Giuseppe Diotti, “primo pittore lombardo” tra neoclassico e romantico in mostra nella sua casa-museo


Recensione della mostra 'Giuseppe Diotti. Un protagonista dell'Ottocento in Lombardia' a Casalmaggiore, Museo Diotti, fino al 28 gennaio 2018

Non è facile trovare una mostra allestita nello stesso luogo in cui l’artista visse e realizzò parte delle sue opere: è questo un punto di forza per la rassegna che Casalmaggiore, piccolo comune poco distante da Cremona, dedica fino al 28 gennaio a uno dei suoi figli più illustri, Giuseppe Diotti (Casalmaggiore, 1779 – 1846). Artista glorificato nella sua epoca, tra la fine del Settecento e la prima metà dell’Ottocento, tanto da meritarsi gli onori di Defendente Sacchi, tra i più importanti e autorevoli critici d’arte a lui contemporanei, che nel 1832 scrisse: “Diotti è il migliore pittore lombardo e alcuni credono anche il migliore che dipinga in Lombardia: la moda dà la palma ad Hayez e a Pelagi, forse il tempo la darà a Diotti...”: tuttavia, dopo la sua scomparsa fu trascurato dalla critica e oggi, purtroppo, pochi lo ricordano.

Solo nel 1991, grazie a Renzo Mangili che curò l’indimenticabile mostra a Bergamo Giuseppe Diotti. Nell’Accademia tra neoclassicismo e romanticismo storico, si risvegliò l’interesse per quel “primo pittore lombardo”, così come ancora Defendente Sacchi lo definì riconoscendogli il primato nella ripresa dell’antica tecnica dell’affresco e nella realizzazione della pittura sacra, rappresentata dall’artista in maniera sapientemente innovativa per il suo tempo. Prosegue sulla stessa linea l’attuale mostra di Casalmaggiore, che s’intitola Giuseppe Diotti. Un protagonista dell’Ottocento in Lombardia e che intende, se non riportare Diotti alle antiche lodi, almeno far conoscere e far riappropriare della sua importanza uno dei massimi esponenti dell’Ottocento lombardo. L’esposizione si prospetta inoltre come un invito ad ammirare le opere del protagonista anche nei luoghi di culto e di cultura dei territori limitrofi: il visitatore potrà seguire alcuni itinerari proposti in occasione della retrospettiva al fine di giungere a una visione e a una conoscenza più ampia dei capolavori realizzati, che altrimenti rimarrebbero circoscritte al solo percorso espositivo. Un’idea ammirabile.

Una sala della mostra "Giuseppe Diotti. Un protagonista dell
Una sala della mostra “Giuseppe Diotti. Un protagonista dell’Ottocento in Lombardia”


Una sala della mostra "Giuseppe Diotti. Un protagonista dell
Una sala della mostra “Giuseppe Diotti. Un protagonista dell’Ottocento in Lombardia”

Gli itinerari condurranno il visitatore nelle province della Lombardia in cui l’artista lavorò nel corso della sua attività, in particolare sull’asse Casalmaggiore-Cremona-Bergamo: ne sono esempi il Duomo di Santo Stefano di Casalmaggiore, dove si trova la pala dell’altare maggiore raffigurante la Madonna con santo Stefano e san Giovanni Battista, il cui soggetto rimanda al dipinto del Parmigianino eseguito nel 1540 per la vecchia chiesa di Santo Stefano, oggi conservato alla Gemäldegalerie di Dresda, oltre alla grande tela della Flagellazione di Cristo del 1802 e due opere realizzate da Gian Battista Trotti, detto il Malosso, di cui in mostra sono presenti le copie di Diotti, ovvero l’Ultima Cena e il San Pietro liberato dall’angelo. Ancora a Casalmaggiore è possibile visitare la Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli”, la cui gipsoteca conserva pezzi antichi provenienti dalla gipsoteca privata di Diotti, e ancora il Palazzo Favagrossa in cui il pittore affrescò nel 1819 la Toeletta di Venere, e il Palazzo Comunale che conserva nella Sala Consiliare l’enorme tela raffigurante il Giuramento di Pontida, uno dei suoi ultimi capolavori.

