo, la collezione si arricchisce in modo considerevole. Arrivano opere dei più grandi artisti contemporanei, in rappresentanza di tutti i movimenti e di tutte le scuole d’Italia. Ci sono i toscani, come Giovanni Fattori, Francesco Gioli, Telemaco Signorini, Silvestro Lega (che in realtà è emiliano ma che per stile e frequentazioni è assimilato ai toscani), ci sono i piemontesi come Giacomo Grosso, Giuseppe Pellizza da Volpedo e Marco Calderini, ci sono i paesaggi di Antonio Fontanesi, artista che Giuseppe Ricci Oddi apprezza moltissimo (tanto da acquistarne addirittura undici dipinti nel solo anno 1918), ci sono Francesco Hayez, Gerolamo Induno, gli scapigliati, Medardo Rosso, gli italiani di Parigi (Giovanni Boldini, Federico Zandomeneghi, Giuseppe De Nittis), i meridionali come Domenico Morelli, Edoardo Dalbono e Vincenzo Irolli. E non possono ovviamente mancare i contemporanei, come i pittori del gruppo Novecento, ma ci sono anche Umberto Boccioni e Carlo Carrà. La collezione raduna davvero il meglio dell’arte dell’epoca.

Giorgio Belloni, Mareggiata
Giorgio Belloni, Mareggiata (1890-1899 circa; olio su tela, 140 x 90 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)


Silvestro Lega, Pagliai al sole
Silvestro Lega, Pagliai al sole (1890; olio su tavola, 38 x 28 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)

Si pone però un problema, e non di poco conto. Le opere si accumulano nell’appartamento di Giuseppe Ricci Oddi, ed è necessario acquistare un palazzo che possa offrire una sistemazione idonea per la collezione, anche in vista di una futura apertura al pubblico, perché questo è il suo obiettivo: fare in modo che la collezione possa diventare di tutti. “Il mio sogno costante sarebbe quello di collocare in uno stabile degnamente adattato o appositamente costruito la mia collezione onde poi donare il tutto alla mia città” (19 marzo 1919). Quello dell’acquisto dello stabile è però un “doloroso argomento”, come lui stesso lo definisce, e una continua fonte di frustrazioni, perché Giuseppe Ricci Oddi non riesce in alcun modo, nonostante affannose ricerche, a trovare una sede adatta. A queste delusioni si aggiunge poi un grave lutto, perché Carlo Pennaroli se ne va prematuramente nel luglio 1919: a lui è dedicata una commossa pagina del diario in cui, col cuore colmo di tristezza, l’amico viene ricordato come persona modesta, avversa a ogni vanità, e dotata di grandissimo e vero talento.

La ricerca della sede inizia nel 1913 e termina nel 1924, quando Giuseppe Ricci Oddi trova un accordo con il Comune, che gli cede l’area sulla quale sorge l’ex convento di San Siro: il compito di progettare la galleria spetta a Giulio Ulisse Arata, che accetta l’incarico di buon grado ed escogita un recupero degli spazi di quello che era un tempo il convento, ideando una pianta con le prime sale disposte a fianco di un lungo corridoio che conduce verso un vano centrale attorno al quale si dispongono, in forma d’ottagono, le rimanenti stanze, quasi a guisa di prolungamenti. Se ne ricava una galleria ariosa, ben illuminata, moderna, in cui il percorso può svilupparsi suddiviso sostanzialmente per aree geografiche e rispettando un certo ordine cronologico. Finalmente, la Galleria può essere aperta al pubblico l’11 ottobre del 1931, con una cerimonia d’inaugurazione alla quale Giuseppe Ricci Oddi non presenzia: troppo schivo, modesto e timido per partecipare a un’occasione mondana. Del resto, già nel 1921 aveva rifiutato la proposta di essere nominato Commendatore della Corona d’Italia per i suoi meriti nel campo dell’arte: “sono profondamente e sinceramente schivo di ogni sorta di esteriorità ufficiali, bastandomi l’intimo e ineffabile compenso morale che è la coscienza di aver fatto e di fare qualche cosa di buono e di utile per la mia Patria e per la mia Città” (6 febbraio 1921). Insomma: Giuseppe Ricci Oddi si contenta di aver donato la sua collezione alla città senza chiedere in cambio alcunché.

Oggi, la Galleria Ricci Oddi, ancora modellata sull’idea del suo fondatore e nel frattempo arricchitasi con opere d’arte arrivate dopo la scomparsa del suo fondatore (come la Toilette di Emilio Rizzi, donata dalla figlia nel 2003 insieme ad altre opere dell’artista), è uno dei musei più moderni e interessanti del paese, visitato ogni anno da migliaia di persone, e ospita al suo interno mostre, conferenze, attività didattiche, e anche “aperitivi artistici” a tema aperti a tutti. E tutto questo si deve alla lungimiranza e alla generosità di un uomo che non andava alla ricerca di vantaggi personali, di notorietà, o anche semplicemente di approvazione: il suo desiderio era soltanto fare qualcosa a beneficio della collettività. A distanza di quasi un secolo continuiamo dunque a essere grati a questo grande collezionista che sognava di fare, della sua raccolta, un museo che aprisse le porte a chiunque volesse visitarlo. E il sogno, lo possiamo dire, è diventato una splendida realtà.

Una sala della Galleria Ricci Oddi di Piacenza
Una sala della Galleria Ricci Oddi di Piacenza


Emilio Rizzi, La toilette
Emilio Rizzi, La toilette o La vasca da bagno (1913; olio su tavola, 98 x 72 cm; Piacenza, Galleria Ricci Oddi)

Bibliografia di riferimento

  • Maria Grazia Cacopardi e Stefano Fugazza (a cura di), Galleria d’Arte Moderna Ricci Oddi, Galleria Ricci Oddi, 2015
  • Ferdinando Arisi (a cura di), Diario inedito di Giuseppe Ricci Oddi, Galleria Ricci Oddi, 1986


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Giornalista d'arte, nato a Massa nel 1986, laureato a Pisa nel 2010. Ho fondato Finestre sull'Arte con Ilaria Baratta. Oltre che su queste pagine, scrivo su Art e Dossier e su Left.

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