Se si continua nella vicina Cremona si potranno visitare la Cattedrale di Santa Maria Assunta (che conserva un ciclo di affreschi di Diotti posto ai lati del presbiterio, a tema cristologico e mariano, realizzato tra il 1830 e il 1834), Palazzo Mina-Bolzesi con un ciclo di affreschi a tema mitologico che gli permise di sperimentare e di esercitare la tecnica dell’affresco (fino ad allora realizzava le sue opere su muro utilizzando la tempera) e la cui conclusione richiese tredici anni, e ovviamente il Museo Civico “Ala Ponzone”, che conserva il più elevato numero di opere dell’artista, molte delle quali tuttavia in mostra a Casalmaggiore. A Bergamo, invece, è possibile recarsi all’Accademia Carrara, nella quale Diotti svolse la professione d’insegnante di pittura e che poi diresse per più di trent’anni, la Cappella Colleoni, nella quale è presente l’ovale raffigurante Tobia che ridà la vista al padre del 1827, e la Basilica di San Martino Vescovo ad Alzano Lombardo che conserva nella Cappella del Rosario il dipinto con Isacco che benedice Giacobbe del 1836. Altre opere del pittore sono visibili a Iseo e a Rudiano in provincia di Brescia, a Lovere, a Ranica e a Stezzano in provincia di Bergamo, a Soresina e a Rivarolo del Re in provincia di Cremona.

La retrospettiva Giuseppe Diotti. Un protagonista dell’Ottocento in Lombardia è allestita in un palazzo ottocentesco che l’artista acquistò e ristrutturò nel borgo del cremonese che gli diede i natali e la morte: pur avendo trascorso la propria vita tra Parma, Roma e Bergamo, il pittore tornò negli ultimi suoi anni d’esistenza a Casalmaggiore dove, stabilitosi nel palazzo sopraccitato, oggi sede del Museo Diotti, realizzò le sue ultime opere, ovvero la Pala Petrobelli, esposta per la prima volta in occasione della mostra, e l’incompiuto Giuramento di Pontida, non portato a termine a causa della sua morte nel 1846. Una casa-museo inaugurata dieci anni fa che oggi omaggia con grande orgoglio l’artista che trascorse gli ultimi anni della sua vita tra le sue mura, disegnando, dipingendo e progettando grandi capolavori che rimarranno per sempre testimonianze del suo operato artistico.

E proprio con omaggi ha inizio l’esposizione in questione: troviamo qui il busto marmoreo realizzato da Gaetano Manfredini nel 1837, ritratti realizzati con la tecnica dell’incisione e diffusi tra gli amici, e il particolarissimo Carme, che alcuni giovani concittadini gli dedicarono in occasione del suo ritorno a Casalmaggiore, stampato su un fazzoletto di seta ricamato risalente al 1840. È esposto qui inoltre il progetto della facciata di Palazzo Diotti affidato all’architetto Fermo Zuccari.

Giuseppe Diotti ebbe una formazione pienamente accademica, in quanto frequentò dal 1790 al 1794 la Scuola di Disegno, che venne fondata nel 1768 a Casalmaggiore da Francesco Antonio Chiozzi (di cui sono in mostra i quattro bei dipinti raffiguranti Giosuè, Mosè, Davide e Aronne e il ritratto di Leonardo Badalotti), e successivamente l’Accademia delle Belle Arti di Parma. L’occupazione dell’esercito napoleonico lo costrinse a interrompere gli studi nel 1796 e a continuare a esercitarsi realizzando copie di dipinti antichi: ciò lo portò ad avvicinarsi al luminismo cinque-seicentesco, per cui realizzò copie da opere del Malosso, come quelle esposte. Si tratta, come anticipato, dell’Ultima Cena, che Diotti vide nel Duomo di Santo Stefano di Casalmaggiore, e del San Pietro liberato dall’angelo. La sala successiva è dedicata agli anni del Pensionato artistico (1805-1809) che Diotti trascorse a Roma, guidato “a distanza” da Giuseppe Bossi, esponente del neoclassicismo milanese, presente in mostra con una copia del braccio della Giustizia dalla Sala di Costantino, e sotto la protezione di Antonio Canova, del quale è esposta una Testa autoritratto. Spiccano inoltre alcuni disegni e dipinti che l’artista inviò da Roma all’Accademia di Brera per dar conto dei suoi progressi. Tra questi il Mosè che presenta le tavole della legge (1808), due teste dalla Disputa di Raffaello (1805) e la meravigliosa tela raffigurante l’Adorazione dei pastori (1809). Quest’ultimo dipinto è raffinato, delicato ed estasiante: Gesù Bambino emana luce propria con uno straordinario candore che illumina i volti e le figure dei personaggi. Alla destra del Bambino, la Madonna adorante in ginocchio con le mani giunte ha un viso dolce e candido, dietro a lei san Giuseppe è seduto e assiste alla scena tenendo le mani intrecciate in una posa singolare; sulla sinistra un gruppo di pastori in ginocchio o in atto di genuflettersi adora il Bambino, e in posizione privilegiata rispetto a Gesù un pastore tiene tra le braccia un docile agnellino e una pastora è raffigurata in atto di offrire una colomba al pargoletto. Il tema di quest’opera verrà ripreso nella Pala Petrobelli, considerata l’opera finale dell’artista casalasco.

Gaetano Manfredini, Ritratto di Giuseppe Diotti
Gaetano Manfredini, Ritratto di Giuseppe Diotti (1837; marmo bianco di Carrara; Casalmaggiore, Museo Diotti)


Francesco Chiozzi, Ritratto di Leonardo Badalotti
Francesco Chiozzi, Ritratto di Leonardo Badalotti (1775; olio su tela; Casalmaggiore, Deposito Fondazione Conte Busi Onlus)


Antonio Canova, Testa autoritratto
Antonio Canova, Testa autoritratto (XIX secolo; calco in gesso; Casalmaggiore, Scuola di Disegno “Giuseppe Bottoli”)


Giuseppe Diotti, Ultima cena
Giuseppe Diotti, Ultima cena, copia dal Malosso (1802, olio su tela; Casalmaggiore, Chiesa parrocchiale di Santo Stefano)


Giuseppe Diotti, Mosè presenta le tavole della legge
Giuseppe Diotti, Mosè presenta le tavole della legge (1808, olio su tela, 162 x 116 cm; Casalmaggiore, Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera)


Giuseppe Diotti, Adorazione dei pastori
Giuseppe Diotti, Adorazione dei pastori (1809; olio su tela, 174 x 225 cm; Museo Diotti, deposito dell’Accademia di Belle Arti di Brera)

Formatosi, come detto, in ambito accademico, Diotti diede notevole importanza al disegno nella realizzazione delle sue opere, tanto che il disegno divenne suo principale metodo di lavoro, anche nell’insegnamento all’Accademia Carrara di Bergamo. Peraltro la direzione per oltre trent’anni da parte dell’artista portò l’Accademia Carrara a formare una scuola di pittura che, per metodo didattico e per formazione di artisti talentuosi, non ebbe niente da invidiare all’Accademia di Brera (furono suoi allievi artisti come Enrico Scuri, Francesco Coghetti, Giovanni Carnovali e Giacomo Trécourt).

Partendo da schizzi iniziali e passando poi a disegni d’insieme o parziali, come particolari anatomici, panneggi e figure intere, Diotti realizzava i cartoni preparatori su scala reale degli affreschi e delle grandi pale d’altare. Come il grande cartone dell’affresco della Consegna delle chiavi a san Pietro per il presbiterio del Duomo di Cremona, opera che il visitatore ha modo di osservare in mostra. Sono affiancati inoltre i vari studi relativi a quest’ultima, come il panneggio per san Pietro penitente, e quelli relativi all’Adorazione dei Magi della parrocchiale di Rudiano e alla pala d’altare della chiesa di santo Stefano di Casalmaggiore raffigurante la Vergine col Bambino tra san Giovanni Battista e santo Stefano. Notevole anche una Testa di Cristo realizzata nel 1833.

Una sezione centrale della rassegna è dedicata al Diotti collezionista d’arte, aspetto ancora poco conosciuto dell’attività diottesca: nella più ampia sala del Museo Diotti, dove il pittore raccolse la sua collezione di dipinti e di oggetti artistici formata negli anni trascorsi a Bergamo, successivamente dispersa dai suoi eredi, è stata ricostruita idealmente la sua raccolta di stampe.

La sala con il grande cartone della Consegna delle chiavi a San Pietro
La sala con il grande cartone della Consegna delle chiavi a San Pietro


Giuseppe Diotti, Gesù consegna le chiavi a san Pietro
Giuseppe Diotti, Gesù consegna le chiavi a san Pietro, cartone per l’affresco del presbiterio del Duomo di Cremona (1834; carboncino, sfumino e biacca su carta intelata, 247 x 436 cm; Casalmaggiore, Museo Diotti, deposito dell’Accademia Carrara di Bergamo)


Giuseppe Diotti, Testa di Cristo
Giuseppe Diotti, Testa di Cristo (1833; matita, carboncino e sfumino su carta avorio; Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe)

Il percorso espositivo tematico prosegue con il tema di Socrate, soggetto affrontato nel corso del Pensionato artistico a Roma: in mostra è esposto un dipinto del 1809 che raffigura la Morte di Socrate, oggi conservato al Museo Civico “Ala Ponzone” di Cremona. La scena coglie il momento in cui il filosofo, nella sua cella di prigione, attende la morte dopo aver bevuto la cicuta, mentre i suoi amici e discepoli si disperano attorno a lui; il recipiente con il quale gli è stato somministrato il veleno è visibile appoggiato a destra del filosofo. Questo tema rimanda agli incontri spontanei degli artisti al di fuori dell’ambito accademico volti al dialogo sui “pensieri”, ovvero sul modo di raffigurare un soggetto letterario. È proprio in queste occasioni che si sviluppò l’officina neoclassica alla quale l’artista casalasco partecipò e ne fece parte.

Relativamente alla pittura sacra si nota che Diotti operò un’innovazione nella rappresentazione della stessa: la liberò dalla patina allegorica per ispirarsi alla maniera classica nell’esprimere principi morali ed educativi. Inoltre, nelle raffigurazioni sacre conferì una significativa importanza alla luce, soprattutto nei notturni: la luce diventa nella maggior parte dei casi manifestazione del divino, come si può osservare nell’Adorazione dei Pastori di cui si è accennato precedentemente, nonché nella Natività di Gesù Cristo coi pastori adoranti – la cosiddetta Pala Petrobelli – realizzata tra il 1842 e il 1845. Entrambe mostrano la stessa impostazione: nella parte a destra la Madonna e san Giuseppe con in alto due angioletti, nella parte a sinistra i pastori in adorazione, al centro una candida luce inonda Gesù Bambino, che quasi appare indefinito nel suo giaciglio di paglia. Si noti questo espediente della teofania della luce anche nella Decollazione di san Giovanni Battista (1823-24). Tra i disegni e i dipinti a tema sacro ammiriamo la bella Rebecca (1810), Mosè e il serpente di bronzo (1809 circa), il bozzetto per la pala d’altare della chiesa di Santo Stefano a Casalmaggiore raffigurante la Vergine col Bambino tra san Giovanni Battista e santo Stefano (1814), due studi per san Giovanni Battista e il Bacio di Giuda (1839-40), in cui sono raffigurati solamente i busti di Cristo e di Giuda.

Giuseppe Diotti, Morte di Socrate
Giuseppe Diotti, Morte di Socrate (1837; olio su tela; Casalmaggiore, Museo Diotti)


Giuseppe Diotti, Decollazione di san Giovanni Battista
Giuseppe Diotti, Decollazione di san Giovanni Battista, bozzetto per la pala di Stezzano (1823-24; olio su tela, 51,5 x 37 cm; Casalmaggiore, Museo Diotti)


Giuseppe Diotti, Rebecca
Giuseppe Diotti, Rebecca (1810; olio su tela, 46 x 38 cm; Collezione privata)


Giuseppe Diotti, Ultima cena
Giuseppe Diotti, Vergine col Bambino tra san Giovanni Battista e santo Stefano, bozzetto per la pala della chiesa di Santo Stefano a Casalmaggiore (1814; olio su tela; Collezione privata)


Giuseppe Diotti, Il bacio di Giuda
Giuseppe Diotti, Il bacio di Giuda (1840 circa; olio su tela, 162 x 116 cm; Cremona, Seminario Vescovile, Museo Berenziano)

Altri temi cari a Diotti furono quelli del Conte Ugolino nella torre e dell’Antigone, tratti dalla letteratura. Il primo, narrato nel canto XXXIII dell’Inferno di Dante, è davvero celebre: il Conte Ugolino della Gherardesca è imprigionato nella torre della Muda ormai da mesi con i suoi quattro figli; la certezza della morte giunge nel momento in cui sentono inchiodare la porta d’accesso alla torre. Ugolino è impietrito dal dolore per la tragica fine a cui andrà incontro con i suoi figli, mentre in un secondo momento si morde entrambe le mani in gesto di rabbia: uno dei figli, parimenti stremato, ritiene che il padre si comporti così per la fame, e in uno dei passaggi più tragici del racconto gli si offre in pasto. La vicenda si conclude con la morte prima dei figli e successivamente di Ugolino per inedia (“Poscia, più che ’l dolor, poté ’l digiuno”: un verso che è stato anche interpretato, a torto, come descrizione dell’improbabile atto di cannibalismo di un Ugolino vinto dalla fame che avrebbe accettato l’offerta macabra dei figli cibandosi dei loro cadaveri). Le opere esposte in mostra rappresentano in varie versioni i due momenti della disperazione e della rabbia narrati nel Canto: Ugolino impietrito al pensiero della tragica morte dei suoi figli e di lui stesso, mentre i figli sono già stremati (uno sulla destra appare svenuto e viene sorretto da un fratello) e Ugolino mentre si morde le mani, con un figlio che si offre in pasto. Vediamo versioni del tema realizzate da Diotti nel 1831-32, e nel 1836-37, ma sono presenti anche raffigurazioni di Reynolds, Palagi, Doré e un piccolo dipinto di Pasquale Massacra.

Il tema di Antigone viene affrontato in mostra con una grande tela del 1845 che raffigura Antigone condannata a morte da Creonte. La bella Antigone fu condannata a morte da Creonte, re di Tebe, perché decisa a dare onorevole sepoltura al fratello Polinice, morto in duello per il possesso del trono contro Eteocle e considerato un traditore. Nel dipinto diottesco è rappresentato il momento in cui Antigone e la sorella sono condotte al cospetto di Creonte e, giudicate entrambe colpevoli, egli ordina il loro imprigionamento. Il dipinto si presenta con una straordinaria raffinatezza classicista e una pregevole tecnica pittorica: Diotti giunse all’attuale raffigurazione dopo vari studi, disegni e una lunga elaborazione concettuale. Tra gli studi presenti è possibile ammirare anche quello per la testa di Creonte.

La rassegna prosegue con la Corte di Ludovico il Moro (1823), una delle più celebri opere dell’artista, che appartiene ai capolavori ascrivibili alla pittura storica. Questa presenta con grande abilità pittorica e compositiva una dettagliata scena della storia lombarda dell’Ottocento, epoca in cui figura di spicco era Ludovico il Moro alla guida della corte milanese ed epoca in cui è attestata la straordinaria presenza a Milano di Leonardo da Vinci. Per la tela, commissionata dal conte Giacomo Mellerio per la sua villa in Brianza, Diotti ricorse all’aiuto dei suoi amici, tra i quali i bergamaschi Agostino Salvioni e Simone Mayr, presenti nel dipinto nelle vesti dello storico Bernardino Corio e del compositore Franchino Gaffurio, poiché si vide necessaria la raccolta di numerose fonti iconografiche relative alle fisionomie dei personaggi e ai costumi. L’ultima sezione dell’esposizione è dedicata al Giuramento di Pontida (al Museo Diotti il cartone preparatorio, mentre la grande tela è custodita nella Sala Consiliare del Palazzo comunale di Casalmaggiore) al quale l’artista dedicò gli ultimi anni della sua vita. L’opera, rimasta incompiuta a causa della sopraggiunta scomparsa del pittore, rappresenta il momento in cui i rappresentanti dei comuni lombardi ostili all’imperatore Federico Barbarossa si allearono firmando il giuramento nell’abbazia benedettina di Pontida il 7 aprile 1167. La scena è affollata, sono raffigurati molti personaggi, i cui tratti sono accostabili ad allievi e grandi amici di Diotti.

Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella torre
Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nella torre (1831; olio su tela; Cremona, Museo Civico “Ala Ponzone”)


Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nell'atto di mordersi le mani
Giuseppe Diotti, Il conte Ugolino nell’atto di mordersi le mani, bozzetto per la pala di Stezzano (1836-37; olio su tela; Bergamo, Accademia Carrara)


Giuseppe Diotti, Antigone condannata a morte da Creonte
Giuseppe Diotti, Antigone condannata a morte da Creonte (1845; olio su tela, 375 x 275 cm; Bergamo, Accademia Carrara)


Particolare dell'Antigone
Particolare dell’Antigone


Giuseppe Diotti, La corte di Ludovico il Moro
Giuseppe Diotti, La corte di Ludovico il Moro (1823; olio su tela; Lodi, Museo Civico)


Giuseppe Diotti, La corte di Ludovico il Moro, particolare del bozzetto dell'Ultima cena che Leonardo da Vinci presenta a Ludovico il Moro
Giuseppe Diotti, La corte di Ludovico il Moro, particolare del bozzetto dell’Ultima cena che Leonardo da Vinci presenta a Ludovico il Moro


Giuseppe Diotti, Cartone del Giuramento di Pontida
Cartone del Giuramento di Pontida

Ripercorrendo questo percorso espositivo diottesco si comprende la grande versatilità del genius loci di Casalmaggiore: un artista che mai si dimenticò e abbandonò la sua formazione accademica, fondata sul disegno e sullo studio delle fisionomie e delle anatomie, accompagnata da una grande tecnica pittorica con la quale diede anima alla tela. Un artista che tuttavia non si fermò alle tecniche apprese durante la formazione e il Pensionato artistico romano, ma che cercò d’innovare le abituali iconografie del tempo, sperimentando e studiando. Un pittore che non ebbe niente da invidiare ad Hayez, suo contemporaneo (1791-1882) considerato il caposcuola del Romanticismo storico.

Valter Rosa, curatore della mostra, non lo definisce né “un attardato pittore neoclassico” né “un neodavidiano fuori tempo massimo”, bensì “un pittore perfettamente sintonizzato col proprio tempo, tenacemente determinato a segnare una via diversa, a suo modo alternativa e in certa misura imparentata tanto col Romanticismo storico quanto col nascente Purismo”. E anche se viene precisato che questa rassegna espositiva è forzatamente lacunosa e imperfetta, a parere di chi scrive si tratta di una delle mostre meglio composte e ideate di quest’anno, intimamente legata al proprio territorio, e ci auguriamo quindi che da essa possano nascere nuovi studi e nuove scoperte su un artista che purtroppo oggi fatica a richiamare un folto pubblico.


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Ilaria Baratta

L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta

Giornalista, sono co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. Sono nata a Carrara nel 1987 e mi sono laureata a Pisa. Sono responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.

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